2022-09-01
Prelati cinesi pronti a indottrinare i fedeli al comunismo
Xi Jinping (Getty Images)
I vertici religiosi promettono a Xi di allineare i cattolici al regime Il Vaticano tace e spera nel rinnovo dell’accordo sui vescoviNon accenna a diminuire la pressione del Partito comunista cinese sui cattolici. Dal 18 al 20 agosto si è tenuto a Wuhan il decimo Congresso nazionale del cattolicesimo in Cina: un consesso sponsorizzato dal governo di Pechino. Nell’occasione, sono stati eletti i nuovi leader di due organizzazioni: l’Associazione patriottica cattolica cinese e la Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina. Secondo la Catholic news agency, si tratta rispettivamente dell’arcivescovo di Pechino Li Shan e del vescovo di Haimen, Joseph Shen Bin. Ebbene, entrambi hanno promesso che porteranno avanti un processo di «sinicizzazione» della Chiesa Cattolica, con lo scopo di allinearla ai principi del socialismo. Stando a quanto riferito da Asia News, il consesso ha pubblicato una nota, in cui rendeva noto di voler «unire e condurre il vasto numero di cattolici a prendere come guida il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, per continuare a tenere alta la bandiera del patriottismo e dell’amore per la religione, aderire ai principi dell’autogestione indipendente della Chiesa e dell’educazione democratica, aderire alla direzione della sinicizzazione del cattolicesimo nel Paese». Una situazione complessiva inquietante ma che non stupisce. Era infatti dicembre scorso, quando si tenne la conferenza nazionale del Pcc sugli affari religiosi: secondo Uca News, Xi Jinping in quell’occasione disse che occorreva «sostenere il principio dello sviluppo delle religioni nel contesto cinese e fornire una guida attiva per l’adattamento delle religioni alla società socialista». D’altronde, già nel luglio 2018 i vescovi sostenuti dal governo di Pechino avevano parlato di piani per la «sincizzazione». Come se non bastasse, sempre Uca News, citando un resoconto dell’agenzia di stampa cinese Xinhua del 23 agosto, ha riferito le parole rivolte ai leader cattolici da Wang Yang: un componente del Comitato permanente dell’ufficio politico del Pcc. «Wang», si legge, «li ha esortati ad aderire fermamente al principio di indipendenza [dal Vaticano, nda], resistere alle infiltrazioni di forze straniere e a salvaguardare risolutamente la sovranità, la sicurezza e gli interessi di sviluppo della Cina». In tutto questo, non va trascurato che, secondo Open Doors, «la sorveglianza in Cina è tra le più oppressive e sofisticate al mondo. La partecipazione in chiesa è rigorosamente monitorata e molte chiese vengono chiuse». Questa situazione dovrebbe forse spingere la Santa sede a riconsiderare seriamente l’accordo stretto con la Repubblica popolare sulla nomina dei vescovi. Originariamente firmato nel settembre 2018, fu rinnovato nell’ottobre 2020. Lo scorso luglio, Papa Francesco ha detto di sperare in un ulteriore rinnovo il prossimo ottobre. Oltre al cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, a sostenere significativamente l’intesa sono soprattutto alcuni settori del mondo cattolico, come la Compagnia di Gesù e la Comunità di Sant’Egidio. Due realtà che stanno vedendo crescere il proprio peso nel sacro collegio, come dimostrato dalle nomine a cardinale di Matteo Zuppi (legato a Sant’Egidio) nel 2019 e del gesuita ultraottantenne Gianfranco Ghirlanda nell’ultimo concistoro. Ad opporsi all’intesa cinese è invece sempre stato il cardinale Joseph Zen, che finirà tra l’altro sotto processo (a 90 anni di età) il prossimo 19 settembre a Hong Kong: l’accusa (che suona un po’ pretestuosa) è quella di non aver adeguatamente registrato un vecchio fondo a favore dei manifestanti pro democrazia nell’ex colonia britannica. Ricordiamo inoltre che, a maggio, il porporato era stato arrestato per violazione della legge sulla sicurezza nazionale vigente a Hong Kong (controversa norma, di fatto imposta dal Pcc nel 2020). Purtroppo, come abbiamo visto, sembra proprio che la situazione dei cattolici in Cina stia peggiorando: non solo aumenta la pressione del governo per contaminare la religione con l’ideologia marxista, ma si cerca anche di indebolire i legami con la Santa sede in nome del cosiddetto «patriottismo». Tra l’altro, secondo Asia News, pare che negli atti del congresso di Wuhan non sia stata fatta menzione dell’accordo sino-vaticano. Tutto questo, senza trascurare gli impatti geopolitici della questione. Nonostante sia stata più volte rimarcata la sua natura pastorale, l’accordo rischia di rafforzare l’influenza politica di Pechino in alcune aree del globo. In particolare, gli Stati Uniti temono che la Repubblica popolare possa sfruttarlo per spingere i Paesi latinoamericani che riconoscono ufficialmente Taiwan a rompere le loro relazioni con l’isola (come fatto a dicembre dal Nicaragua). È d’altronde in questo quadro che si registrarono delle tensioni tra Parolin e Mike Pompeo nell’ottobre 2020, quando l’allora segretario di Stato americano cercò invano di convincere la Santa sede a non rinnovare l’accordo con Pechino, puntando il dito contro le violazioni della libertà religiosa perpetrate dal Pcc. Del resto, nonostante i rapporti tra il Vaticano e Washington si siano fatti più distesi con l’amministrazione Biden, l’attuale segretario di Stato americano, Tony Blinken, pose il tema della libertà religiosa nel suo incontro con Parolin a Roma, nel giugno 2021. Alle soglie di un terzo mandato presidenziale che riceverà il prossimo ottobre al congresso del Pcc, Xi Jinping proseguirà certamente nella sua opera di repressione e indottrinamento ideologico. La Santa sede ha la grande occasione di dare un segnale forte, fermando l’accordo con Pechino in difesa della fede e della libertà religiosa.