2023-05-07
Barricate contro il presidenzialismo ma la Meloni trova la sponda di Renzi
Parte la campagna stampa per fermare la riforma della Carta. L’architettura istituzionale torna a essere «perfetta e intoccabile» e il pericolo è di nuovo l’autoritarismo. Il Terzo polo però lancia segnali d’intesa. dei cosiddetti giornali maggiori, per l’immobilismo e la palude costituzionale. Curioso cortocircuito, a ben vedere. Per decenni, i più autorevoli editorialisti e le prime firme di quegli stessi quotidiani ci avevano spiegato - a ragione, a onor del vero - che l’attuale architettura italiana andava ammodernata. «Disfunzionale» e «non decidente», la definivano. Ora però deve essere scattato il «Contrordine compagni». Improvvisamente, siccome una riforma costituzionale si accinge a proporla Giorgia Meloni (che per inciso ne ha fatto un punto qualificante del programma su cui ha vinto le elezioni), la cosa non si può più fare, ed è partito un autentico fuoco di sbarramento. A sparare ci sono da un lato quelli che, un giorno sì e l’altro pure, lanciano l’eterno allarme antifascista (e naturalmente - nella loro ottica - un’eventuale revisione del sistema istituzionale in senso presidenzialista sarebbe la prova della torsione autoritaria che le «destre» hanno in animo di realizzare), e dall’altro ci sono i corazzieri ausiliari, quelli che - interpretando o credendo di interpretare i desiderata del Colle - ci spiegano che il sistema italiano (solo ora, nel 2023, sia chiaro…) è diventato efficiente. E che in ogni caso non si può toccare - non sia mai - il «punto di equilibrio - rappresentato dalla figura del presidente della Repubblica nella sua attuale configurazione costituzionale. Ha cominciato qualche giorno fa Antonio Polito sul Corriere della Sera con un elogio di quelli che ha definito «poteri neutri», con ciò dando l’idea di una democrazia bambina sempre bisognosa di essere guidata e accompagnata da poteri non sottoposti allo scrutinio popolare. E ieri a rilanciare ci ha pensato Repubblica. Ormai da tempo, con regolarità impressionante, il quotidiano romano ha in prima pagina o uno «schiaffo» che il governo invariabilmente subirebbe (venerdì 5 maggio: «Lo schiaffo di Parigi») o una «sfida» che la Meloni lancerebbe, ovviamente - si fa intendere al lettore - nel disprezzo delle migliori virtù repubblicane. Ecco l’apertura di lunedì mattina: «Meloni sfida il primo maggio». Ed ecco l’apertura-fotocopia di ieri: «Sfida alla Costituzione». Se non parlassimo di cose serie, ci sarebbe perfino da ridere: secondo Repubblica, dunque, proporre di cambiare la Costituzione secondo le regole fissate dalla stessa Costituzione sarebbe nientemeno che una sfida alla Carta. Ma la scombiccherata tesi viene rilanciata nelle pagine interne: nel retroscena di pagina 3 come strumento tattico usato da Palazzo Chigi «per coprire i dossier più scomodi»; poi, in una estenuata e dolente intervista a Gustavo Zagrebelsky, in cui si sostiene che «il presidenzialismo esalta l’odio sociale che già divide il Paese»; e infine nell’editoriale di Stefano Cappellini in cui si parla di «furore presidenzialista, feticcio della destra già dai tempi del Msi». E con ciò abbiamo messo tra parentesi il fatto che, in Assemblea costituente, fosse Piero Calamandrei (Partito d’Azione) a chiedere il presidenzialismo. Ma il cuore del ragionamento dell’editorialista di Rep è l’accorata difesa dell’attuale inquilino del Colle: «In questi anni a tamponare la debolezza dei partiti, l’insipienza, talvolta la loro opportunistica vigliaccheria, è stato proprio il Quirinale, una istituzione che gli italiani percepiscono sinceramente terza e che, grazie al secondo mandato di Sergio Mattarella, è sentita ancora più come una solida garanzia per tutti». In ogni caso, il governo non ha ancora scoperto le sue carte, che potrebbero essere diverse: c’è l’opzione presidenzialista sul modello statunitense; c’è il modello semipresidenzialista francese; o c’è anche una terza ipotesi di premierato forte, con elezione diretta - in questo caso - non del presidente della Repubblica ma del presidente del Consiglio. E c’è chi pensa che quest’ultima opzione sia quella su cui la Meloni possa ottenere una sponda da una delle tre opposizioni. Matteo Renzi lo ha scritto esplicitamente sui social: «Italia viva sostiene da sempre il sindaco d’Italia con l’elezione diretta del premier [...]. Lo diciamo da sempre, speriamo sia la volta buona». E molte volte, nei mesi passati e anche ieri, pure Carlo Calenda si è espresso a favore della medesima opzione. Sta di fatto che martedì la Meloni ha invitato i partiti a un primo giro di tavolo: Elly Schlein andrà, mentre Giuseppe Conte (che sarà impegnato a Brescia per l’inchiesta Covid) manderà i capigruppo grillini. È naturalmente molto presto per immaginare le prossime mosse. È tuttavia prevedibile che il governo non cercherà scontri con il Quirinale (anche eventualmente valutando un differimento alla fine del mandato di Mattarella dell’entrata in vigore della futura riforma). Occorre tuttavia evitare che presidenzialismo e semipresidenzialismo spariscano dal tavolo per non irritare il Colle, e che poi anche sulla terza opzione rimasta - il premierato - all’ultimo momento il Terzo polo decida di sfilarsi. Visto che un referendum popolare alla fine ci sarà, è giusto che la maggioranza cerchi un’intesa con le minoranze, ma è anche saggio prepararsi all’ipotesi che tale intesa non ci sia, e che il centrodestra in Parlamento debba far da sé.
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