2019-01-08
«Porto in passerella le disabili per sbattere in faccia la bellezza»
Affetta da una malattia rara che le ha danneggiato le gambe, Benedetta Deluca ha trascorso i suoi primi 12 anni in ospedale. Oggi ne ha 31 e da tre organizza sfilate di moda per sfatare i pregiudizi: «Valorizzo le persone camuffando i difetti».I primi anni di vita, Benedetta Deluca li ha passati in ospedale. Una malattia rara, che la scienza, con il suo parlar tecnico, ha battezzato «agenesia del sacro», le ha dato gambe piccole e malfunzionanti. «Alla nascita, i medici mi hanno dato pochi giorni di vita, ma grazie alla caparbietà della mia famiglia sono riuscita ad arrivare ai 31 anni», racconta la Deluca, che delle cicatrici, lascito di una mole immensa di interventi, non se n'è fatta un cruccio. «Mia madre mia ha insegnato a prendermi cura di me stessa, perché non finissi con l'odiare quel mio corpo imperfetto. Insisteva perché mi mettessi un filo di rossetto, anche in ospedale. Con il tempo, ho capito che la perfezione è nella nostra testa, che la bellezza è intelligenza, è gestualità, è un sorriso», in nome del quale Benedetta Deluca ha cominciato a organizzare sfilate di moda per ragazze disabili. «Così da sfatare i pregiudizi legati agli handicap», racconta la Deluca, laureata in giurisprudenza con una tesi sui diritti delle persone affette da disabilità. «Oggi, faccio pratica forense in tribunale, ma non so se la professione di avvocato faccia per me. Si corre molto e io ancora devo capire se questa vita mi si addica».In che cosa consiste la sua malattia?«L'agenesia del sacro è una sorta di interruzione alla spina dorsale. Non posso camminare, le mie gambe sono più piccole di quanto dovrebbero e non riescono a mantenere l'equilibrio. Inoltre, mi causa diversi problemi alla vescica e ai reni».Cosa si porta dietro di un'infanzia tanto turbolenta?«Piccoli e grandi traumi. Non ricordo tutti gli interventi che ho fatto, ma basta il colore verde per rievocare il camice di un medico. Mi fa ancora paura: ricordo che mi addormentavo con questa figura verde incombente e mi risvegliavo dopo 8 ore, dolorante».Come si svolge la sua giornata tipo?«Come quella di qualsiasi altra persona. Fino ai 12 anni, ho vissuto in ospedale e adesso sono affamata di vita. Può sembrare retorico, ma una volta uscita ho iniziato a vivere, in ritardo ma ce l'ho fatta. E vivo bene anche così. La disabilità in sé non è un problema».E cosa lo è?«Il mondo attorno. Manca quel po' di senso civico che potrebbe rendere la nostra vita più semplice e autonoma. Non solo la gran parte delle città e dei paesi non è accessibile, ma troppe persone, ancora, ignorano la disabilità: occupano il posto degli handicappati, parcheggiano sulle passerelle. Limitano, nei fatti, la libertà personale di chi abbia un handicap, di un anziano, delle madri. Pure di chi trascina un trolley».Ha mai pensato di candidarsi in politica?«L'ho fatto, Mi sono candidata tanti anni fa, nel 2012. Ma ho capito che la politica non fa per me. Credo ci si debba nascere, nella politica. E io non ci sono nata. Non parlo il politichese, né voglio imparare a farlo. Credo nelle persone, nelle idee. Sono apartitica ma fiduciosa».In chi crede oggi?«Oggi, sono un po' confusa. Posso dire, però, che ai tempi in cui era sindaco di Salerno ho creduto in Vincenzo De Luca. Fece la campagna “Vuoi il mio posto, prendi il mio handicap". Fu una piccola cosa, ma per me una grande conquista. De Luca in quel momento mi diede il parcheggio gratis. Oggi, ho sposato l'idea del Movimento 5 stelle di istituire la figura del garante».Lei guida?«Sì, ed è curioso. Quando guido e dall'esterno qualcuno mi osserva, difficilmente pensa io sia disabile».Perché?«Perché ho capelli lunghi, biondo platino, due grandi occhi azzurri e un seno generoso. Mi trucco e pare quasi immediato pensare che il bollino di handicappato io lo abbia “rubato". Mi è capitato che mi chiedessero il documento con sfacciataggine. E tutto perché porto il rossetto. Come se essere disabile volesse dire avere i baffi».Si fatica a pensare che un disabile possa essere bello.«Eccome se si fatica. Perciò, da tre anni a questa parte, ho deciso di istituire Insieme in passerella, un progetto che il Rotary club mi ha aiutato a realizzare».Di cosa si tratta?«Di una sfilata di moda, che a maggio avrà la sua terza edizione. Sono sempre stata una grande appassionata: mi piace la moda al punto da aver foderato le mie stampelle di una stampa animalier. Ma la moda, da sempre, è perfezione fisica. Così ho voluto sfatare qualche pregiudizio e affermare, in passerella, che disabilità non è bruttezza o tristezza».Come?«Con modelle e modelli disabili. Negli anni, ho avuto modelle come me, in carrozzina, una modella down e una con la vitiligine. Una modella focomelica, un modello in sedia a rotelle».Come le ha scelte?«Per la prima edizione, le ho scelte io, su Internet. Poi, hanno cominciato a propormisi, alcune dalla Sicilia, altre dalla Francia. Non sono mai andata per agenzie. Vorrei dare a tutti la possibilità di esibirsi».Le modelle, disabili o meno, restano modelle. C'è competizione tra loro?«Non direi. Da noi, si respira un'aria diversa, il proposito comune di sbattere in faccia alle persone che la disabilità è anche bellezza. C'è grande voglia di farci sentire, grande unione».Quali sono i canoni di bellezza che una ragazza o un ragazzo disabile applica più di frequente?«Bellezza, per chi è disabile, è la capacità di mostrarsi al mondo, senza veli».Cosa non scontata.«Al contrario. Tanti disabili hanno paura ad uscire dal proprio guscio, perché la società in qualche modo dà loro l'impressione di essere inadeguati. Ho incontrato tante ragazze che, pur avendo la mia età, non hanno mai trovato la forza di uscire di casa».Come sono finite in passerella queste ragazze?«Lo hanno fatto perché noi non mettiamo in scena uno spettacolo morboso, ma cerchiamo di valorizzare i pregi di una persona camuffandone i difetti. C'è stata una ragazza, una molto timida, cui la disabilità ha causato gravi problemi di depressione. Non curava nemmeno la sua igiene personale. Oggi, gira in tacchi a spillo e gonna corta, e a non essere contento, forse, è rimasto solo suo padre».Merito suo o della passerella?«Di entrambe, credo. Ho detto a questa ragazza di levarsi le scarpe da nonna che era solita portare. Le ho spiegato come valorizzare la propria femminilità. “Mettiti i tacchi", le ho detto, “Che te ne frega, sei già seduta non puoi nemmeno lamentare il mal di piedi"».Un bel vantaggio, in effetti.«Ce n'è stata un'altra, una madre con un bambino che si vergognava della sua disabilità. A scuola lo prendevano in giro. Dopo la sfilata, tutto s'è dissolto in una bolla. Il bimbo andava in giro dicendo “Mia madre è una modella", e l'onta per la disabilità è sparita».Il binomio disabilità-maternità, però, è ancora un tabù.«Da sfatare. Una madre disabile, spesso, ha qualche difficoltà in più durante la gravidanza, ma è una madre al pari di chiunque altro. La gente, però, sembra non capirlo. Strabuzzano gli occhi e ti chiedono “Ma dài, hai pure dei figli?". Siamo nel 2019. Tra le modelle, c'è una ragazza di 21 anni, disabile, con due bimbi».Forse, quel che si fatica ad accettare è l'idea che un disabile abbia una sessualità normale.«Però, è così. Si pensa che un disabile sia uno sfigato condannato alla solitudine. Alla meglio, si pensa, potrà stare con un altro disabile».E non è così?«No. Io ho un fidanzato, biondo, con gli occhi azzurri. Abbiamo gli stessi colori e chi non ci conosce, spesso, mi chiede se sia mio fratello. Mi verrebbe da rispondere: “No, ci vado a letto"».Severo, ma giusto.«Ringraziando Dio, io non ho mai avuto problemi con i fidanzati. Certo, sono stata mollata, ma è capitato anche ad Angelina Jolie. A volte, ho faticato a spiegarmi perché tra tante ragazze che camminano i miei ragazzi abbiano scelto l'unica che non può farlo, ma è sempre stato un problema mio».L'assistente sessuale, dunque, è una figura necessaria?«Sì, ed io nel mio piccolo ho sposato la causa di Maximiliano Ulivieri. Vorrei che la gente capisse che un disabile ha gli stessi bisogni e impulsi sessuali di una persona “normale". Ho letto un libro, L'Accarezzatrice di Giorgia Wurth edito nel 2014 da Mondadori, in cui si racconta di alcune madri costrette a masturbare i propri figli. È terribile».È favorevole all'aborto?«Sì, è necessario garantire a una madre la libertà di scegliere. Credo, però, che sia fondamentale sensibilizzare i futuri genitori sulla disabilità. Nessuna madre nasce pronta, non c'è un manuale di istruzioni. È all'eugenetica che sono profondamente contraria».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)