2024-06-07
«I partigiani uccisero mio padre per provocare un’altra Via Rasella»
Il nuovo libro di Pierangelo Maurizio ricostruisce la storia segreta e le trame dietro l’omicidio di Torello Tombesi. «I romani devono sapere, devono sapere che si stava preparando una seconda Via Rasella…». Antonio ha 99 anni, lucido, lucidissimo, ne ha passati 80 a cercare di capire. Il 13 aprile 1944 i Gap a Roma compirono la loro ultima azione. Davanti al portone di casa assassinarono il console della milizia ferroviaria Torello Tombesi, 56 anni, eroe della Prima guerra mondiale, e il giovane autista, Giuseppe Gentile, 25 anni. Li aspettavano travestiti questa volta da operai e geometri del Comune. Uno di loro prima salutò: «Buongiorno, signor colonnello»; e poi fece fuoco. «Li ammazzarono con sette colpi di pistola alle spalle. Quattro gappisti avevano il compito di uccidere, due facevano da copertura» dice Antonio Tombesi. L’autista morì poco dopo per le ferite riportate, il console della polizia ferroviaria rimase ucciso all’istante. Torello Tombesi era suo padre. [...]Antonio Tombesi ha letto ogni dettaglio delle memorie di gappisti. Ogni anche minima ricostruzione della vulgata resistenziale. «In particolare», spiega senza mai un tentennamento, «il libro uscito postumo (pubblicato nel 1984, nda) di Franco Calamandrei, nome di battaglia “Cola”». È La vita indivisibile. Diario 1941-1947. Antonio potrebbe recitare le parole a memoria. Sfoglia il libro, pagina 209. «Il giorno 13 aprile “Cola” scrive: “L’azione di via Anapo (colonnello della milizia) è stata effettuata perfettamente. Hanno sparato Al. e S. Gu. e Ra., Fra. e Ant. hanno fatto da copertura…». Su questi nomi appuntati ci torneremo tra poco. Perché più che il «chi» conta come sempre il «perché», mette subito in guardia Antonio. Sul «perché» ci ha passato decenni, e ha capito. Era una trappola. Una vittima in divisa, l’esca. Non era il console della Milizia, suo padre, il vero obiettivo. Serviva solo per provocare un funerale eccellente, da trasformare in una nuova strage. [...]«Il vero obiettivo doveva essere il funerale che sarebbe seguito all’assassinio di un personaggio di spicco. Questa volta non più il carrettino della nettezza urbana, era già pronta una carrozzina per bambini imbottita di tritolo. Sarebbe dovuta esplodere durante la cerimonia solenne o durante il passaggio del corteo funebre». Torello Tombesi non era la prima scelta. «Avevano individuato per eliminarlo prima il figlio di Mussolini, poi il questore Caruso responsabile per aver consegnato ai tedeschi 50 degli ostaggi fucilati alle Ardeatine, quindi un ufficiale nazista, tutti rivelatisi irraggiungibili. Troppo protetti. Ripiegarono su mio padre e l’autista perché erano i bersagli più facili…» prosegue. [...]«Mio padre era un eroe della Prima guerra mondiale, ne uscì da capitano, due medaglie al valor militare, una sul campo...». Quando fu assassinato che incarico aveva? «Era ispettore delle ferrovie distaccato in servizio di polizia ferroviaria. Un ruolo puramente amministrativo. Non aveva scorta. Tanto che quando caddero nell’agguato lui e l’autista erano praticamente disarmati». Avevano solo le pistole d’ordinanza. [...]«Il funerale doveva svolgersi in forma solenne come poi avvenne. Però mia madre volle a tutti i costi che io fossi presente. Aspettava il mio ritorno. Da La Spezia impiegai giorni per tornare a Roma, in parte a piedi, in parte con passaggi di fortuna. Ci fu un ritardo, insomma». Ed è questo rinvio con ogni probabilità ad evitare la nuova carneficina. «I gappisti arrivarono a telefonare a casa nostra per informarsi sul giorno e sull’ora. Lo scrive sempre Calamandrei sul diario»… Se non bastasse Franco Calamandrei, ecco la testimonianza di Marisa Musu, un’altra delle gappiste di Via Rasella. È riportata nel libro Roma città prigioniera. Testualmente: «Guarda, da alcuni mesi stavamo facendo il possibile per ammazzare il questore Caruso, un carnefice aguzzino. Nonostante i pedinamenti e gli appostamenti era guardatissimo, non ci riuscivamo. Allora pensammo di provocare un funerale, a cui Caruso andasse, e attaccare alla grande il corteo funebre facendo fuori anche lui».Caruso effettivamente ci sarà al funerale del console Tombesi. L’azione «alla grande» lo avrebbe realmente fatto fuori. Insieme ad altre decine o più probabilmente altre centinaia di vittime. Che le esequie di un esponente nazifascista fossero ormai il pensiero fisso da settimane, è fuori dubbio. Un omicidio seguito dal funerale, per un attentato come Via Rasella, più di Via Rasella. Maggiori particolari li fornisce sempre «Cola». «Il giorno 10 aprile», continua Antonio Tombesi, «Franco Calamandrei scrive: “S. dà il via per l’uccisione dell’ufficiale della milizia che dovrà fornirci il funerale…”». [...] Sappiamo invece ancora una volta dalle memorie di «Cola» che gli uomini e le donne del braccio armato del Pci ci provarono fino all’ultimo ad avere una seconda Via Rasella. 17 aprile, Calamandrei scrive: «Stamani di buon’ora, venuta meno per i contrattempi di ieri sera la possibilità di sistemare l’ordigno vicino alla camera ardente, abbiamo (Pa. Ra. ed io) trasportato la cassetta…».I gappisti devono rinunciare non per un qualche ripensamento soggettivo. Ma perché, dopo mesi di attentati e omicidi alle spalle con le stesse modalità, il servizio d’ordine tiene d’occhio in particolare le coppie e le mette in condizione di non poter agire. [...]«Erano funerali solenni, non con tre familiari. Erano presenti tutte le autorità italiane e tedesche, tra cui il generale Maeltzer, il questore e il governatore di Roma». Inoltre, il piazzale antistante la cappella dell’obitorio dov’era allestita la camera ardente era pieno di «fascisti». «Io c’ero, erano presenti centinaia di estimatori di mio padre. Se fosse esploso l’ordigno dei Gap? Avrebbe provocato certamente un elevato numero di morti e un’ulteriore rappresaglia». [...]«Poi abbiamo subito tante violenze» dice, con una piega alla bocca e un balenio negli occhi. «La targa di famiglia al portone la trovavamo sempre imbrattata di escrementi e di sputi, per anni. Avevo tenuto la pistola di mio padre. Parecchie notti mi sono appostato in strada per sorprendere gli autori di questi atti. Ma per fortuna il Padreterno mi ha tenuto una mano sulla testa, e non ho mai incrociato nessuno…». E Antonio ancora non sa - nessuno di noi ancora lo sa - che quello che è riuscito a scoprire, forse, è più importante di quanto abbiamo immaginato finora.
Simona Marchini (Getty Images)