2019-01-19
A forza di dare addosso a Trump, i giornali Usa si travolgono da soli. Punto per punto le bufale sul Russiagate
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La testata americana BuzzFeed, che cita la testimonianza di fonti anonime, vicine al procuratore speciale sul caso Russiagate, Robert Mueller, rivela che il presidente americano avrebbe ordinato al suo ex legale, Michael Cohen, di mentire al Congresso sui negoziati per costruire la Trump Tower a Mosca. Per ora, l'unica cosa certa è che, sino a oggi, l'inchiesta non sembra essere andata troppo lontano. I nemici del magnate non hanno ancora capito che puntare tutto su questo potrebbe rivelarsi in definitiva un clamoroso autogol.Un'ennesima bufera si è abbattuta su Donald Trump. Il presidente americano avrebbe infatti ordinato al suo ex legale, Michael Cohen, di mentire al Congresso sui negoziati per costruire la Trump Tower a Mosca. A rivelarlo, è stata la testata americana BuzzFeed, che cita la testimonianza di fonti anonime, vicine al procuratore speciale sul caso Russiagate, Robert Mueller. Non solo. Nel corso della campagna elettorale del 2016, il magnate newyorchese avrebbe anche incaricato il suo avvocato di organizzare un viaggio in Russia che sarebbe poi tuttavia saltato. Stando all'articolo di BuzzFeed, Mueller disporrebbe di prove scritte (soprattutto email) scambiate all'interno del comitato elettorale di Trump. E lo stesso Cohen avrebbe confermato il tutto al procuratore speciale.Insomma, il presidente americano torna sotto accusa. I media si sono nuovamente scatenati, i democratici alla Camera promettono la creazione di una commissione di inchiesta per far luce sulla vicenda, mentre qualcuno già accarezza l'ipotesi di mettere Trump in stato d'accusa. In questa complicata situazione, aggravata dallo scontro parlamentare sullo shutdown, torna a farsi potentemente viva l'inchiesta Russiagate. Eppure, nonostante le certezze di qualcuno, la situazione non è forse così lineare come sembra. Anche perché, nelle ultime ore, è stato proprio un portavoce dello stesso Mueller a definire le nuove rivelazioni di BuzzFeed su Trump come «non accurate». Innanzitutto qualche dubbio sorge sulle affermazioni di Cohen. È vero: secondo BuzzFeed - lo abbiamo detto - Mueller possiederebbe prove scritte. Ma, al momento, quello che abbiamo a disposizione è solo la posizione dell'ex legale del miliardario: una figura che, se proprio non vogliamo definire un “bugiardo" come fa Trump, quantomeno suscita dubbi in termini di attendibilità. Al di là della sua dubbia etica professionale, non dimentichiamo che già quest'estate aveva accusato Trump di avergli fatto pagare delle pornostar per comprare il loro silenzio nel corso della campagna elettorale. Un atto che - a suo dire - avrebbe comportato la violazione della legge statunitense sui finanziamenti elettorali. Peccato che, anche su queste colonne, venne platealmente smentito dal noto avvocato (democratico) Alan Dershowitz, secondo cui - posto che l'accusa fosse fondata - il magnate newyorchese non avrebbe violato alcunché, visto che la suddetta legge non vieta ai candidati di far ricorso alle proprie finanze illimitatamente.In secondo luogo, bisogna fare anche attenzione a BuzzFeed. Va bene tutelare l'anonimato delle proprie fonti. Ma ci sono alcuni precedenti che non tornano. Non fu del resto proprio questa testata a pubblicare per la prima volta il famoso rapporto sui cui gran parte dell'impianto accusatorio di Russiagate si è a lungo fondato? Quel rapporto che, stilato da una ex spia britannica, sosteneva tra le altre cose che Trump fosse ricattato da Putin? Un rapporto i cui contenuti al momento non sono stati granché provati e che - soprattutto - si scoprì fosse stato finanziato dal comitato elettorale dell'allora candidata, Hillary Clinton. Inoltre, volendo andare al di là del caso specifico di Cohen, è tutta l'inchiesta Russiagate che in realtà, almeno sino a oggi, ha mostrato crepe e contraddizioni. Il punto è che questa indagine pare procedere a tentoni: prima Trump veniva accusato di essere una spia russa, poi di essere una marionetta ricattata da Putin, adesso di essere un palazzinaro goffo che avrebbe mischiato i suoi interessi personali con le questioni di politica. Insomma, in tutto questo caos, non è affatto chiaro se Trump debba essere considerato un traditore della patria o un avido affarista. E questo continuo cambio di bersaglio potrebbe dirla lunga sulla fondatezza di un'indagine molto lunga (è iniziata a maggio del 2017), dispendiosa e che - a oggi - di pistole fumanti ne ha prodotte ben poche.D'altronde, una delle grandi debolezze di Russiagate è sempre stata la premessa politica da cui ha preso le mosse. Da quando questa vicenda ha avuto inizio, si è sempre dato per scontato che - alle elezioni del 2016 - Hillary Clinton fosse la candidata anti-russa, laddove Trump fosse un putiniano di ferro. In realtà le cose non stanno esattamente così. Non dimentichiamo infatti che nel 2015 il New York Times sostenne che, da segretario di Stato, Hillary Clinton avrebbe favorito la cessione dell'azienda canadese Uranium One alla società statale russa Rosatom, dando così ai russi il controllo di una parte delle riserve di uranio statunitensi. Proprio in quello stesso periodo, la sua fondazione privata, la Clinton Foundation, avrebbe ricevuto cospicue donazioni dalla dirigenza dell'azienda in questione. Ma i legami tra la Clinton e Mosca non si fermerebbero qui. Ricordiamo infatti che, al centro di Russiagate, c'è sempre stata la controversa figura dell'ex manager del comitato elettorale di Trump, Paul Manafort. Proprio quest'ultimo, visti i suoi trascorsi come lobbista in Ucraina tra il 2012 e il 2014 in un think tank filo-russo, è sempre stato accusato di essere il trait d'union tra Putin e il magnate newyorchese. Eppure, in quello stesso periodo e in quello stesso think tank, operava anche Tony Podesta: il fratello di quel John Podesta che, nel 2016, è stato il capo del comitato elettorale di Hillary Clinton.Insomma, non è chiaro se le nuove rivelazioni di Cohen produrranno qualche effetto concreto. Per ora, l'unica cosa certa è che, sino a oggi, l'inchiesta di Mueller non sembra essere andata troppo lontano. Del resto, derubricare un evento complesso come la vittoria presidenziale di Trump nel 2016 a un affare di spionaggio e hacker russi è forse un'eccessiva semplificazione. E i nemici del magnate non hanno ancora capito che puntare tutto su questo potrebbe rivelarsi in definitiva un clamoroso autogol.