2025-04-17
L’ardito del Sol Levante: l’incredibile avventura di Harukichi Shimoi
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A fianco di D’Annunzio, a Fiume, c’era anche un intellettuale giapponese, innamorato di Dante e dell’Italia. Che il Vate considerava «fratello non di sangue».Chi abbia visti la fiction su M. Il figlio del secolo senza una profonda padronanza dei fatti e dei personaggi dell’Italia del primo Novecento avrà sicuramente pensato a una licenza poetica nel vedere, accanto a Gabriele D’Annunzio, un giapponese vestito di tutto punto come un samurai (non la peggiore e più fantasiosa licenza della serie, peraltro). E invece niente affatto: Harukichi Shimoi è stato un incredibile personaggio esistito veramente, frutto esemplare di quella vicenda eroica e meravigliosa che fu l’avventura di Fiume.L’avventura di Shimoi è raccontata oggi nel libro Un samurai a Fiume (Oaks), costituito da un lungo saggio di Guido Andrea Pautasso, che ricostruisce vita e opere dell’intellettuale nipponico, più una serie di scritti di e su di lui. Shimoi nacque nel 1883 ad Asagura-cho, nei pressi di Fukuoka, nel Sud del Giappone, quarto figlio del samurai Kikuzo Inoue. Nel 1907, a 24 anni, venne adottato da Kisuke Shimoi, a causa della crisi economica in cui era sprofondata la sua famiglia.Dopo aver studiato alla Scuola Magistrale di Tokyo e aver ottenuto la laurea in anglistica con la specializzazione in lingua italiana, innamorandosi della Divina Commedia, Shimoi insegnò in un liceo femminile della capitale giapponese. La passione per Dante lo portò a fondare la Società Dantesca Giapponese e, nel 1915, a partire per l’Europa. In Italia, nel 1917, diede alle stampe un’antologia di liriche del suo Paese, intitolata Poesie giapponesi, che diventò un vero e proprio caso letterario. In molti dubitarono dell’autenticità di quelle poesie e della esistenza stessa del curatore, pensando che fosse una brillante trovata culturale tutta nostrana.Allo scoppio della prima guerra mondiale, Shimoi offrì la sua collaborazione come inviato sui campi di battaglia italiani ai giornali del suo paese e ai quotidiani napoletani Il Mattino e Il Mezzogiorno. Dopo le giornate di Caporetto, Shimoi ebbe modo di incontrare a Venezia il Vate Gabriele D’Annunzio. Così ricordò quell’incontro: «Ho conosciuto D’Annunzio durante la scorsa guerra mondiale. Eravamo compagni sul fronte di battaglia. In particolar modo dopo la disfatta di Caporetto [...] D’Annunzio cominciò a pronunciare il discorso della sconfitta d’Italia e da allora io e lui ci stringemmo l’un l’altro trattenendo le lacrime. Da allora D’Annunzio cominciò a chiamarmi “Fratello non di sangue”. In seguito, quando diventammo più intimi lui mi chiamò “Fratello Shimoi” ed io a mia volta “Fratello D’Annunzio”».Dopo la guerra, Shimoi decise di raggiungere l’amico D’Annunzio a Fiume, alla fine di febbraio del 1920. Qui, il giapponese consegnò al Vate l’onorificenza di Cavaliere del Sol Levante, oltre a un messaggio di incoraggiamento: «A Gabriele D’Annunzio. Fiume. Vengo a Fiume, città di martirio, con messaggio dell’“Osaka Asahi”, per abbracciare in voi l’anima più alta d’Italia». Pronunciate quelle parole, il Comandante lo accolse calorosamente e lo indicò ai legionari suoi seguaci ancora una volta come un fratello speciale, lo nominò poi Caporale d’onore della sua guardia del corpo.Nel 1922, Shimoi partecipò alla marcia su Roma. Mussolini e D’Annunzio erano peraltro in disaccordo sul modo in cui traslitterare il cognome: «Quell’acca tra una esse e una i, fa il nome esotico e bello», affermava il Vate. Ma Mussolini insisteva per italianizzarlo: «Roma romanizza tutto ciò che è barbaro, anche i nomi».Tornato nel suo Paese, divenne un testimonial del fascismo in patria. Deluso dall'esito della seconda guerra mondiale, Shimoi si allontanò dalla politica e nel secondo dopoguerra divenne amico di Indro Montanelli, giunto in Giappone per dei reportage e per il quale fece da guida nel suo paese natio. Ritiratosi a vita privata, morì nel 1954.
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