2019-03-20
Parigi prima taglia i rapporti Ue-Usa e poi critica l’accordo Italia-Cina
Mentre il Parlamento autorizza il governo alla firma del memorandum sulla Via della seta, Emmanuel Macron entra a gamba tesa e invoca l'arbitro europeo. Il suo timore è che Pechino possa snobbare l'asse francotedesco.No, la morale da Macron proprio no. Per quante perplessità - sul piano geopolitico complessivo - possa sollevare il Memorandum of understanding tra Italia e Cina, va respinta al mittente l'offensiva francese, per ora fatta di veline e avvertimenti obliqui, mirata a dire all'Italia cosa possa o non possa fare. Il presidente francese non si è esposto in modo diretto, ma ha usato la ben nota tecnica di far uscire una nota attribuita a non meglio precisate «fonti» dell'Eliseo. La parola chiave è «preoccupazione», che Macron ha fatto filtrare nei colloqui tra i cronisti e i suoi portavoce (in questo caso, i suoi portasilenzi, visto che tutto è rimasto sotto il velo dell'anonimato). La «fonte» francese ha fatto sapere tre cose. Primo: la »preoccupazione» dell'Eliseo per il fatto che «nelle relazioni bilaterali con Pechino alcuni paesi possano firmare accordi che si spingano eccessivamente lontano». Secondo: la Francia, e questo è il cuore del messaggio, «non sostiene questo approccio». Anzi, lo considera «inopportuno» rispetto a un'eventuale futura iniziativa dell'Ue. La «fonte» ha ricordato il prossimo vertice già fissato tra Unione Europea e Cina per l'inizio di aprile e un successivo summit specificamente dedicato alla Via della seta, e ha sottolineato che l'impostazione francese sarebbe quella di «pesare in blocco su scala continentale, non disperdendo le forze con accordi bilaterali». Terzo: la «fonte» macronista, evidentemente in vena non solo di dar disposizioni all'Italia ma anche di annunciare le scelte di altri paesi, ha fatto sapere che nemmeno la Germania dovrebbe firmare un memorandum come quello italiano. Ora, se queste cose le dicesse un esponente politico o un commentatore italiano, potrebbero essere condivisibili, ma, trattandosi di un diktat che viene da Parigi, c'è da diffidare. Intanto, chi ci fa la morale si prepara a sua volta a incontrare Xi Jinping: Macron riceverà con tutti gli onori il presidente cinese domenica e lunedì. Probabilmente, non verrà firmato un accordo, ma è realistico che i due non parleranno solo di storia, filosofia e letteratura. Semmai, la nota di Macron evidenzia la preoccupazione che qualche intesa infrastrutturale possa sfuggire alla Francia. Inoltre, se Macron crede che debba esserci un approccio comune europeo, non si vede la ragione per cui lui stesso corra a incontrare Xi. La realtà è un'altra, e cioè l'ormai radicata attitudine francotedesca a invocare l'Ue come un treno esclusivamente guidato da Berlino e Parigi. Vogliono essere loro a guidare il convoglio, e non gradiscono movimenti autonomi altrui. Ma, anche lasciando da parte le furbizie di Macron, la realtà (questa sì preoccupante, per chi non si fida di Pechino) è che l'Ue ha già largamente ceduto alle lusinghe cinesi. Sono infatti 14 i Paesi europei che hanno stretto rilevanti accordi di vario tipo con la Cina. E - cosa ancora più grave e strategica - non manca proprio nessuno dei 27 Paesi Ue (anzi, dei 28, perché in questo caso nell'elenco c'è purtroppo anche l'Uk) tra gli aderenti all'Asian Infrastructure Investment Bank, che sarà il vero e proprio braccio finanziario della Belt and road initiative. È bene spiegare cosa sia questa Aiib: si tratta della mega istituzione finanziaria che Pechino vede come un'alternativa asiatica e sinocentrica, chiamata a togliere spazio e peso, nell'immenso teatro orientale, alla Banca mondiale. Sta qui il cuore della sfida: e duole constatare che da anni tutta l'Europa, non ascoltando i richiami Usa, si sia consegnata all'iniziativa finanziaria cinese. Macron è fin troppo consapevole di tutto questo. Ed è stato proprio lui, mentre Donald Trump stava avviando il durissimo negoziato con Pechino - tuttora in corso - per indurre la Cina a pratiche commerciali meno scorrette, il primo a mettere i bastoni tra le ruote al presidente Usa: esattamente lo stesso schema che l'Eliseo aveva già utilizzato contestando Trump sul dossier Iran. Che ora sia proprio Macron a fare il paladino dell'atlantismo, appare una beffa. Resta infine l'argomento di fondo. Non tocca al presidente francese, ma al governo e al Parlamento italiano definire le nostre scelte di politica internazionale. È il funzionamento dell'ordinamento costituzionale italiano: materia su cui immaginiamo che Sergio Mattarella, invitato a Parigi il 2 maggio prossimo, anniversario della morte di Leonardo da Vinci, non avrà difficoltà a dare qualche ragguaglio al presidente francese. In ogni caso ieri Giuseppe Conte ha riferito in Aula sul tema, assicurando «un attento monitoraggio delle singole iniziative».
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