2023-06-01
Sinistra in corto sul tabù della razza che annichilisce le crociate buoniste
Intesa bipartisan per abolire il lemma dai documenti della Pa. Una lotta contraddittoria: può persino nuocere alle minoranze.Viene da dire: ma che razza di decisione è questa? Solo che «razza» sta diventando una parola proibita. Si sono scomodate nientemeno che le commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera, per approvare all’unanimità la messa al bando del vocabolo dai documenti della Pubblica amministrazione. Quello di razza è «un concetto antiscientifico», ha tuonato Arturo Scotto (Pd-Articolo 1), autore dell’emendamento che introduce, al posto del lemma pestifero, l’innocuo «nazionalità». L’idea di razza «non è più in linea col momento storico attuale», gli ha fatto eco Walter Rizzetto, di Fratelli d’Italia. Già, perché per motivi oscuri - complesso d’inferiorità? Paura di finire sulla graticola? Esigenza di archiviare le uscite di Francesco Lollobrigida sulla «sostituzione etnica»? - il centrodestra insegue gli avversari in quest’ultima, ridicola crociata woke. Che lascia perplessi, già a una prima occhiata, per almeno tre motivi. Il primo riguarda l’uso disinvolto, da parte dei progressisti, delle categorie di scienza e natura. Immaginiamo che la tesi di Scotto sia questa: sul piano biologico, non esistono razze diverse. Gli esseri umani sono tutti uguali, siano essi nati in Africa o in Nordamerica. Bene. Ma allora perché, per abrogare il termine «razza», ci si può aggrappare all’elementare dato di realtà e invece, quando c’è di mezzo il gender, all’improvviso la natura non conta più nulla? E diventa tutta una questione di sovrastrutture culturali, di percezione individuale, di decostruzione e autocostruzione dell’identità? La natura, salvifica in un caso, è matrigna nell’altro. Si viene colti, pertanto, da un vago sospetto: che pur di portare a casa il punto politico, i compagni ricorrano al gioco delle tre carte. Scaltri, ma un po’ prevedibili. Per restare in tema, la loro non è esattamente una mossa da cavalli di razza…Il riferimento alla galassia Lgbt ci porta dritti alla seconda questione. In occasione dei 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha pronunciato una frase sulla quale la stampa si è tuffata, interpretandola come una tirata d’orecchi al ministro Lollobrigida: nella visione dello scrittore, ha affermato il capo dello Stato, «è la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e protezione». Sorvoliamo sulla fedeltà della tesi al pensiero dell’autore dei Promessi sposi. Dimentichiamoci di quando, in Marzo 1821, don Lisander chiamò l’Italia «una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie», oltre che «di sangue e di cor». Seguiamo fino in fondo la logica del Colle: smettiamola di discutere di razza, di etnia, di nazione. Sì, magari non arriviamo al thatcheriano «la società non esiste». I gruppi, comunque, non contano: conta solo l’individuo. Come mai, però, cinque giorni prima del discorso sul Manzoni, Mattarella ha condannato omofobia, bifobia e transfobia, che rappresentano «un’insopportabile piaga sociale»? Non s’è stabilito che il diritto si fonda sulla persona, anziché sull’essere membri di una qualche categoria?Ora, può darsi che l’argomento valga a targhe alterne, come la normatività della natura: lo si adotta per depennare razza, etnia e nazione, lo si accantona per difendere le rivendicazioni arcobaleno. Ma se si vuole essere conseguenti, la combinazione dei lodi Scotto-Mattarella dovrebbe lasciare sguarniti sia i «perseguitati» del pride, sia uomini e donne di colore. Soprattutto se, con comprensibile rigore, dall’intervento sui documenti della Pa si arrivasse a quello sulla Carta fondamentale.Ironia della sorte, a ventilare l’ipotesi sono stati alcuni esponenti di maggioranza. Il forzista Paolo Emilio Russo, ad esempio, ha anticipato che «il progetto di riforme istituzionali che il Parlamento esaminerà nelle prossime settimane potrebbe essere l’occasione per superare definitivamente il concetto» di razza «anche nella nostra Costituzione». La quale, all’articolo 3, vieta appunto le discriminazioni basate su sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Tanto basta per far incartare i paladini della cancel culture: i costituenti credevano di essere illuminati? Manco per idea: erano una specie - specie si può dire? - di suprematisti occulti. Ed ecco il terzo paradosso. La sostituzione della «nazionalità» alla «razza», anziché eliminare un odioso «concetto antiscientifico», rischia di far venir meno una tutela costituzionale. D’accordo, i cinesi, a volte, vengono presi di mira proprio perché vengono dalla Cina, a prescindere dagli occhi a mandorla. Ma chi odia i neri li discrimina in quanto senegalesi, congolesi, kenioti? O in quanto neri? I saggi riformatori di destra e sinistra studieranno almeno l’ipotesi di far subentrare alla «razza» il «colore della pelle»? Sarà abbastanza scientifico, come concetto? Abbastanza in linea col momento storico? Intanto, sulla falsariga dei moniti di Mattarella, i giornali progressisti si dimenano, poiché Giorgia Meloni, ostinata, «difende l’uso di termini come “nazione”» (La Stampa). In più, cita Ernest Renan, ridotto a «teorico della razza ariana». Come se Aristotele fosse soltanto il filosofo del maschilismo, Platone il padre del comunismo, John Locke l’apologeta della persecuzione anticattolica, Giovanni Gentile l’ideologo del Duce.Dunque, aggiorniamo un attimo l’indice delle parole tabù. È vietato menzionare l’etnia, se no Elly Schlein sobbalza sulla sedia. Guai a citare la razza, ma allora bisogna decidere come ribattezzare i razzisti: saranno «odiatori delle nazionalità»? Potrebbe andare. Però anche «nazione», nonché «patria», sono lemmi scivolosi. «Pilastri fondamentali», denuncia addirittura il quotidiano di Massimo Giannini, della «neolingua» meloniana. Delle due l’una: o l’appartenenza a una nazione merita di essere protetta da offese e soverchierie, oppure è un’eredità fascista di cui liberarsi. Insomma, la sinistra faccia pace col cervello. Oddio, abbiamo scritto «pace»: è un concetto in linea con i tempi? Non è che poi sembriamo putiniani?
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