
Famiglia Cristiana polemizza di nuovo con Matteo Salvini, proponendo l'immagine di una natività «immigrata». Ma Maria e Giuseppe non c'entrano niente con l'invasione. Come spiegano pure illustri membri della Chiesa.con un camion sulla folla. I soldati dello Stato islamico vogliono attaccare «l'Occidente corrotto», certo. Ma anche l'Occidente cristiano (e infedele). Dunque si accaniscono sui mercatini di Natale, e a farne le spese sono poveri innocenti che passano di lì per caso, vittime collaterali dell'odio per la cristianità. Persone che muoiono perché organizzazioni come l'Isis bramano un Natale rosso sangue. Le minacce degli uomini in nero arrivano puntuali appena la festività si avvicina e purtroppo qualche volta si avverano. Forse ad Antonio Megalizzi del Natale importava poco o nulla, non lo sappiamo. Ma la sua morte e la natalità sono orribilmente legate. E poiché i nostri Natali, da qualche tempo, sono già inzaccherati di sangue, dovremmo evitare di macchiarli ulteriormente. Dovremmo averne più cura, senza svilirli per motivi ridicoli. Dovremmo, se non altro, evitare le banalità e strumentalizzazioni. Due parole che si addicono perfettamente al numero di Famiglia Cristiana ora in edicola. Sulla copertina c'è una grande foto di due immigrati del Ghana, Yousef e Faith. Sono marito e moglie, tengono in braccio il figlio piccolo e ne hanno un secondo in arrivo. Il settimanale sfodera un titolo a effetto: «Non c'era posto per loro». Il paragone con la sacra famiglia che non trova posto «nell'albergo» è voluto, tanto che il giornale paolino specifica che questa coppia di immigrati incarna «il vero significato del presepe». «Il presepe 2018 sono loro», ribadisce Antonio Anastasi nell'articolo all'interno. Per i due ghanesi «non c'era posto» nel centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto. Tutta colpa del decreto sicurezza di Matteo Salvini che «nega accoglienza a chi ha titolo alla protezione umanitaria». L'affermazione è falsa. L'abolizione della protezione umanitaria non solo non è totale (nel senso che sopravvivono altre forme di tutela), ma, soprattutto, non è retroattiva. Dunque chi, a oggi, ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari non deve essere cacciato dai centri. Famiglia Cristiana, però, fa intendere che funzioni così. Si adegua alla linea dei giornali progressisti e ribadisce che il decreto Salvini causerà disastri e drammi. Come ovvio, il leader leghista ha replicato all'ennesimo attacco del settimanale (che già gli aveva attribuito tratti demoniaci), e i giornalisti della antica testata si sono immediatamente atteggiati a vittime della censura governativa. Solito teatrino, in sostanza. Che Famiglia Cristiana faccia politica, del resto, è ormai noto. Qui, però, c'è in gioco qualcosa di più profondo e serio dell'ennesima querelle fra preti pro immigrazione e leghisti. Qui, appunto, c'è in gioco il senso del Natale. Sempre sulla copertina di Famiglia Cristiana campeggia una dichiarazione di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano, conosciuto per le sue tirate pro migranti. Il prelato dichiara senza tentennare che «chi ama la natività dev'essere accogliente». E aggiunge, con un certo disprezzo dell'italiano: «Che ci siano dei cattolici che “confortano" Salvini sulla sua linea è veramente perdente come cristiani». Insomma: chi non è favorevole all'invasione non è un vero cristiano. È più o meno la posizione espressa da don Luca Favarin, il prete capellone secondo cui il presepe non va fatto «per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, per rispetto dei poveri» (non per nulla, il direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Rizzolo, lo difende nel suo editoriale). Essere cristiani significa accogliere gli immigrati; il presepe è una celebrazione della migrazione, ripetono in coro questi sacerdoti. Solo che Maria e Giuseppe non erano migranti che, in cerca di migliori condizioni economiche, hanno lasciato la loro terra per dirigersi in un Paese straniero. Lo ha scritto e riscritto Antonio Socci, lo ribadisce perfino monsignor Gianfranco Ravasi (sul sito di Famiglia Cristiana, guarda un po'). «Giuseppe, “figlio di Davide" (Matteo 1,20), cioè appartenente alla genealogia del celebre re ebraico, è costretto con la sua sposa incinta a scendere dalla regione settentrionale di Galilea fino alla meridionale Giudea, nella “città di Davide chiamata Betlemme proprio perché apparteneva al casato della famiglia di Davide"», specifica Ravasi. Maria e Giuseppe tornano nella loro terra d'origine, a Betlemme, per il censimento. Non vengono esclusi dagli alberghi perché «stranieri». «È probabile», spiega ancora Ravasi, «che i parenti di Giuseppe non avessero più a disposizione una stanza per lui e la sposa incinta. Gli offrirono, allora, uno spazio collegato alle residenze di allora, ove erano ospitati gli animali di notte e d'inverno e ove spesso si riuniva la famiglia nelle serate fredde». La sacra famiglia, infatti, dopo la nascita di Gesù resta a Betlemme ancora per diverso tempo. E quando scappa di nuovo lo fa per sfuggire alla persecuzione di Erode. Una furia omicida del tutto simile a quella dei mostri islamisti. La storia della sacra famiglia parla di odio verso i cristiani. Lo scambio di doni non è (solo e sempre) consumismo: San Francesco invitava i fedeli a festeggiare anche con ricchi regali. Per queste cose, ancora oggi, si viene ammazzati. Rispettarle di più significa avere più rispetto per noi stessi.
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