2022-04-13
«Possiamo comprare armi da chi vogliamo. I legami con Pechino? Ce li ha pure Berlino»
Nel riquadro, Jovan Palalic
Parla il leader del Partito popolare serbo Jovan Palalic: «Noi neutrali e sovrani. Tutti fanno affari con la Cina, lo si rimprovera solo a Belgrado».«Se guardate la nostra situazione e la nostra storia, è facile capire perché abbiamo certe posizioni sulla Russia e la Cina». Jovan Palalic, segretario generale del Partito popolare serbo e presidente del gruppo di amicizia parlamentare Serbia-Italia, va dritto al punto. Non è un mistero che la Serbia sia molto legata alla Russia, un rapporto che non si è certo raffreddato dopo l’inizio della crisi ucraina. Ed è noto pure che la nazione balcanica stia rinsaldando i legami con la Cina, da cui ha appena ricevuto un FK3, cioè la versione da esportazione del sistema missilistico terra-aria cinese Hq-22. «La Serbia è neutrale», prosegue Palalic, «e non potrebbe essere altrimenti. Dopo i bombardamenti che abbiamo subito dalla Nato, la volontà del nostro popolo è esattamente questa. Non siamo parte della Nato e non vogliamo esserlo. Siamo liberi di comprare armi dove riteniamo sia meglio. Due anni fa abbiamo comprato aerei dalla Francia, compriamo armi dai cinesi ma potremmo comprarle dagli americani. Noi dobbiamo semplicemente proteggere la nostra sicurezza».I vostri rapporti con la Russia e con la Cina sembrano essere particolarmente buoni, in questo momento. «Noi nel cuore abbiamo la questione del Kosovo. Russia e Cina non ne riconoscono l’indipendenza. Per noi la difesa dell’integrità territoriale è molto importante. Certo rispettiamo anche l’integrità territoriale dell’Ucraina. Ma con la Russia abbiamo un legame forte anche perché all’Onu sostiene la nostra, di integrità territoriale. Chi sostiene questo, è nostro amico».Per questo siete contrari alle sanzioni alla Russia?«Durante il regime di Milosevic noi abbiamo subito sanzioni, le abbiamo provate sulla nostra pelle. E posso dirle questo: non hanno fatto male all’élite, bensì al popolo. Abbiamo provato le sanzioni, e abbiamo provato le bombe della Nato. Ed è stata molto dura, durissima. Quindi pensiamo che le sanzioni servano soprattutto a colpire la popolazione, non chi governa». Comprensibile che non siate dei grandi fan della Nato. «Il bombardamento fu una aggressione. Da allora tutto il nostro popolo ha detto no alla Nato. Noi vogliamo soltanto la nostra indipendenza, vogliamo poter difendere i nostri interessi nazionali. Quindi possiamo avere rapporti con tutti i Paesi che vogliamo, che siano la Russia, la Cina o altri Stati occidentali. Alcuni di questi Paesi provano a imporci la loro politica, ma noi abbiamo una posizione neutrale e indipendente, e vogliamo mantenerla». A rafforzare il vostro legame con la Russia ci sono anche le forniture di gas.«Certo. Per noi quella del gas è una questione molto importante. Noi siamo un Paese piccolo, dobbiamo essere prudenti. Dipendiamo per il 100% dal gas russo, non possiamo permetterci di farne a meno. Significherebbe un disastro per le nostre aziende, e invece noi abbiamo bisogno di crescere, di fare lavorare le imprese, quindi siamo decisamente contro le sanzioni. Vogliamo essere neutrali e sovrani». Però pensate a entrare nell’Unione Europea.«Sì, vogliamo aderire all’Ue, la nostra politica è orientata a questo. La popolazione è d’accordo. Però ci sono alcune questioni che i nostri partner in Europa devono conoscere con chiarezza. E, come ho già detto, la principale è quella riguardante il Kosovo. Lo ripeto: non ne riconosceremo l’indipendenza. Se questa dovesse essere una condizione per l’adesione all’Ue, bisogna sapere sin da ora che la risposta del popolo sarebbe: No».Intanto state aumentando i rapporti commerciali con la Cina. «Sì, abbiamo ottimi rapporti commerciali. E su questo non bisogna essere ipocriti. Non si può descrivere noi come “filo cinesi” e far finta di non vedere quali e quanti legami commerciali hanno altri. La Germania, ad esempio, è un grandissimo partner commerciale della Cina. Questa cosa non sembra dare problemi a nessuno, no? Sarebbe ipocrita fare problemi a noi». L’acquisto dei missili dipende da questo legame commerciale? «Come ho già detto, noi possiamo comprare da chi vogliamo. Non siamo obbligati a comprare tutto dall’Occidente. E ovviamente non siamo obbligati a comprare dalla Cina. Si tratta in ogni caso di un sistema per rafforzare la nostra sicurezza. Noi per il resto speriamo nella pace, anche in Ucraina». Arriverà velocemente? «Penso e temo che la guerra sarà ancora lunga. A risolverla devono essere Russia e Ucraina, ovviamente. Ma il conflitto non cesserà - come ho scritto di recente in un articolo - fino a che anche gli Stati Uniti non scenderanno in campo per una trattativa vera. In ogni caso, noi guardiamo con grande interesse e apprensione a quel che si farà per risolvere il conflitto». Come mai? «Perché ci riguarda direttamente. Allo stato attuale, nel mondo ci sono tanti conflitti congelati. Il modo in cui si chiuderà la questione ucraina avrà ripercussioni su tutti questi. Anche per questo motivo è molto importante che la crisi si risolva utilizzando gli strumenti del diritto, perché da questa soluzione dipenderà l’esito di tanti altri conflitti. Il nostro con il Kosovo, ma non solo». Prima lei parlava di integrità territoriale. L’Ucraina come dovrebbe comportarsi con Crimea e Donbass? «Questi sono i due temi centrali che andranno risolti, altrimenti la fine della guerra non la otterremo mai. Però bisogna tenere in considerazione anche la volontà del popolo di quelle zone. Se la volontà è di stare con la Russia… In quella zona ci sono tanti interessi: quelli della Russia, quelli degli americani, eccetera. Però bisognerebbe lasciare che sia il popolo a decidere da che parte stare». Non corriamo il rischio che la guerra si allarghi?«Sinceramente io penso che questo rischio non ci sia. Credo e spero che ci sia abbastanza saggezza per non provocare una nuova guerra mondiale. Però è importante che tutto si concluda velocemente, evitando che muoiano altre persone. E comunque andrà a finire, tutto il mondo dovrà affrontare nuovi problemi, conseguenze complesse. È quasi come se si stesse imponendo un nuovo ordine».
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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