2022-08-14
«Pitturiamo i nostri capi con pennelli e rulli, rendendoli pezzi unici»
Il ceo di Avant Toi Fiorella Ghignone: «Dipingere il cashmere fu una trasgressione che ha avuto grande successo. Ora produciamo circa 40.000 maglie l’anno».Si occupa di moda da sempre, «perché l’azienda l’ha fondata mia mamma e giocavo con i gomitoli fin dall’infanzia», racconta alla Verità, Fiorella Ghignone, ceo di Avant Toi, marchio di maglieria di alta qualità. «Dopo gli studi ho fatto una esperienza da un’altra parte per capire come funzionava e come era il lavoro presso terzi. Ma velocemente sono entrata nella nostra azienda insieme a mio fratello per seguire le orme di nostra madre». Liapull, che all’inizio si chiamava Maglieria Lia, prende il nome dal Lia Giambetta, madre di Fiorella e Mirko Ghignone, che la fondò nel 1955, da sempre nota per le collezioni in filati basici come il mohair e la lana. Sua mamma da dove è partita?«Fu un inizio casuale. Nel dopoguerra dovette interrompere il suo corso di studi per aiutare la famiglia e mio nonno le regalò una macchina da maglieria che teniamo ancora come un pezzo da museo in fabbrica. Cominciò dopo un corso a creare le prime maglie e provò a venderle con molta determinazione, e senza arrendersi mai. Aveva un certo estro, i capi erano piaciuti e iniziò ad avere una clientela che faceva ordini».Tutto da sola?«In un primo momento sì, si occupava dalla smacchinatura alla cucitura ma poi capì che aveva bisogno di una persona che l’aiutasse a cucire, poi ne prese un’altra che stirava, un passo alla volta finché si è ingrandita e siamo arrivati noi figli. Aveva un mercato prevalentemente locale, ligure, in quanto la fabbrica è a Genova». Si è sempre dedicata alla maglieria?«Sempre. Produceva capi particolari, molto più estrosi di quelli che si trovavano in giro allora, fatti artigianalmente con filati di qualità, caratteristiche che ci ha trasmesso e che abbiamo mantenuto in questi anni. Eseguiamo tutto in Italia, non abbiamo mai delocalizzato, sono state scelte non facili in certi momenti ma che hanno decretato il nostro successo». Quale è stato il vostro apporto?«Quando siamo entrati mio fratello e io, abbiamo provato a lavorare il cashmere che negli anni Ottanta stava iniziando la sua comparsa. Il cashmere richiede una lavorazione particolare, una follatura che la lana non richiedeva. Abbiamo comperato i primi 3 chili di cashmere per i primi pezzi. Contemporaneamente una signora tedesca che si occupava di moda ci disse che se avessimo fatto una collezione carina sarebbe stata certa di venderla ai suoi clienti di lusso tedeschi.È stato l’inizio delle nostre esportazioni».Quando arriva Avant Toi?«La collezione si chiamava Liapull finché, nel 1994, anche per esigenze commerciali, bisognava creare un nuovo marchio per non sovrapporsi a quello storico. Sempre tutto di nicchia, mercato di alto livello, pochi quantitativi ma non con lo stesso marchio». In che modo avvenne?«Mio fratello, che ha preso la parte artistica di nostra madre, ha provato a dipingere il cashmere. Era una trasgressione sporcarlo con gesti pittorici ma è stata la nascita di qualcosa che non c’era creando così una nuova linea. Una volta presentata è piaciuta agli addetti ai lavori ma non si era sicuri sarebbe piaciuta al cliente finale. Invece, raccolse un grande successo e piano piano è stato quello che ci ha portato ai giorni nostri. Tutt’ora facciamo questo cashmere artistico con trattamenti meccanici e applicazioni particolari».Cosa s’intende per cashmere pittorico?«A differenza della maglia stampata i nostri sono tutti pezzi unici perché vengono a aerografati uno a uno, che significa spruzzare un colore dal dritto e uno al rovescio per un effetto melange oppure, usando il pennello, si creano vari disegni. Altro metodo, il rullo, come quando si dà la pittura nelle case o anche con le mani a camouflage».La maglia resta rigida dove passa il colore?«Assolutamente no, anzi, le maglie sono ancora più morbide. Grazie a queste pitture acquisiscono una morbidezza maggiore. Abbiamo anche introdotto capi con la seta, il cotone e lini di massima qualità». Dove avviene la produzione?«A Genova, partiti con macchine manuali, ma siamo appassionati di tecnologia e pur mantenendo il carattere artigiano ci siamo evoluti, abbiamo fatto molta formazione alle nostre persone, quasi 60 dipendenti per essere aggiornati».Mercati?«L’Italia è nostro mercato di riferimento ma subito dopo c’è l’America. Poi la Germania ci ha sempre dato tanto lavoro e pure Francia, Svizzera, Belgio, e Far Est in Corea, Giappone e negli ultimi due tre anni si sta sviluppando un buon lavoro in Cina e in Australia. Ci piace creare non solo rapporti di business ma anche di relazione, per questo seguiamo personalmente i nostri clienti che sono oltre 300 nel mondo».Quante maglie fate dipinte a mano?«Circa 40.000 in un anno. Ogni maglia richiede l’intervento delle mani e a certe maglie servono anche 30 fasi di lavorazione. Nessuna maglia è uguale all’altra, è quasi una maglia d’alta moda grazie all’infinità di colori in cui viene sviluppata. Per questo nessun negozio fa scelte uguali agli altri. Ora c’è pure la parte home, lanciata da poco, coperte cuscini tappeti». Chi disegna? «Il direttore creativo è mio fratello, che con sua moglie segue la parte artistica assieme a una squadra di ragazzi che contribuiscono a realizzare le idee. Sono un vero e proprio team di artisti e anche in chi produce materialmente le maglie serve amore e passione per realizzarle. A tanti ragazzi piace creare».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)