2020-04-08
Progetto di Vaticano e Colle per riabilitare Xi Jinping: un viaggio del Papa a Wuhan
Pietro Parolin (Franco Origlia/Getty Images)
Pietro Parolin starebbe lavorando alla prima visita di un Pontefice in Cina. Sergio Mattarella e Giuseppe Conte sarebbero favorevoli. Avvistato spesso Oltretevere il segretario generale del Quirinale.C'è un'auto blu che spesso attraversa le porte del Vaticano nella Roma deserta, paralizzata dal lockdown. Nessuno ci fa caso perché tutti sanno chi è l'ospite: il segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti, l'uomo che sussurra al presidente Sergio Mattarella. Poiché ai preti non si può nascondere nulla, tutti sanno anche da chi va: il Segretario di Stato Pietro Parolin. Il rapporto fra i due potenti è molto stretto, di grande stima, trait d'union ufficioso fra il premier Giuseppe Conte e le alte gerarchie vaticane, in questa fase politica vicine spiritualmente alle sorti del governo. Una consonanza cementata anche da un tema di politica estera, i rapporti con la Cina. Con un obiettivo storico: portare papa Francesco in visita a Pechino.La strategia filocinese dell'esecutivo Pd 5 stelle è vista con grande favore Oltretevere e il battage che ha accompagnato l'arrivo di medici e mascherine (a pagamento) da Wuhan è molto apprezzato. L'operazione di marketing e di branding che l'Italia sta facendo al regime di Xi-Jinping sembra una benedizione. Non a caso la visita di Mattarella nella scuola cinese a Roma al primo minuto dell'epidemia - per la cronaca nessuna alta carica dello Stato è ancora andata a Bergamo o a Brescia - fu rilanciata da tv, siti e social orientali in cerca di legittimazione dopo il contagio planetario. Non è importante che l'opinione pubblica italiana sia indignata per le bugie di Pechino sull'epidemia, per la censura ai medici che la denunciavano, per il ritardo letale che ha impedito agli Stati e alle eccellenze mondiali della ricerca (Mit di Boston e Istituto Pasteur di Parigi) di cominciare a studiare le contromosse. Questi sono effetti collaterali sopra i quali le diplomazie passano, neanche fossero foglie secche d'autunno. Il motivo della benevolenza vaticana è il viaggio apostolico mai realizzato, il colpo di teatro che consentirebbe al cardinale Parolin di passare alla storia come l'uomo che lo ha facilitato e organizzato. Il desiderio sarebbe un viaggio che comincia a Wuhan, a quel punto luogo simbolico di rinascita, per attraversare il Paese. Anche una pandemia può favorire il cambiamento di una geopolitica. Nel momento in cui la Chiesa nordamericana si mostra tradizionalista e fredda nei confronti di Francesco; negli anni di Donald Trump sul quale la corrente gesuita che circonda il Pontefice è molto critica, ecco la ricerca di una svolta. Ecco l'avvicinamento alla Grande Muraglia, resa meno invalicabile dall'imbarazzante appeasement italiano. Per il gotha del Partito comunista cinese sarebbe un punto di caduta mai neppure sognato, la ricostruzione di una verginità d'immagine, la legittimazione che arriva dal cuore del cattolicesimo nell'Europa martoriata dal coronavirus (soprattutto Italia e Spagna). Il delitto perfetto, gli untori celebrati con le vittime. Per questo si sta lavorando al progetto, anche se le mete del Papa nel 2020 sarebbero Sudan, Iraq, Etiopia e la tentazione Indonesia. L'epidemia ha sconvolto i programmi del pontefice, ma ha anche ammorbidito le rigidità di Xi Jinping, che in due occasioni (un incontro mancato all'Onu e il viaggio in Italia nel 2019 senza visita Oltretevere) aveva fatto sapere al Vaticano: «È ancora presto».Le diplomazie sono al lavoro e l'Italia recita da mosca cocchiera del colosso asiatico. Molto favorevoli allo storico incontro sono anche padre Leonardo Sapienza, numero due della Casa pontificia con campo libero dopo l'accantonamento (di fatto) di padre Georg Gänswein, e padre Antonio Spadaro, capofila dei gesuiti negli uffici vaticani che contano. All'ultimo convegno di La Civiltà Cattolica, di cui è direttore, gli ospiti d'onore erano il premier Conte e il segretario di Stato, Parolin. Di tutti, il meno entusiasta in questa fase sarebbe proprio papa Francesco, che coglie le spigolosità dell'iniziativa (di questi tempi) dal punto di vista diplomatico internazionale, ma è legittimamente attratto dalla sua enorme portata storica. Quando nel 2014 Pechino diede il permesso di sorvolo all'aereo papale di ritorno dalla Corea fu proprio lui a dire: «Vorrei andare in Cina».Per il Pontefice ci sarebbe un problema non indifferente dal punto di vista religioso, visto che il regime tecno comunista di Pechino continua a vietare il culto ai cristiani non iscritti alla chiesa patriottica (una sorta di schedatura da parte del partito) e li considera clandestini. Parliamo di 68 milioni di cristiani, 16 milioni di cattolici, che non possono andare a messa senza il permesso del potere laico. Inoltre, nonostante il recente accordo pubblicizzato come epocale, continua a esistere il nodo dei vescovi cinesi per i quali il placet governativo è irrevocabile. Il viaggio sarebbe un colpo al cuore per il cardinal Joseph Zen, da sempre in prima linea a Hong Kong in difesa della libertà di culto. Per lui rendere omaggio al regime cinese «è quasi come sperare che San Giuseppe possa ottenere qualcosa da un dialogo con Erode». Ma questo, per la diplomazia ai tempi del coronavirus, sarebbe un dettaglio.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)