Grazie ai soldi raccolti dal nostro settimanale, l’analisi del dna ha dato un’identità a cinque dei 21 militari gettati in una fossa comune a Ossero, nel 1945. Lo studio dei resti ha permesso di fare luce sulla crudeltà comunista: oltre alla fucilazione vi fu lo scempio dei corpi.
Grazie ai soldi raccolti dal nostro settimanale, l’analisi del dna ha dato un’identità a cinque dei 21 militari gettati in una fossa comune a Ossero, nel 1945. Lo studio dei resti ha permesso di fare luce sulla crudeltà comunista: oltre alla fucilazione vi fu lo scempio dei corpi.La fatica del lavoro di minuziosa ricostruzione dei profili genetici reso possibile dalla generosa donazione dei lettori di Panorama (oltre 26.000 euro raccolti) hanno portato finalmente i primi risultati. Sono stati infatti identificati cinque dei marò trucidati dalle milizie titine a Ossero, in Croazia, il 22 aprile 1945. Lo racconta nell’edizione del settimanale in edicola un articolo di Fausto Biloslavo nel quale si racconta come «finalmente c’è un nome. Ai resti delle vittime dei partigiani di Tito l’Università di Trieste è riuscita a far corrispondere le generalità di questi due marò, per ora indicati con le iniziali: “ Il confronto con i profili dei discendenti dei soldati (…) ha consentito di rilevare i seguenti match: OR3, nipote (di zio) del caduto D. F., e la rocca petrosa destra (parte laterale del cranio, ndr) della cassetta 9 - OR14, pronipote (di zio) di C. G., e i campioni di rocca petrosa destra e femore destro contenuti nella cassetta 21”. Complessivamente, a oggi, sono cinque i caduti ignoti identificati grazie all’esame del dna. L’indagine genetica guidata da Paolo Fattorini, direttore della scuola di specializzazione in medicina legale del capoluogo giuliano, sta procedendo».Si tratta, questo, del successo del progetto lanciato dal settimanale nel gennaio del 2021 con l’obiettivo di identificare i 21 marò della X Mas gettati in una fossa comune sull’isola di Cherso, oggi croata, assieme a sei militi del battaglione Tramontana di Cherso. Prigionieri di guerra inermi che si erano arresi, il 21 aprile 1945 a Neresine, sull’isola di Lussino, fatti oggetto di violenze inaudite prima di venire uccisi barbaramente il giorno successivo. Un crimine non solo accertato; dopo 78 anni a quei caduti ignoti si comincia a restituire la loro identità. Biloslavo racconta come «la tesi di laurea di Aurora Carnio su Gli eccidi della Seconda guerra mondiale descrive minuziosamente l’indagine genetica anche se per il vincolo di riservatezza imposto dalla Difesa “tutti i riferimenti specifici a luoghi e persone sono stati omessi”. Panorama è in grado però di confermare che si tratta dei caduti, finora ignoti, di Ossero; e fino alla conclusione del percorso di identificazione non rivelerà le generalità complete dei marò accertati a Trieste, prima che vengano informati ufficialmente i familiari».La tesi di laurea, riporta l’inviato di guerra di Panorama, «ricostruisce il calvario dei militari italiani brutalmente giustiziati: “I crani di 26 cassette […] riportano lesioni […] da arma da fuoco e corpo contundente”. Lo studio antropologico svolto all’università di Bari non soltanto ha ricomposto gli scheletri, ma ricostruito come sia avvenuta l’esecuzione. I prigionieri sono stati portati a Ossero dietro a una chiesa, dove hanno scavato la fossa comune sotto la minaccia delle armi. Poi sono stati allineati sul bordo, davanti al muro del piccolo cimitero e probabilmente fatti inginocchiare». Dalla ricostruzione emerge come i militari italiani siano stati colpiti da proiettili che provenivano frontalmente, come durante una fucilazione, ma sono presenti anche altri particolari agghiaccianti: fori di proiettile alla nuca evocano colpi sparati alle spalle, a mo’ di esecuzione, inoltre «gli aguzzini hanno usato anche una mazza ferrata e un altro corpo contundente per fracassare la testa ai marò. La tesi di laurea», spiega Biloslavo, «elenca i dettagli delle lesioni alla scatola cranica: “La maggior parte (18) ha forma rettangolare invece, 2 hanno forma triangolare e 2 sono rotondeggianti”. Una volta gettati nella fossa i prigionieri senza vita “si ipotizza che […] dei mezzi pesanti abbiano schiacciato i corpi allo scopo di occultarli”. Nella ricostruzione di Panorama emerge come «nel 2019 il commissariato generale per le onoranze ai caduti del ministero della Difesa, in collaborazione con le autorità croate, aveva finalmente riesumato dalla fossa di Ossero i resti dei soldati italiani. Il primo a svelare la storia celata dei marò trucidati dai titini è stato il capitano Federico Scopinich, grazie a testimonianze raccolte sul posto. “A Neresine qualcuno ha continuato a dire che non era vero nulla”, spiega Scopinich. “Sosteneva che i marò erano stati gettati in mare e che dopo 70 anni è impossibile fare l’esame del dna”».Da quel momento si è innescato il circolo virtuoso di generosità dei lettori e di senso di giustizia per le famiglie. Racconta Biloslavo che «dopo la riesumazione le 27 cassette che portavano la scritta “caduto ignoto”, avvolte dal Tricolore, sono state trasferite con tutti gli onori al Sacrario militare di Bari dei “70.000 periti oltremare nella Prima e Seconda guerra mondiale”. Fino a quando, alla fine del 2020, Licia Giadrossi, presidente degli esuli della Comunità di Lussinpiccolo ha proposto a Panorama di promuovere una raccolta fondi sul sito per identificare i marò». E così «in centinaia hanno donato con slancio, compreso il generale Mario Arpino, ex capo di stato maggiore della Difesa, l’Associazione degli incursori di Marina, ma anche i parenti di Norma Cossetto, la martire istriana violentata e infoibata dai partigiani di Tito, esuli, persone comuni e un folto gruppo di amici di Bologna. I 26.293 euro raccolti hanno permesso di attivare il progetto coinvolgendo le università di Bari e Trieste grazie a una convenzione firmata con lo stesso ministero della Difesa». Ma come si procede in una situazione già di per sé complicata, che diventa quasi impossibile visti i decenni trascorsi? Biloslavo spiega che «il primo passo dell’identificazione è stato rintracciare i discendenti dei marò. Impresa tutt’altro che facile, in cui si è impegnato Riccardo Maculan, ex carabiniere e ricercatore storico, che ha trovato i familiari di 14 marò. “Recuperare i fogli matricolari è stato il vero problema”, spiega, “Sono importanti per i dati come altezza e dentatura che vengono utilizzati per i riscontri sull’identità”. Il professor Fattorini sottolinea che “dopo così tanto tempo si tratta soprattutto di nipoti, ma c’è anche qualche sorella e un figlio che vive negli Stati Uniti. Abbiamo realizzato dei «kit» di autoprelievo del campione salivare utilizzato per l’esame del dna”».Il giornalista prosegue indicando come «in questa fase sono stati selezionati i campioni di sette discendenti dei marò, lungo la linea paterna, per il confronto grazie al cromosoma Y. I campioni, ricavati dai resti, sono stati in totale 341 fra denti, femori, tibie, parti del cranio. Il complesso lavoro di confronto ha portato in sette mesi “a cinque identificazioni su sette dna dei familiari selezionati, un ottimo risultato”, spiega Carnio. “Il prossimo passaggio è analizzare altre ossa dei caduti per ottenere nuovi profili da confrontare con i campioni salivari degli ulteriori parenti”». I resti di altri marò potrebbero venire identificati nei prossimi mesi. «Introna», spiega Biloslavo, «che assieme a Luigi Antonio Fino ha aderito per primo all’indagine su questo caso, ha “un sogno: la partecipazione del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla cerimonia solenne per consegnare i resti ai familiari, quando sarà identificato il maggior numero possibile di caduti”».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.