
Il barone comunista, noto per essersi «ritrovato» moglie, figli e nuora all'università di Bari, ricicla la lezione sul bello delle migrazioni che cambiarono il nostro continente. Ma dimentica tutto quello che distrussero.La cultura italiana sembra diventata come le ceste dei giochi di una volta: quando serve, se ne estraggono pezze colorate e giocattoli per far contenti i bambini. Un esempio è l'immarcescibile professor Luciano Canfora, filologo classico divenuto una sorta di tuttologo col marchio di comunista doc e che quindi recita la parte del puro in lotta contro il mondo cattivo impersonato dalle forze oscure del capitalismo, del liberalismo e del fascismo (per i comunisti duri e puri sono sinonimi), venendo interpellato sui temi più disparati. Da ultimo ci delizia con un libretto, Fermare l'odio, in cui vitupera la «disumana chiusura dei porti a danno di profughi in fuga dall'inferno libico», una «pagina vergognosa della storia del nostro Paese». Ovviamente non una parola sul fatto che quelle persone non fossero profughi, ma piuttosto gente che cercava di trasferirsi in Europa per i motivi più disparati pagando trafficanti di uomini per entrare illegalmente (e venendo sfruttata crudelmente da essi): una economia da fuorilegge che non si vede quale nesso abbia con le tragedie di chi fugge da una guerra e con il materialismo storico di Marx. Lo stesso Marx derideva chi faceva l'umanitario e parlava di giustizia, dato che per il pensatore tedesco contava soltanto l'economia coi rapporti di produzione: il resto era solo sovrastruttura ingannevole.Prosegue Canfora: è puerile credere di poter fermare le migrazioni di popoli, neanche l'impero romano c'è riuscito, l'Europa è nata così. Evidentemente per lui l'arrivo di unni e longobardi è un avvenimento da celebrare allegramente: forse i contemporanei non la pensavano allo stesso modo, ma chi se ne importa, ciò che conta è la ruota della storia che gira. Il Mediterraneo, sentenzia il docente, deve tornare a essere «un'area politico-culturale unitaria» come fu per secoli. Eh già. Lo fu al tempo di Roma antica. E quando cessò di esserlo? Canfora non lo spiega, perché dovrebbe dire che il Mediterraneo perse la sua unità politico-culturale a causa della conquista araba. Fu allora che, tra l'altro, Alessandria d'Egitto cessò di essere un centro culturale e religioso di primissimo piano. È noto l'episodio della biblioteca alessandrina incendiata dal califfo musulmano perché reputata inutile, episodio che gli studiosi politically correct di oggi si affannano a negare con lo stesso zelo con cui invece accusano i cristiani di intolleranza. Che fare? Canfora ha un'idea geniale: una «struttura federale euro-africana». Peccato che sia nient'altro che una rifrittura di idee circolanti già negli anni Trenta-Quaranta in Francia (Le Corbusier parlava di unione greco-latina-africana), alla base del tentativo fallito di De Gaulle di Unione franco-africana, di cui rimane solo il franco Cfa. Canfora accusa gli europei di aver inoculato in Africa il nazionalismo. Gli sfugge però che il nazionalismo in Africa fu un superamento del tribalismo, quindi motore delle lotte anticoloniali e perciò approvato dal comunismo internazionale. Non sappiamo quanti immigrati siano stati ospitati dal professor Canfora o dai suoi parenti. Il docente dell'università di Bari, infatti, a sua volta figlio di un professore di filosofia distintosi a Bari per la militanza azionista e poi comunista, è noto per aver colonizzato i dipartimenti del suo ateneo con coniuge, figli, nuora. Interpellato al riguardo, il barone rosso Canfora spiegò candidamente di non sapere che materia insegnasse la figlia (una sociologa, pare: a conferma del fatto che Canfora di sociologia non sa nulla), mentre il figlio avrebbe preso servizio «in un'altra città, Taranto», notoriamente lontana e difficile da raggiungere da Bari (si trattava in realtà di un dipartimento dell'università barese aperto nel capoluogo ionico, da cui poco tempo dopo Canfora figlio è tranquillamente ritornato nella sede centrale in riva all'Adriatico). Forse ispirandosi a questo modello Canfora inneggia all'accoglienza e all'abbattimento dei muri. Si sa, anche i comunisti tengono famiglia, ma essendo comunisti non possiamo accusarli di familismo amorale. Loro sono umani. E tanti saluti ai giovani cui è preclusa la carriera universitaria perché, pur meritevoli, non sono allineati.L'opuscolo di Canfora gli è stato pubblicato dalle edizioni Laterza: un tempo pubblicavano Benedetto Croce, ormai sono ridotte a portavoce di gente come Canfora o Enrico Letta. Negli anni Ottanta nei licei classici sotto il nome di Luciano Canfora circolava un volume di storia della letteratura greca edito da Laterza. Si trattava però di un centone di saggi eterogenei cuciti assieme per farli sembrare un tutto continuo. A chi gliene chiedeva ragione, Canfora rispondeva che era una scelta dell'editore a cui lui era estraneo. Chissà se anche le sue tasche ne erano estranee: il diritto d'autore è una conquista a cui neanche i comunisti rinunciano volentieri. Il volume spiccava per l'abituale faziosità: sberleffi al cattolicesimo, bizzarre interpretazioni del Filottete di Sofocle, poco o niente sulla letteratura del periodo ellenistico, che forse a Canfora non piace perché troppo monarchico. Ma è proprio vero che Luciano Canfora sia un «intellettuale finissimo»? Una volta se ne uscì definendo il regno dei Parti «regno ellenistico», mentre in realtà i Parti, estranei alla cultura greca, sconfissero il regno ellenistico di Siria conquistando la Persia. Nelle sue scorribande attraverso la storia del XX secolo (su cui gli si è attribuita una competenza che non ha), si è distinto per aver strillato alla censura quando un editore tedesco non voleva pubblicargli un libro apologetico dello stalinismo. Si capisce: quando l'odio viene da parte comunista, è giustificato. Peccato che a farne le spese, nei Paesi dell'Est, non fossero solo nobili o borghesi (per inciso: Canfora stesso non è certo un proletario), ma pure contadini e operai. Il pamphlet pro apertura è stato presentato in toni adoranti sul Corriere della Sera da Antonio Ferrari, altro presunto esperto di politica estera e di Grecia (in realtà ripete i luoghi comuni della sinistra in salsa Tsipras). Che cosa accomuna Canfora e Ferrari? L'ammirazione per Umberto Eco e la sua tesi dell'Ur-fascismo, nefasta idiozia con cui dagli anni Settanta si mise il silenziatore a tutta una parte della cultura italiana non allineata coi dettami del materialismo di sinistra. Però una volta Canfora, interpellato da Giovanni Floris in tv, disse che un guaio della politica di oggi è la perdita dell'equivalenza tra le parole e le cose. Proprio ciò che invece Eco magnificava nel suo Nome della rosa. Poveri intellettuali finissimi, non si leggono nemmeno tra di loro.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.