2023-04-27
Il Pd della Schlein riparte da «Vogue» per vestire la solita fuffa con stile
Il segretario dell’ex partito dei lavoratori concede una lunga intervista alla rivista patinata, in cui confessa di vestirsi consultando un «armocromista» e di temere il «burnout». Di idee concrete, neanche l’ombra.«Non mi fido dei politici che fanno i tuttologi». Esattamente in quell’istante, mentre un tramonto rosso si liquefa nel mare azzurro sorprendendo una vela bianca, Elly Schlein decide di diventare nientologa. Di non sapere nulla del termovalorizzatore di Roma, di non avere un’idea del destino dell’orsa JJ4, di non volersi sbilanciare sull’utero in affitto anche se «ci stiamo battendo per i figli delle coppie omogenitoriali. Occorre farlo con una mobilitazione permanente». Il motivo? «Love is love». Mentre lo spiega - trench verde salvia su pantalone vinaccia poco circolo Arci - si sente molto cool come quando seguiva le campagne elettorali di Barack Obama, la prima da neofita, la seconda da esperta «con facoltà di formare i volontari». Quelli con i cappellini blu dem. Perché colori e cromatismi già appestano l’aria e pervadono l’articolo? Perché la vera novità è nella tavolozza. Lei una certezza ce l’ha e la confida subito: l’importanza dell’armocromia, l’analisi del colore per sentirsi bene e non essere travolti dal burnout, «la paura di bruciarsi». Chi non ha un armocromista di fiducia lasci perdere la politica del terzo millennio, rischia solo crisi isteriche, basti guardare la fine di Carlo Calenda. C’è tutto il woke siliconvallico possibile nella prima intervista al caminetto della neosegretaria dell’ex partito dei lavoratori. E la scelta della rivista a cui concederla è un’indicazione strategica senza neppure scomodare Marshall McLuhan e il suo «il mezzo è il messaggio»: Elly ha privilegiato Vogue Italia perché, in un sussulto di verità, evidentemente ritiene che oggi le mode siano molto più vincenti delle idee.La lady left italiana non brilla per originalità. Prima di lei era stato Matteo Renzi a regalarsi in tutto il suo manierismo fiorentino alle pagine patinate (la cosa non gli portò bene). E un anno fa anche Volodymyr Zelensky aveva fatto un passaggio mondano nel tentativo di trasformare lo scalone presidenziale in un wargame vellutato, quindi accettabile per l’opinione pubblica occidentale obnubilata dagli apericena e dalle serie Tv. Schlein si concede alle domande da sfilata nel tentativo di andare oltre il «power dressing» e un po’ ci riesce parlando dei suoi miti: la Alexandra Ocasio Cortez immortalata nell’abito con la scritta bertinottiana «tassa il ricco», la serie Tv The Crown e «la forza della comunità», con tutto ciò che vuol significare. Più si prosegue nella lettura, più ci si rafforza in una convinzione: Giuseppe Conte salirà ancora nei sondaggi.Secondo la regola aurea della segretaria, l’approccio all’intervista è come quello alla monnezza romana: «costruire cicli positivi di circolarità che escano dal modello lineare». Così la figlia del diplomatico con passaporto bis parla al volgo rosso di tutto. Passa con eleganza dal sovranismo degli altri al grande abbraccio arcobaleno, da Ken Loach all’Armata Brancaleone in videocassetta, da Jacinta Ardern in lacrime alle ciclovie. Adora il modello neozelandese, ritiene che le disuguaglianze debbano essere appianate con la caccia agli evasori (come Giovanni Goria, auguri) e proprio non coglie il successo di Giorgia Meloni. «Non ci serve una premier donna se non si batte per migliorare le condizioni delle altre donne, perché il soffitto di cristallo non lo rompi da sola, è proprio fisica, non lo rompi con un solo punto di pressione. Se la maggioranza delle donne sono ancora discriminate nel lavoro, nell’accesso ai servizi, nel subire violenza di genere, e quindi neanche arrivano a vederlo quel soffitto. A cosa serve una premier donna?». La profondità dell’assunto è spiazzante, tanto valeva tenersi Enrico Letta. Però love is love.Scivolando come in uno slalom a Cortina verso traguardi anticonvenzionali e colorati («mi fido dei consigli dell’armocromista»), la neosegretaria non sorprende, non spiazza, non incide. Sembra impegnata anche qui nel suo sport preferito: eludere i temi sociali, stare lontana dal fuoco delle proposte per non rischiare di toccare gli interessi delle sette correnti e dei colonnelli dem che l’hanno issata fin lassù. Lei Madonna Pellegrina (così l’ha rappresentata La Repubblica nel sabba del 25 Aprile a Milano) e collaudati arnesi come Nicola Zingaretti, Dario Franceschini, Goffredo Bettini, Pier Luigi Bersani a reggerla con scricchiolii di rotule sul trespolo rosso. Con il cambiamento climatico come mantra e un ultimo impegno programmatico: «Non lasciare l’internazionalismo ai nazionalisti».Si esce da Vogue come da una pasticceria, sopraffatti dalla vaniglia. Con Schlein in doppiopetto color carta di zucchero, prevedibilmente sfinita dalla fatica di rispondere e con il giornalista preoccupato dallo sforzo dell’intervistata. Come sopperire al sacrificio di guidare il popolo? «Non ho una ricetta chiara. I rischi ci sono quando hai un lavoro che ti assorbe molto e che magari implica anche una responsabilità verso gli altri. A volte ti senti schiacciato. Io provo a rimanere comunque sempre in contatto con me stessa, ad ascoltarmi, a capire quando sto tirando troppo e a difendere alcuni spazi. Poi la sera cerco di decomprimere guardandomi una serie tv oppure giocando alla PlayStation». Sembra che a farle paura sia il solito volgare mondo in bianco e nero del Nazareno. Qui urge un’altra vacanza o alme o un weekend ristoratore a Capalbio. Perché la rivoluzione non dorme, il pianeta si scioglie, ma contro il burnout non ci sono rimedi.
Jose Mourinho (Getty Images)