La rapper senza volto: «Sono figlia del marketing e canto la decadenza. Milano sushi e coca? Ci sono pure cose belle».«Telefoni pure a questo numero, la inoltreremo al cellulare della Myss». Comincia tutto con un trasferimento di chiamata dell'ufficio stampa. Perché a nessuno, o quasi, è concesso entrare in possesso di un qualsivoglia dato sensibile che interessi Myss Keta, artista underground milanese della quale, a due mesi dall'uscita del nuovo album Paprika e a sei anni dalla sua prima apparizione pubblica, tutt'ora non è dato conoscere il volto. La Myss, come leziosamente ha l'abitudine di evocarla il suo entourage, saltella al modo di un elfo perverso tra palchi, studi radiofonici, redazioni di riviste di settore o patinate con un paio di occhiali da sole e una mascherina a garantirle l'anonimato (entrambi, naturalmente, abbinati alla mise del giorno).Ecco perché quando, pochi giorni fa, l'immagine di una presunta Myss Keta sorpresa in versione nature nella metropolitana di Milano è apparsa sul sito di una nota agenzia, lo scatto furtivo è rimbalzato sui social attirando i fan come api al miele. Il tutto nella più totale indifferenza dello staff della musicista, ben consapevole che tutto fa brodo. Ogni cosa contribuisce ad alimentare il mito della cantante senza volto il cui ultimo singolo, Pazzeska, ha raccolto in poche settimane quasi 2 milioni di visualizzazioni su Youtube.Due milioni è un numero importante. Sente la responsabilità di chi si rivolge a così tante persone?«La responsabilità e il peso che avverto sono quelli dell'essere fedele a me stessa. Di rimanere onesta e sincera facendo cose in cui credo completamente. Dopodiché, cerco di comunicare alle persone un certo universo valoriale, al di là delle singole frasi inserite nei miei testi, che sono finalizzati a costruire dei mondi. Provo a trasmettere dei messaggi positivi, questo sì».Il mondo hip hop e trap, a lei vicino, è stato attaccato per avere spettacolarizzato una degenerazione dell'universo valoriale.«È un discorso complesso. L'eterno dibattito sul valore dell'educazione e dell'arte. L'arte deve educare? Se questa è la domanda, potrei rispondere che Charles Baudelaire o gli esponenti della beat generation, che studiamo a scuola, facevano abitualmente uso di allucinogeni. Eppure avevano un valore artistico indiscutibile. È il sistema a dover far capire cosa è giusto e cosa è sbagliato».Lei che percezione ha della società in cui viviamo?«Vedo un aumento rapido ed esponenziale del disordine, della follia. Ci troviamo invischiati in una rete, su diversi fronti, dove non credo si possa più parlare di valori universali. Penso che nella complessità del mondo attuale ognuno debba trovare il suo spazio ponendosi dei punti fermi».Ascoltando le sue canzoni, oltre la giungla urbana dei beat e delle rime, si intravede uno scenario decadente, di disperazione.«È un ritratto della realtà in cui siamo immersi. Una descrizione ironica, satirica, grottesca. Quando si utilizza questo metodo di rappresentazione, è anche un po' per allontanarsene. È il mio modo di preservare il mio equilibrio mentale».I suoi testi hanno una forma quasi pubblicitaria, come se offrisse degli slogan. C'è del marketing dietro?«In realtà, io opero in modo molto istintivo. Ma è vero quello che dice: siamo figli del marketing e della pubblicità. Quanti slogan abbiamo mandato a memoria nella nostra infanzia? Myss Keta è figlia del suo tempo e delle distorsioni di questo periodo culturale».Qualche decennio fa, un cronista del Times fece infuriare un certo Bob Dylan chiedendogli se, secondo lui, i suoi fan cogliessero realmente il significato di ciò che scriveva. Non per indisporla, ma vorrei farle la stessa domanda.«So bene che i miei testi hanno diversi livelli di lettura. Un livello che intravede la disperazione, come il suo, è ovviamente molto profondo. La mia idea è che un artista crea un qualcosa che, a un certo punto, si muove nel mondo con le sue gambe. Ed è giusto che le persone lo comprendano nel modo che preferiscono».Questa libertà, però, fa sì che tanti la bollino come trash.«Fa parte del gioco. Non posso farmi condizionare dal giudizio altrui. Anzi, mi diverte vedere i diversi modi in cui le mie canzoni vengono interpretate. Mi fa pensare che abbiano una certa profondità».A chi le fa notare che le sue maschere evocano il niqab, risponde che Myss Keta si muove in un mondo post 11 settembre. Cosa significa?«L'11 settembre è stato uno spartiacque che ha fatto irrompere la cultura islamica nel mondo Occidentale. Se, però, da un lato il Medio Oriente era una minaccia da combattere, dall'altro doveva essere coccolato perché rappresentava un mercato vitale. Ho sempre trovato questo dualismo bizzarro. Credo che il bombardamento mediatico che proponeva immagini di donne col velo mi abbia fortemente influenzato. E, alla fine, me ne sono appropriata».Nelle sue canzoni ci sono molti riferimenti all'attualità. In Una donna che conta c'è Belen che vuole il successo, Lele che promette di fare di lei una star. C'è il Coronismo e anche un po' di Me too. Cosa pensa di questi due fenomeni?«Il Coronismo è parte integrante del mondo luccicante proposto dalla televisione e, come tale, è entrato nel costume italiano. È un fenomeno che, innegabilmente, ci ha investiti tutti. Riguardo al Me too, ritengo fisiologico che nel 2018 fosse messo in discussione il patriarcato. Ciò che trovo paradossale è che una questione sociologica così importante, per farsi strada, abbia avuto bisogno di diventare virale su Twitter. Ma penso che sia ora di andare oltre il sesso».Ovvero?«Vedo tanti uomini che soffrono perché non capiscono come muoversi nel mondo. Questo gioco di ruoli che si protrae dagli anni Cinquanta non fa bene a nessuno. Bisognerebbe staccarsi da una visione di genere: i problemi vanno risolti tra esseri umani».In Botox canta: «Iniziamo una rivoluzione». E, in effetti, il botox è stato una rivoluzione. Estetica senza dubbio. Ma sotto la tossina botulinica che spiana i volti cosa rimane?«Da una parte, queste bellezze di plastica mi affascinano; mi ricordano gli androidi dei film di fantascienza. Dall'altra, mi chiedo: è necessario ricorrere all'artificio per ritrovare la bellezza? È una delle nevrosi del mondo contemporaneo».Una nevrosi che si combatte con lo Xananas?«Anche qui, chiamo in causa natura e artificio. Se il naturale ci porta dei disturbi, si cerca di risolverli con qualcosa che è esterno a noi, come il botox o lo Xanax (che io chiamo Xananas in una canzone). Ovviamente, si creano situazioni di abuso dove la cura si trasforma in dipendenza. Questo perché viviamo tempi dove le certezze sono sempre meno».Lei racconta le trasgressioni di una Milano da bere 2.0. Quanto è vita vera e quanto è romanzo?«C'è sicuramente del romanzo. Tutti romanziamo tutto. Anche quando raccontiamo agli amici un episodio divertente capitato al supermercato. Dopodiché, certe cose devi averle viste coi tuoi occhi per poterle raccontare».Milano è ancora la capitale del sushi e della coca che cantava nel 2016?«Sì, anche di tante altre belle cose. Per certi versi, vedo la Milano anni Ottanta degli yuppies. Oggi gli yuppies sono gli hipster, ma l'approccio è rimasto lo stesso. Rispetto a una Roma che è giochi di potere e lentezza, Milano è il movimento frenetico. Una città che è sempre stata caratterizzata da una foga quasi nevrotica».Ma lei si ritiene trasgressiva?«Se dire ciò che si pensa è trasgressione, allora sì. Non mi interessa fare la trasgressiva per forza».Racconti una follia che ha fatto.«Essere scappata dalla barca di D'Alema quando mi ha fatto incazzare».Questa è una leggenda che ama ripetere. Però sul web circola una foto reale di lei assieme all'ex premier. Cosa ci faceva lì?«Veniva ad ascoltarmi. È passato a salutarmi dopo un soundcheck. Posso soltanto dire che ha esordito con “Mi sei mancata" (sorride)».Che rapporto ha con la politica?«A parte gli ex fidanzati in politica, buono. Mi ha sempre interessata».Qualche giorno fa, l'Ufficio d'informazione in Italia del Parlamento europeo ha utilizzato un suo ritratto, con la bandiera dell'Unione sullo sfondo, per invitare la gente a votare alle elezioni. È così influente?«Non lo so, ma mi ha fatto molto piacere. Credo fortemente nel voto».Se potesse portarsi un politico sul palco, chi sceglierebbe?«Beppe Sala. Ci divertiremmo da matti».A un altro primo cittadino milanese, in Qualità prezzo, ha lanciato una frecciata mica da ridere: «Forse mi sto sbagliando, eppure vedo il sindaco e direi che sta pippando».«Era il periodo di Expo e quello è un brano particolarmente arrabbiato che parla di ipocriti potenti col naso bianco. All'epoca il sindaco era Pisapia ed è toccata a lui, ma il mio era un verso da uno per tutti, in cui volevo riferirmi alla politica in generale ».Sa che prima avrei scommesso su Daniela Santanché?«Ha ragione. Lei, poi, ha già il nome d'arte: la Santa».Prima di diventare Myss Keta cosa faceva?«La modella, l'attrice, e tante altre cose».È vero che doppiava film erotici?«Questo deve scoprirlo lei. Troppo facile, se no».Oscar Wilde diceva dell'uomo: «Dategli una maschera e vi dirà la verità». Lei indossa una maschera per poter dire la verità?«In parte sì. Ma credo che questo valga per ognuno di noi. Siamo tutti costretti a indossare delle maschere nel quotidiano, anche se non fisicamente come faccio io».Non teme di rimanere intrappolata nel personaggio?«No. Le gabbie sono per chi se le crea».Senta, visto che ha bluffato quando le ho chiesto di raccontarmi una pazzia, le rammento una sua dichiarazione su Mina: «Bravissima, ma i testi un po' meno». Mettiamo questa tra le follie?«Amo Mina, l'ho ascoltata e riascoltata, ma i testi che canta appartengono all'immaginario di una donna remissiva che non mi appartiene e non riesco più a tollerare. Sì, questa è decisamente una follia».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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