2022-11-03
Gli Usa alzano la pressione sulla Lukoil d’Italia
La raffineria Isab di Priolo. Nel riquadro, il video del Wall Street Journal (Imagoeconomica)
Sul «Wall Street Journal» le falle nel sistema di sanzioni, con il greggio raffinato a Priolo che va nelle pompe di benzina statunitensi. Il Mise smentisce violazioni, intanto è corsa contro il tempo per salvare l’impianto siracusano. Con la pista Sace sempre più fredda.C’è una falla nelle sanzioni alla Russia ed è la raffineria siciliana della Lukoil a Priolo, in provincia di Siracusa. L’allarme è stato lanciato dal Wall Street Journal con un video in cui viene ricostruito il percorso del greggio dai porti russi ai serbatoi delle auto americane. Un viaggio di circa 5 milioni di barili di prodotti derivanti dal greggio di Mosca che, dopo essere stato raffinato nell’impianto a Priolo Gargallo acquisiscono il passaporto italiano ottenendo così il via libera per entrare negli Usa. Di fatto, attacca il quotidiano, le sanzioni imposte dagli Stati Uniti permettono al greggio di Mosca, «sostanzialmente trasformato in un bene prodotto all’estero», di raggiungere Washington. La raffineria Isab, seconda più grande in Italia e la quinta in Europa, è di proprietà di Lukoil, il secondo colosso russo del petrolio dopo Rosneft. Prima dello scoppio della guerra, Isab importava greggio da almeno 15 Paesi diversi e la quota dei prodotti derivanti da Mosca arrivava al massimo al 30%. Ma da quando le banche europee hanno smesso di prestare denaro alla raffineria in risposta all’invasione dell’Ucraina, non avendo abbastanza fondi per comprare greggio da altri Paesi, l’impianto di Priolo avrebbe intensificato i suoi rapporti con Mosca. Così da aprile, circa il 93% dei rifornimenti sarebbe di origine russa, mentre la restante parte sarebbe un misto tra il petrolio russo e quello kazako o semplicemente kazako, secondo le stime della società di monitoraggio delle materie prime, Vortexa. Tutto il greggio raggiungerebbe la Sicilia direttamente dai porti di Primorsk, Ust-Luga, Varandey, Novorossiysk, in Russia. Una volta trasformato, il petrolio russo diventa «prodotto italiano» e parte alla volta degli impianti della Exxon in Texas o in New Jersey, in quelli della Lukoil, che negli Usa ha 230 stazioni di servizio in 11 Stati. Il problema è che le sanzioni americane prevedono una esclusione per il greggio «sostanzialmente trasformato in prodotto fatto all’estero», scrive il quotidiano americano lamentando, dunque, la falla. In realtà, del caso della raffineria siciliana qui da noi si parla da mesi: ci sono state molte parole, però, e pochi fatti dal governo Draghi su questo dossier. «Siamo in contatto costante con il Mise, è una questione molto importante di filiera. La cosa migliore sarebbe una acquisizione internazionale, ovviamente non russa. Di nazionalizzazione non si è parlato. Ci sono delle cose che adesso stiamo seguendo», aveva detto il 16 settembre il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Il 20 settembre il Financial Times aveva scritto che un fondo d’investimento statunitense era interessato all’acquisto della raffineria e che rappresentati del fondo Crossbridge Energy Partner avrebbero già trascorso 12 giorni nell’impianto per condurre una due diligence. Contatti ci sarebbero stati, sempre secondo le informazioni raccolte dal Ft, anche con Vitol, il più grande trader internazionale di petrolio, e con la norvegese Equinor. Lo scorso 17 ottobre, riportava l’agenzia Reuters, ci sarebbe invece stato un incontro tecnico al ministero dello Sviluppo a cui avrebbero partecipato rappresentanti di Intesa Sanpaolo e Unicredit, e di Sace (la controllata del Mef che si occupa di assicurare le imprese nelle transazioni internazionali) per valutare la possibilità di un finanziamento delle due banche coperto da una garanzia appunto di Sace. Il 18 ottobre, ecco altri rumors: per l’agenzia Bloomberg le attività della controllata di Lukoil, Litasco, verrebbero divise in due branche distinte: una con base a Ginevra (Svizzera) e l’altra a Dubai e nel piano di riorganizzazione rientrerebbe anche la cessione dello stabilimento petrolchimico siciliano. Nel frattempo, il governo Draghi ha lasciato il «cerino» di Priolo nelle mani del governo Meloni. O meglio, in quelle del Mise ora guidato da Adolfo Urso che riceve la patata bollente dal predecessore Giancarlo Giorgetti passato adesso al timone del Mef. «La Isab di Priolo non ha eluso il sistema sanzionatorio che entra in vigore dal 5 dicembre» , ha comunque precisato ieri Urso, «siamo al lavoro per garantire la continuità delle attività produttive». Ma per la raffineria di Priolo è possibile un intervento anche tramite Sace? «È pensabile anche questo, ma preferisco parlare a cose fatte. Tutte le ipotesi sono in campo», aveva risposto il ministro a Radio24 lo scorso 31 ottobre rassicurando che «si interverrà in tempo utile. Un minuto dopo aver giurato con il ministro Giorgetti siamo andati a lavorare. Ci sentiamo ogni giorno sui dossier strategici, anche quello che riguarda l’azienda di Priolo», aveva poi aggiunto. Ricordando comunque che una lettera del comitato per la sicurezza finanziaria del Mef certifica che l’azienda non è sottoposta a sanzioni. Secondo quanto hanno riferito ieri fonti del Mise alla Verità, però, l’ipotesi di un intervento di Sace non sarebbe più sul tavolo. Di certo, al ministero non si potrà non tenere conto del pressing degli Usa che hanno acceso un grande riflettore sull’impianto del siracusano. Ora la data cerchiata in rosso nell’agenda del ministero è quella del 5 dicembre quando entrerà in vigore l’embargo europeo sul petrolio russo. Manca meno di un mese.
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