2023-02-16
Passo indietro del premier scozzese paladino dei trans e nemico della Brexit
Nicola Sturgeon si dimette: «Sono stanca». A pesare pure i flop sul voto per la secessione da Londra e le folli leggi sul cambio di genere.Vorrei provare a condividere con i lettori della Verità una mia sempre più radicata convinzione. Contro gli eccessi dell’ideologia woke, così come della teoria gender nella sua versione più divisiva e lacerante, esistono solo due anticorpi, diversissimi tra loro - direi opposti - ma entrambi potenzialmente efficaci. O la presenza in campo di un conservatore liberale, un tipo alla Ron DeSantis in Florida, per capirci, che ha il coraggio di aprire una chiara campagna di contrasto: per un verso scommettendo sulle libertà per tutti, ma per altro verso attaccando il «dirittismo» ideologico. Oppure - altra medicina di segno opposto - possono essere paradossalmente utili esperimenti politici di sinistra così estremisti, così ideologizzati, così radicalizzati, da creare inevitabilmente un autogol, un incidente, e di fatto un cortocircuito politico. Nel primo caso, vince direttamente la linea liberalconservatrice; nel secondo caso, perde l’estremismo woke che si fa male da solo. Ma il risultato complessivo non cambia. Questa lunga premessa per dire che molto probabilmente in Scozia si è realizzata la seconda ipotesi. La notizia di ieri è infatti quella delle clamorose dimissioni di Nicola Sturgeon, fino a poche ore fa premier scozzese e leader dello Scottish National Party, nonché in passato paladina anti-Brexit e sostenitrice dell’opportunità per Edimburgo di rimanere nell’Ue. La Sturgeon ha parlato di una scelta compiuta negli ultimi giorni per «senso del dovere e amore», e che a suo dire non sarebbe frutto di «pressioni a medio termine». Naturalmente, sulla scia di quanto già accaduto in Nuova Zelanda con Jacinda Ardern, non è mancata una parte della conferenza egoriferita e ad alta intensità emotiva (con l’obiettivo evidente di scatenare la simpatia dei media progressisti): «Voglio dedicare un po' di tempo a Nicola Sturgeon come essere umano», ha detto la leader parlando di se stessa. E ancora: «Vi sembra egoistico? Spero di no». A seguire, prevedibilmente, lacrimoni e ringraziamenti al marito. La verità - ad avviso di chi scrive - è che la Sturgeon si è autoazzoppata con tre mosse catastrofiche. La prima (ecco l’eccesso woke) è stata l’approvazione di una legge - a dir poco discutibile e controversa - che ha di fatto consentito il cambiamento di genere sui documenti già a 16 anni e sulla base di una mera autocertificazione, senza nemmeno uno straccio di autorizzazione medica. Capite bene che l’età così anticipata e il mero riferimento all’autopercezione siano fattori di scardinamento di qualunque paletto. Chi scrive - per piena trasparenza con i lettori - ritiene che sia un fattore di civiltà offrire percorsi legislativi liberali e ragionevoli alle persone transgender. Ma farlo così, abbassando qualunque soglia (sia anagrafica sia di valutazione medica) rappresenta una deriva francamente sconcertante. Non a caso il dibattito nel Regno Unito è stato rovente, con una clamorosa reazione legale del governo centrale del conservatore Rishi Sunak, e anche con una pesante e argomentata polemica contro la Sturgeon condotta dalla scrittrice J. K. Rowling.Dopo di che, a stretto giro di posta, si è verificato un caso di cronaca gravissimo, con uno stupratore che si è dichiarato transgender (profittando proprio della legislazione Sturgeon) ed è finito tra le proteste generali in un carcere femminile. La storia è quella di tale Isla Bryson (oggi), ma di nascita Adam Graham, biologicamente uomo e responsabile di due stupri. Dopo di che, sulla base delle nuove norme, Isla Bryson aveva chiesto e ottenuto di finire in una galera per donne, suscitando una inevitabile rivolta civile e politica. Ecco l’autogol e il cortocircuito di cui si diceva, con gli eccessi woke che finiscono per divorare se stessi. Una seconda mossa politicamente discutibile della Sturgeon sta nel mondo in cui per anni ha concepito la devolution. Non come una forma (benefica) di avvicinamento delle decisioni ai territori e ai cittadini, ma come un mix di richiesta di sussidi centrali, di regalie di welfare concesse ultralargamente, e contemporaneamente di costante, ossessivo, reiterato risentimento politico contro Londra e il Regno Unito. Un altro cortocircuito: anziché generare un effetto virtuoso di responsabilizzazione, la concezione di devolution della Sturgeon si è rivelata - nello stesso tempo - costosa, piagnona e divisiva.La terza mossa negativa è stato il tentativo fallito, nell’autunno scorso, di indire un nuovo referendum per l’indipendenza scozzese. In quel caso la Sturgeon è stata stoppata dalla Corte Suprema del Regno Unito, che ha negato alla Scozia il potere di indire la consultazione senza l’assenso del governo centrale di Londra. Parlando in occasione delle sue dimissioni, l’ex leader dello Scottish National Party si è dichiarata «fermamente convinta che il mio successore condurrà la Scozia all’indipendenza, una causa che sarà vinta», aggiungendo di aver «portato il Paese più vicino al traguardo» e concludendo di esser convinta che il processo «sia nella fase conclusiva». Per ora - però - ad essersi conclusa è la sua corsa.
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