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2021-12-18
Parigi e Berlino respingono la linea Draghi sui tamponi. Bocciati i test sui vaccinati
Emmanuel Macron e Olaf Scholz (Chesnot/Getty Images)
Contrordine compagni, e soprattutto contrordine giornaloni. Ieri mattina, con l’eccezione della Verità, i maggiori quotidiani italiani avevano descritto la presenza di Mario Draghi al Consiglio europeo un po’ come le cronache latine celebravano i trionfi di Cesare in Gallia.
Il Corriere della Sera era stato appena appena più cauto nell’editoriale («Nessuna sfida a Bruxelles. Buon senso e forza dei numeri»), anche se nell’occhiello di pagina 3 lo stesso quotidiano milanese si era fatto sfuggire un imbarazzante «Il premier tira dritto». Ma Stampa e Repubblica avevano titoli addirittura inneggianti e tambureggianti. Ecco il quotidiano torinese in prima: «La Ue: sì al green pass all’italiana». E addirittura nel sommario di pagina 2 compariva un surreale: «Il Consiglio europeo impone ai 27 il modello di Roma». Stessi toni in apertura su Rep: «Ue, passa la linea Draghi». E nel sommario di pagina 2 un impegnativo: «A Bruxelles via libera ai limiti voluti da Roma». Insomma, a leggere questi quotidiani, si sarebbe materializzato un successo politico pieno del governo di Roma, e addirittura un rovesciamento della linea europea a beneficio della scelta italiana. Un Draghi triumphans avrebbe piegato ogni dissenso.
La realtà, raccontata ieri dal nostro quotidiano, appariva molto meno gloriosa per Draghi. Non una bocciatura, ma nemmeno un trionfo. Anzi, nel documento conclusivo dei lavori, aveva trovato posto un richiamo all’Italia, una correzione a matita rossa, se non una tirata di orecchie, con l’esplicita richiesta agli Stati membri che «qualsiasi restrizione sia basata su criteri obiettivi e non mini il funzionamento del mercato unico o danneggi in misura sproporzionata la libera circolazione tra gli stati o i viaggi nella Ue». Altro che elogio, insomma: e meno che mai l’adozione della linea italiana.
Nella giornata di ieri, pur senza censure esplicite verso l’Italia (ma forse avendo trovato surreali i resoconti dei media italiani), Parigi e Berlino hanno messo i proverbiali puntini sulle i, precisando ulteriormente la loro contrarietà all’uso «draghiano» dei tamponi verso chiunque entri in Italia, e lasciando trapelare le dichiarazioni critiche rese dai loro leader nel corso del vertice del giorno prima.
Ecco la Francia attraverso Emmanuel Macron: «Non prevediamo di introdurre dei test Covid all’interno dell’Ue, perché teniamo al buon funzionamento dello spazio comune, e quindi non imporremo test nei confronti dei Paesi europei, ma verso Paesi terzi». Secondo la ricostruzione di Politico, Macron avrebbe lasciato a verbale che «la decisione dell’Italia non gli è piaciuta». Mentre il Financial Times ha rivelato che a criticare l’Italia in modo palese sono stati anche Estonia, Spagna e Belgio. Sulla medesima linea francese anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz: «La libertà di movimento in Europa è importante», e dunque, quanto all’ipotesi di nuove restrizioni, «stiamo seguendo le orme della Francia».
Morale: nel documento finale, varato con approvazione unanime, il perimetro dell’intesa è risultato minimale, limitato all’accelerazione delle vaccinazioni (con particolare riferimento alle terze dosi) e alla sottolineatura di una qualche esigenza di uniformità sul green pass.
Ecco un primo passaggio rilevante: «Sono necessari ulteriori sforzi coordinati per rispondere agli sviluppi, basati sulle migliori prove scientifiche». E ancora, sul pass digitale Ue, si evidenzia «l’importanza di un approccio coordinato sulla validità» del lasciapassare. Secondo passaggio significativo sulle vaccinazioni: è urgente «attuare le campagne di vaccinazione per tutti i cittadini ed è cruciale effettuare i booster».
Ma sullo sfondo resta il malumore per la fuga in avanti italiana. Un anonimo funzionario Ue citato da Avvenire riferisce un consistente disappunto: «Molti leader si sono concentrati sulla validità dei certificati Covid e sull’importanza di un approccio coerente e coordinato al momento di adottare misure nazionali». Come dire: non sono state gradite le differenziazioni e le norme peggiorative.
Aspro anche il belga Alexander De Croo: «Se ogni Paese si rimette di nuovo a fare cose per conto proprio, tutto diventerà più difficile». Stessi toni e stessa irritazione anche da parte del rappresentante lussemburghese Xavier Bettel: «Se adesso torniamo alle regole nazionali, come faremo a convincere la gente a vaccinarsi?».
Insomma, il «trionfo» di Draghi è stato tale solo sui media italiani. Resta da capire se si sia trattato di una prova di zelo spontanea (per quanto imbarazzante) o se qualche velina informale o qualche versione veicolata da Palazzo Chigi abbia contribuito alla fantasiosa rappresentazione degli eventi comparsa sui quotidiani di ieri.
Autostrada del Brennero ridotta a una sola corsia per fare i controlli
Disagi alle frontiere a causa delle nuove restrizioni per chi arriva dall’estero: fino al 31 gennaio chi entra in Italia da tutti i Paesi Ue, anche se vaccinato, dovrà effettuare un test antigenico nelle 24 ore precedenti all’ingresso, oppure molecolare nelle 48 ore precedenti. Chi non è vaccinato, oltre a farsi tamponare, dovrà restare in quarantena per cinque giorni. I controlli vengono effettuati a campione dalle forze dell’ordine. Esentati i residenti nella fascia di 60 chilometri dal confine e i frontalieri, ma si segnalano problemi per chi arriva dalla Svizzera interna. Alcuni cittadini elvetici sono stati bloccati al confine in quanto sprovvisti del tampone. Come riporta il Corriere del Ticino, , alcune persone a bordo di un’auto sono state bloccate a Bizzarone. «Parlare di respingimento non è esatto», dice il comandante del gruppo della Guardia di finanza di Ponte Chiasso, il colonnello Andrea Alba, «le persone controllate non avevano il tampone ed è stato spiegato loro come, per entrare in Italia, fosse necessario il test. Sono state quindi invitate a fare il test».
Intanto, dalle 18 di ieri, l’Autostrada del Brennero, su indicazione della polizia, è stata ridotta a una sola corsia per quel che riguarda la carreggiata sud in prossimità del confine di ingresso in Italia, in modo da favorire il controllo di green pass e tamponi. Il restringimento della carreggiata a una sola corsia, è facile prevederlo, aumenterà le code degli automobilisti e dei tir diretti verso l’Italia.
I controlli, però, in alcuni casi farebbero acqua soprattutto per quel che riguarda gli aeroporti. Ieri Striscia la notizia ha rivelato che in alcuni casi gli addetti ai controlli si limitano a dare un’occhiata al green pass, senza effettuare la verifica con l’apposito scanner, dando il via libera a chi entra in Italia. L’inviato Valerio Staffelli, insieme con la sua troupe, ha filmato molti episodi di questo genere sia a Milano Linate sia a Roma Fiumicino. In Piemonte invece, all’aeroporto di Torino Caselle, sono stati potenziati i controlli sui passeggeri in arrivo. Le verifiche sono effettuate a campione su voli ritenuti sensibili per provenienza, numero di passeggeri e documentazione sanitaria presentata all’imbarco. Non in regola circa il 5% delle persone controllate, poste in isolamento. Gli stessi controlli verranno effettuati anche nell'aeroporto di Levaldigi.
Ieri il ministro Luciana Lamorgese ha presieduto il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che ha disposto un ulteriore rafforzamento dei dispositivi di vigilanza sull’intero territorio nazionale in vista delle prossime festività natalizie. I prefetti sono stati invitati a convocare apposite riunioni dei Comitati provinciali, anche per predisporre specifici servizi di prevenzione in prossimità dei luoghi di culto delle diverse confessioni, degli aeroporti e dei porti, delle stazioni ferroviarie e delle reti viarie. L’Italia si blinda, dunque, o quanto meno tenta di farlo, in vista del prevedibile afflusso di turisti dall’estero per le festività natalizie. Le città d’arte e le località sciistiche sono tradizionalmente le mete privilegiate da parte di turisti di tutto il mondo, in particolare europei.
La stretta decisa dal governo guidato da Mario Draghi, che ha deciso di rendere obbligatorio il tampone anche per chi è vaccinato e in possesso quindi di green pass e arriva da Paesi dell’Unione europea, è in un certo senso una scommessa: se i controlli si dimostreranno lacunosi, il provvedimento risulterà inutile; se invece, a causa di queste verifiche, come ad esempio rischia di accadere per l’Autostrada del Brennero, i disagi scoraggeranno l’arrivo di turisti dall’estero, a essere penalizzati saranno gli imprenditori del settore, già messi in ginocchio da questi due anni di crisi pandemica.
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Al Consiglio europeo. Emmanuel Macron chiude: «Non li introdurremo». Olaf Scholz segue la stessa strategia. Nel documento finale, nessun riferimento all’obbligo per chi viaggia.Autostrada del Brennero ridotta a una sola corsia per fare i controlli. Rischio caos. In Piemonte più verifiche negli aeroporti: irregolare il 5% dei passeggeri.Lo speciale comprende due articoli. Contrordine compagni, e soprattutto contrordine giornaloni. Ieri mattina, con l’eccezione della Verità, i maggiori quotidiani italiani avevano descritto la presenza di Mario Draghi al Consiglio europeo un po’ come le cronache latine celebravano i trionfi di Cesare in Gallia. Il Corriere della Sera era stato appena appena più cauto nell’editoriale («Nessuna sfida a Bruxelles. Buon senso e forza dei numeri»), anche se nell’occhiello di pagina 3 lo stesso quotidiano milanese si era fatto sfuggire un imbarazzante «Il premier tira dritto». Ma Stampa e Repubblica avevano titoli addirittura inneggianti e tambureggianti. Ecco il quotidiano torinese in prima: «La Ue: sì al green pass all’italiana». E addirittura nel sommario di pagina 2 compariva un surreale: «Il Consiglio europeo impone ai 27 il modello di Roma». Stessi toni in apertura su Rep: «Ue, passa la linea Draghi». E nel sommario di pagina 2 un impegnativo: «A Bruxelles via libera ai limiti voluti da Roma». Insomma, a leggere questi quotidiani, si sarebbe materializzato un successo politico pieno del governo di Roma, e addirittura un rovesciamento della linea europea a beneficio della scelta italiana. Un Draghi triumphans avrebbe piegato ogni dissenso. La realtà, raccontata ieri dal nostro quotidiano, appariva molto meno gloriosa per Draghi. Non una bocciatura, ma nemmeno un trionfo. Anzi, nel documento conclusivo dei lavori, aveva trovato posto un richiamo all’Italia, una correzione a matita rossa, se non una tirata di orecchie, con l’esplicita richiesta agli Stati membri che «qualsiasi restrizione sia basata su criteri obiettivi e non mini il funzionamento del mercato unico o danneggi in misura sproporzionata la libera circolazione tra gli stati o i viaggi nella Ue». Altro che elogio, insomma: e meno che mai l’adozione della linea italiana. Nella giornata di ieri, pur senza censure esplicite verso l’Italia (ma forse avendo trovato surreali i resoconti dei media italiani), Parigi e Berlino hanno messo i proverbiali puntini sulle i, precisando ulteriormente la loro contrarietà all’uso «draghiano» dei tamponi verso chiunque entri in Italia, e lasciando trapelare le dichiarazioni critiche rese dai loro leader nel corso del vertice del giorno prima. Ecco la Francia attraverso Emmanuel Macron: «Non prevediamo di introdurre dei test Covid all’interno dell’Ue, perché teniamo al buon funzionamento dello spazio comune, e quindi non imporremo test nei confronti dei Paesi europei, ma verso Paesi terzi». Secondo la ricostruzione di Politico, Macron avrebbe lasciato a verbale che «la decisione dell’Italia non gli è piaciuta». Mentre il Financial Times ha rivelato che a criticare l’Italia in modo palese sono stati anche Estonia, Spagna e Belgio. Sulla medesima linea francese anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz: «La libertà di movimento in Europa è importante», e dunque, quanto all’ipotesi di nuove restrizioni, «stiamo seguendo le orme della Francia».Morale: nel documento finale, varato con approvazione unanime, il perimetro dell’intesa è risultato minimale, limitato all’accelerazione delle vaccinazioni (con particolare riferimento alle terze dosi) e alla sottolineatura di una qualche esigenza di uniformità sul green pass. Ecco un primo passaggio rilevante: «Sono necessari ulteriori sforzi coordinati per rispondere agli sviluppi, basati sulle migliori prove scientifiche». E ancora, sul pass digitale Ue, si evidenzia «l’importanza di un approccio coordinato sulla validità» del lasciapassare. Secondo passaggio significativo sulle vaccinazioni: è urgente «attuare le campagne di vaccinazione per tutti i cittadini ed è cruciale effettuare i booster». Ma sullo sfondo resta il malumore per la fuga in avanti italiana. Un anonimo funzionario Ue citato da Avvenire riferisce un consistente disappunto: «Molti leader si sono concentrati sulla validità dei certificati Covid e sull’importanza di un approccio coerente e coordinato al momento di adottare misure nazionali». Come dire: non sono state gradite le differenziazioni e le norme peggiorative. Aspro anche il belga Alexander De Croo: «Se ogni Paese si rimette di nuovo a fare cose per conto proprio, tutto diventerà più difficile». Stessi toni e stessa irritazione anche da parte del rappresentante lussemburghese Xavier Bettel: «Se adesso torniamo alle regole nazionali, come faremo a convincere la gente a vaccinarsi?».Insomma, il «trionfo» di Draghi è stato tale solo sui media italiani. Resta da capire se si sia trattato di una prova di zelo spontanea (per quanto imbarazzante) o se qualche velina informale o qualche versione veicolata da Palazzo Chigi abbia contribuito alla fantasiosa rappresentazione degli eventi comparsa sui quotidiani di ieri.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/parigi-e-berlino-respingono-la-linea-draghi-sui-tamponi-bocciati-i-test-sui-vaccinati-2656063276.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="autostrada-del-brennero-ridotta-a-una-sola-corsia-per-fare-i-controlli" data-post-id="2656063276" data-published-at="1639771060" data-use-pagination="False"> Autostrada del Brennero ridotta a una sola corsia per fare i controlli Disagi alle frontiere a causa delle nuove restrizioni per chi arriva dall’estero: fino al 31 gennaio chi entra in Italia da tutti i Paesi Ue, anche se vaccinato, dovrà effettuare un test antigenico nelle 24 ore precedenti all’ingresso, oppure molecolare nelle 48 ore precedenti. Chi non è vaccinato, oltre a farsi tamponare, dovrà restare in quarantena per cinque giorni. I controlli vengono effettuati a campione dalle forze dell’ordine. Esentati i residenti nella fascia di 60 chilometri dal confine e i frontalieri, ma si segnalano problemi per chi arriva dalla Svizzera interna. Alcuni cittadini elvetici sono stati bloccati al confine in quanto sprovvisti del tampone. Come riporta il Corriere del Ticino, , alcune persone a bordo di un’auto sono state bloccate a Bizzarone. «Parlare di respingimento non è esatto», dice il comandante del gruppo della Guardia di finanza di Ponte Chiasso, il colonnello Andrea Alba, «le persone controllate non avevano il tampone ed è stato spiegato loro come, per entrare in Italia, fosse necessario il test. Sono state quindi invitate a fare il test». Intanto, dalle 18 di ieri, l’Autostrada del Brennero, su indicazione della polizia, è stata ridotta a una sola corsia per quel che riguarda la carreggiata sud in prossimità del confine di ingresso in Italia, in modo da favorire il controllo di green pass e tamponi. Il restringimento della carreggiata a una sola corsia, è facile prevederlo, aumenterà le code degli automobilisti e dei tir diretti verso l’Italia. I controlli, però, in alcuni casi farebbero acqua soprattutto per quel che riguarda gli aeroporti. Ieri Striscia la notizia ha rivelato che in alcuni casi gli addetti ai controlli si limitano a dare un’occhiata al green pass, senza effettuare la verifica con l’apposito scanner, dando il via libera a chi entra in Italia. L’inviato Valerio Staffelli, insieme con la sua troupe, ha filmato molti episodi di questo genere sia a Milano Linate sia a Roma Fiumicino. In Piemonte invece, all’aeroporto di Torino Caselle, sono stati potenziati i controlli sui passeggeri in arrivo. Le verifiche sono effettuate a campione su voli ritenuti sensibili per provenienza, numero di passeggeri e documentazione sanitaria presentata all’imbarco. Non in regola circa il 5% delle persone controllate, poste in isolamento. Gli stessi controlli verranno effettuati anche nell'aeroporto di Levaldigi. Ieri il ministro Luciana Lamorgese ha presieduto il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che ha disposto un ulteriore rafforzamento dei dispositivi di vigilanza sull’intero territorio nazionale in vista delle prossime festività natalizie. I prefetti sono stati invitati a convocare apposite riunioni dei Comitati provinciali, anche per predisporre specifici servizi di prevenzione in prossimità dei luoghi di culto delle diverse confessioni, degli aeroporti e dei porti, delle stazioni ferroviarie e delle reti viarie. L’Italia si blinda, dunque, o quanto meno tenta di farlo, in vista del prevedibile afflusso di turisti dall’estero per le festività natalizie. Le città d’arte e le località sciistiche sono tradizionalmente le mete privilegiate da parte di turisti di tutto il mondo, in particolare europei. La stretta decisa dal governo guidato da Mario Draghi, che ha deciso di rendere obbligatorio il tampone anche per chi è vaccinato e in possesso quindi di green pass e arriva da Paesi dell’Unione europea, è in un certo senso una scommessa: se i controlli si dimostreranno lacunosi, il provvedimento risulterà inutile; se invece, a causa di queste verifiche, come ad esempio rischia di accadere per l’Autostrada del Brennero, i disagi scoraggeranno l’arrivo di turisti dall’estero, a essere penalizzati saranno gli imprenditori del settore, già messi in ginocchio da questi due anni di crisi pandemica.
La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa dell'8 dicembre con Carlo Cambi
È stata confermata in appello la condanna di primo grado pronunciata nei confronti di Mario Roggero (Ansa)
Nel 2015 Roggero subì una rapina devastante. «Naso, tre costole, operato alla spalla destra il mese dopo, oltre 6 mesi di terapia molto dolorosa», racconta ora davanti alle telecamere del programma condotto da Mario Giordano su Rete 4. «Mi hanno aggredito con una tale aggressività che non ho potuto fare niente. Erano due picchiatori e mi hanno sopraffatto completamente». È il passaggio che demolisce la lettura della Corte, secondo cui nel 2021 Roggero avrebbe «agito con la stessa modalità del 2015». Il gioielliere commenta: «Penoso. Ma stiamo scherzando?». Nel 2015 fu massacrato da due individui che continuarono a picchiarlo quando era a terra. «Chiunque ha visto il video di quella rapina», aggiunge Roggero, «è rimasto profondamente impressionato». E infatti le immagini mandate in onda mostrano un’aggressione brutale, con l’uomo inerme a terra e sangue ovunque. Una scena che per Roggero è trauma puro. Ma per i giudici non è ammissibile che un uomo massacrato nel 2015, che vive un dramma simile nel 2021, abbia reazioni difensive. Il salto di cornice che Roggero mette in evidenza è questo: nel 2015 non si difende, viene pestato, finisce in ospedale. Risultato: innocente, vittima. Nel 2021 reagisce, neutralizza chi minaccia con la pistola e fugge. Risultato: imputato, condannato, trattato da aggressore. Roggero fotografa senza filosofia: «Le vere vittime siamo noi».
Lui lo dice in modo semplice: «Con la pistola in alto non avrei sparato, ma quando lui me la punta in faccia, me la punta in fronte, che faccio?». L’ultimo passaggio delle sue parole è dedicato alla Suprema corte. Sembra un atto di fede laica: «Per la Cassazione», dice Roggero, «si presuppone e si spera che abbiano buon senso i giudici». Per comprendere il percorso dei giudici d’Appello, bisognerà attendere le motivazioni. Già in primo grado, però, era emersa una doppia narrazione: con Roggero nel ruolo di vittima durante la rapina e di aggressore fuori dal negozio. La moglie ha riferito che uno dei rapinatori, «soggetti con plurimi precedenti penali per reati contro il patrimonio» riconoscono i giudici, dopo averla colpita al volto le puntava il coltello al collo e minacciava di uccidere tutti. Alla figlia erano stati legati i polsi dietro la schiena. Roggero ha riferito che il rapinatore gli ha puntato la pistola in faccia, urlando «ti ammazzo». Entrano, lo afferrano, lo spingono verso il registratore di cassa. Lo portano nella zona ripresa dalle telecamere e, mentre afferra il rotolo dei gioielli, l’altro continua a strattonarlo. Poi lo spostano nell’ufficio in cui c’è la cassaforte. Lui ha ancora l’arma puntata alla testa. La scena non dura pochi secondi. Va avanti finché il gioielliere, approfittando di un attimo di distrazione, riesce a schiacciare il pulsante dell’allarme antirapina. Uno dei malviventi se ne accorge e torna verso la cassa. Roggero sente di nuovo la moglie urlare. Riesce a prendere la sua pistola e a spostarsi nel retro. Un gesto istintivo, dettato, dirà in aula, dalla convinzione che la moglie fosse stata presa in ostaggio. I giudici evidenziano anche che la famiglia «è stata sicuramente vittima di una rapina connotata da uso di armi e anche dai citati atti di violenza fisica; condotte che hanno sicuramente generato una forte e comprensibile paura nelle vittime». Fuori c’era un’auto parcheggiata. Ed è a questo punto che la Corte introduce un teorema: quando i rapinatori escono dal negozio, con armi e refurtiva, il pericolo svanisce. Quando si tratta di qualificare la reazione di Roggero all’esterno, i rapinatori diventano di colpo soggetti in fuga, innocui e vulnerabili. Per i giudici, «ha deliberatamente deciso di affrontare i rapinatori con il precipuo fine di assicurarli, lui, alla giustizia, o meglio alla sua giustizia privata, con immediata “esecuzione” della pena nei confronti dei colpevoli». La prova? Da ricercare, secondo i giudici, in alcune interviste, non perfettamente allineate alla ricostruzione giudiziaria, rilasciate dal gioielliere a giornali e tv dopo i fatti. L’azione, in primo grado, è stata giudicata punibile con 17 anni di carcere. Ora lo sconto di pena: 14 anni e 9 mesi (più 3 milioni di euro richiesti dalle parti offese). «Praticamente un ergastolo per una persona di 72 anni», aveva detto Roggero in udienza. E a Fuori dal coro ha aggiunto: «C’è qualcosa che non quadra».
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Maurizio Landini (Ansa)
Al capo della Uil non è giunta neppure una lettera di scuse. Agli aggrediti neppure una manifestazione di solidarietà dai sindacalisti rossi. Ufficialmente è come se l’aggressione nei confronti dei colleghi sindacalisti da parte di quelli dei metalmeccanici della Cgil non fosse mai avvenuta. Eppure, molti giornali ne hanno parlato anche perché gli aggrediti sono finiti in ospedale ed è anche stata presentata una denuncia, affinché il caso non finisca nel dimenticatoio.
Tuttavia, nonostante quanto accaduto sia assai grave e riguardi la vertenza per la sopravvivenza dell’Ilva, ovvero della più grande acciaieria italiana che - grazie all’inchiesta della magistratura - rischia di fallire, Landini di fatto non ha trovato il tempo di commentare. E neppure di prendere le distanze dai suoi. Il che significa solo una cosa, ovvero che il leader del principale sindacato italiano, per convenienza politica, ha imboccato una deriva pericolosa, che rischia di consegnare alcune frange della Cgil all’estremismo più violento.
Su queste pagine abbiamo più volte criticato il linguaggio radicale del segretario della Cgil. Non parliamo solo delle parole usate contro Giorgia Meloni, che venne definita una «cortigiana» di Donald Trump. Tempo fa Landini chiamò gli italiani alla «rivolta sociale», che in un Paese devastato da un terrorismo che ha provocato centinaia di morti non può certo essere lasciato passare come un invito a un pranzo di gala. «Rivolta» è un sostantivo femminile che sintetizza un «moto collettivo e violento di ribellione contro l’ordine costituito». Il significato non lascia dubbi: si parla di insurrezione, sommossa, rivoluzione. Insomma, si tratta di una chiamata se non alle armi quantomeno alla ribellione. Landini in pratica reclama una sollevazione popolare, con le conseguenze che si possono immaginare. Dunque, vedere un manipolo di squadristi rossi che dà la caccia a sindacalisti che su una vertenza la pensano in maniera diversa, suscita preoccupazione.
Pierpaolo Bombardieri, capo della Uil, ha parlato di metodi «terroristici», una definizione che mette i brividi soprattutto in un momento in cui l’Italia è percorsa da manifestazioni ed espressioni che proprio non si possono definire pacifiche. Mentre alla fiera di Roma dedicata ai libri si discute della presenza di un singolo editore non allineato con il pensiero di sinistra (per questo lo si vorrebbe cacciare), a Pietrasanta è comparso un invito a sparare a Giorgia, con la stella a 5 punte delle Br, e ovviamente non si parlava della cantante. Si capisce che sia nel linguaggio sia nelle manifestazioni è in atto un cambiamento e un inasprimento della lotta politica.
A questo punto Landini deve solo decidere da che parte stare. Se di qua o di là. Se con chi difende la democrazia e la diversità di opinione o con chi usa metodi violenti per affermare le proprie idee. Il silenzio non si addice a chi denuncia ogni giorno il ritorno del fascismo. Qui l’unico pericolo viene da sinistra. È a sinistra che si invoca la rivolta. Se Landini non vuole finire nella schiera dei cattivi maestri ha il dovere di parlare e di denunciare chi riesuma lo squadrismo. Con i compagni che sbagliano sappiamo tutti come è finita.
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