2021-10-28
Palazzo Madama affossa il ddl Zan. Il Pd va a caccia di franchi tiratori
Elisabetta Casellati accetta la richiesta di voto segreto avanzata da Lega e Fratelli d'Italia: i no vincono per 154 a 131. Scambio di accuse tra dem e renziani (con Matteo in Arabia Saudita). Matteo Salvini: l'arroganza è stata sconfitta.Cronaca di una morte annunciata. Come tutti sapevano fin dalla scorsa primavera, il ddl Zan è crollato nell'aula del Senato al primo voto segreto. Un esito ampiamente previsto, che nei numeri è stato ancor più severo nei confronti dei partigiani del provvedimento di quanto si potesse immaginare. All'ora di pranzo, la presidente Elisabetta Casellati informava i senatori di aver intenzione di ammettere le richieste di scrutinio segreto avanzate da Lega e FdI per il non passaggio all'esame del testo. Anche in quel caso, le reazioni (in particolare dei grillini) di chi ha alimentato la bagarre contestando energicamente questa scelta hanno verosimilmente obbedito a una volontà di messa in scena, piuttosto che a una reale convinzione. La scelta della Casellati, infatti, appariva obbligata, visto il dettato chiaro del regolamento stesso all'articolo 113 e dei numerosi precedenti a suo sostegno, riguardanti disegni di legge dal contenuto sensibile a livello etico e tali da investire la coscienza del singolo parlamentare più che la sua appartenenza politica. Lo sapeva bene quel luminare del regolamento del Senato che è Roberto Calderoli, per il quale è stato un compito fin troppo agevole confezionare la richiesta di «tagliola» degli articoli che ha congedato il ddl Zan. E il testo in questione, di materiale sensibile ne offriva a volontà, a partire dai tre articoli (1, 4 e 7) segnalati dal centrodestra e dall'ala riformista del centrosinistra, che riguardavano rispettivamente la definizione di identità di genere, la limitazione della libertà d'espressione e l'obbligo della celebrazione della giornata nazionale contro l'omotransfobia anche nelle scuole paritarie cattoliche. In ogni caso, quanto accaduto ieri non mancherà di lasciare un lungo strascico polemico all'interno del centrosinistra e dello stesso Pd, se è vero che tra lunedì e ieri numerose voci critiche all'operato di Enrico Letta e alla sua offerta di negoziato last minute si erano levate sia dall'ala riformista del partito, che non riscontrava una reale volontà di portare a casa una legge anti discriminazione, sia dall'ala più radicale, assolutamente indisposta a sedersi al tavolo della trattativa col centrodestra e determinata ad andare allo showdown in aula. Risultato: 154 voti a favore dello stop, solo 131 contrari e boato in aula dai banchi del centrodestra, a fronte di una maggioranza teorica del centrosinistra alla quale però sono mancati 16 voti, su cui si sono immediatamente scatenate le accuse incrociate con relativo scaricabarile. I renziani, tra i quali il vicepresidente della Camera Ettore Rosato e Maria Elena Boschi, hanno additato l'arroganza dei dem come causa dell'affossamento, affermando che la proposta di trattativa avanzata da Letta era solamente «uno spot», mentre dai piani alti del Nazareno e da M5s si è puntato l'indice contro Iv, rea di aver fiancheggiato i sovranisti nell'operazione liberticida anti Zan. Tra i 16 voti mancanti, certamente quello dello stesso Matteo Renzi, segnalato in Arabia Saudita anziché a Palazzo Madama, ad aumentare il tono delle accuse da sinistra. L'ex premier ha comunque fatto sentire la sua voce ricordando che «per mesi ho chiesto di trovare un accordo». «Hanno voluto lo scontro e queste sono le conseguenze. Chi polemizza sulle assenze dovrebbe fare i conti con i 40 franchi tiratori. Non importava conoscere la politica, bastava conoscere l'aritmetica». Comprensibilmente soddisfatti i leader del centrodestra: Matteo Salvini ha celebrato la «sconfitta dell'arroganza di Letta e dei 5Stelle: hanno detto di no a tutte le proposte di mediazione, comprese quelle formulate dal Santo Padre, dalle associazioni e da molte famiglie, e hanno affossato il ddl Zan». «Ora», ha aggiunto «ripartiamo dalla proposte della Lega: combattere le discriminazioni lasciando fuori i bambini, la libertà di educazione, la teoria gender e i reati di opinione». Per la presidente di FdI Giorgia Meloni «i primi ad aver affossato la legge sono i suoi stessi firmatari, Zan in testa, che in questa proposta hanno scritto e difeso fino alla fine norme e principi surreali (dal self-id al gender nelle scuole) che nulla avevano a che fare con la lotta alle discriminazioni». Per il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, invece, la lettura è più politica: «Una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l'obiettivo con l'intolleranza».Sull'altro fronte, Letta, «dribblando» le critiche che nel frattempo gli piovevano addosso da destra e da sinistra, affidava a un tweet la propria delusione, scrivendo che «oggi hanno vinto loro e i loro inguacchi, al Senato. Ma il Paese è da un'altra parte. E presto si vedrà», mentre Giuseppe Conte proseguiva nel corpo a corpo polemico con Matteo Renzi parlando di «qualcuno che non ci ha messo la faccia. Questo la dice lunga sulla sensibilità per i diritti civili».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
Continua a leggereRiduci