2022-02-07
La predica del Papa da Fazio: siate buoni, accettate i migranti e non spettegolate
Fabio Fazio intervista Papa Francesco (Rai via Ansa)
Francesco in diretta in prima serata si allinea al politicamente corretto e ai luoghi comuni. «L’Ue trovi un accordo in Libia».Chi è quell’uomo vestito di bianco accanto a Fabio Fazio? Papa Francesco in un colpo solo riesce a secolarizzare definitivamente l’immagine pontificia, a prolungare il dopofestival di Sanremo e a mettere in crisi Woody Allen. Sono le 20,40 quando il Santo padre compare nel contenitore di Che tempo che fa su Raitre, in collegamento da Santa Marta e accolto dal bravo conduttore delle coscienze con «profonda emozione e immensa gioia». L’immagine è straniante. Dove Luciana Littizzetto imperversa con le sue moine da balera, ecco comparire il Papa. Tanti saluti al sacro, vince il profano.Non è un record, il primo a collegarsi con una trasmissione Tv fu Karol Wojtyla a Porta a porta, solo in audio. Partono le domande e viene avanti una sorprendente novità: perfino il pontefice è strabiliato dalla prosopopea e dal conformismo cosmico del curato Fazio, che riesce a citare il «farsi carne». Lui, non Francesco. Quanto soffre davanti alle sofferenze? La risposta è un rimprovero: «Domanda forzata, il peso dei problemi lo sopportiamo tutti. Non sarei onesto se dicessi che sopporto tanto, i miei collaboratori mi aiutano a farlo». I temi sono quelli cari a Bergoglio. L’indifferenza davanti ai poveri («Siate buoni»), l’allarme climatico («Difendete la madre Terra»), la lotta alle guerre come drammatica priorità («I conflitti producono i bambini che muoiono di freddo o sulle spiagge») e il problema dei migranti. Qui la risposta mette in crisi Fazio, è una picconata all’europeismo di facciata. «L’Unione europea deve trovare una soluzione con la Libia, oggi ad accogliere sono solo Italia e Spagna. Altrove non li ricevono, ma la risposta deve essere continentale. I migranti vanno accolti ma anche integrati». Poi critica il chiacchiericcio delle malelingue e rivela: «Ascolto musica classica e tango». Carlos Gardel sarebbe contento. Sembra una puntata di Young Pope scartata da Paolo Sorrentino perché troppo surreale. Eppure è qui, dentro i 38 pollici, e diventa immediatamente il paradigma di una desacralizzasione che va considerata. È il segno dei tempi, dove la vera livella non è più la morte ma l’apparire in televisione a un talk show. Pure dopo Michele Serra che spiega peggio di Checco Zalone (e in chiave postsovietica) la crisi fra Russia e Ucraina; pure dopo Roberto Saviano che commenta qualunque cosa con approccio da esploratore dell’ovvio. E quindi definisce con orgoglio il Papa, prendendoci, «l’ultimo socialista».Eppure la Chiesa non è intrattenimento, è fede e immortalità. Sembra paradossale, ma la spiegazione più efficace la diede Karl Marx criticando il capitalismo dove «tutto ciò che ha consistenza evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono costretti a considerare la loro posizione nella vita e i loro rapporti reciproci con sguardo di disincanto». Quando nel 2003 Giovanni Paolo II entrò nel bouquet dei candidati per il Nobel per la pace, in Vaticano erano molto preoccupati. «Non perché non lo meritasse», ha scritto La Nuova Bussola quotidiana, «ma perché in quel modo il Papa sarebbe stato collocato sullo stesso piano degli altri, mentre lui è qualcosa di diverso, ha una connessione con il sacro che gli altri non hanno». Diciannove anni dopo si è solo abbassato il livello di guardia e il Nobel è diventato il caramellato salotto fazista. La domanda vera è: ma dentro quel minestrone laico - dove Zlatan Ibrahimovic è uguale a Mahmood che è uguale a Barak Obama che è uguale a Peppa Pig - c’era Jorge Bergoglio o papa Francesco? Il quesito è già una risposta e dà il segno dell’impronta molto mediatica del pontificato. Se davanti a San Pietro c’è il deserto, che almeno lo share sia in aumento. Mentre il Papa si mostra, Fazio gongola. Il fratacchione di Vincenzo De Luca può procedere con il suo illusionismo da tinello davanti all’uomo più inclusivo della Terra, all’inventore della parola resilienza, immediatamente adottata dal progressismo new age anche per insaporire le pietanze vegane. Al di là della simbologia fatta a pezzi, c’è un altro aspetto da sottolineare: la banda Fazio è riuscita a strumentalizzare il Papa con il giochino dell’audience. Annunciato come guest star del programma delle 20, arriva 40 minuti dopo, manco fosse un Giuseppe Conte orchestrato da Rocco Casalino. Nel frattempo l’attesa sale, gli sponsor se la ridono e lo Spirito Santo raddoppia i fatturati di deodoranti, ammorbidenti e ovetti cioccolatosi. Poiché la Chiesa ha 2000 anni, ogni gesto va giudicato con il metro dell’eternità: se Gesù incontrò tutti e di tutto (dal pubblicano alle prostitute), non può scandalizzare che papa Francesco entri nel circo di Che tempo che fa. Resta una frase, a ronzare sopra l’applausometro di una domenica sera: «Rivalità e vanagloria sono due tarli che rendono debole la Chiesa». Le pronunciò proprio lui. Parole potenti, forse inquinate dalla passerella fazista. Destinate a diventare il testo di una canzone di Blanco.
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