2023-03-29
I giudici tengono in cella il padre di Saman
Shabar Abbas, padre di Saman (Ansa)
I magistrati pakistani dicono no alla richiesta di rilascio su cauzione. Respinti anche i tentativi degli avvocati del genitore di mandarla per le lunghe tramite cavilli e scuse. Come la domanda di sospendere il processo perché il legale è alla Mecca.Nonostante la richiesta di rinvio per «motivi religiosi» avanzata dal difensore di Shabbar Abbas, il padre di Saman, la diciottenne pakistana assassinata la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021 a Novellara perché si era opposta a un matrimonio combinato, il giudice di Islamabad ha respinto l’istanza di rilascio su cauzione. Shabbar, imputato a Reggio Emilia insieme alla moglie Nazia Shaeen (ancora latitante), allo zio Danish Hasnain (considerato l’esecutore materiale) e a due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, che avrebbero collaborato all’occultamento del cadavere, è stato arrestato in Pakistan a novembre con richiesta di estradizione in Italia. Durante l’udienza di ieri, la quindicesima da novembre scorso, l’avvocato Akhtar Mehmood era assente. E, tramite il suo collega di studio Ajmal Qureshi, ha fatto sapere che non parteciperà alle udienze fino al 25 aprile, perché ha raggiunto la Mecca, in Arabia Saudita, per il pellegrinaggio dell’Umrah durante il ramadan. Il giudice ha quindi nominato un difensore d’ufficio in sostituzione di Mehmood e ha tirato dritto, rigettando sia la richiesta di rinvio, sia l’istanza di liberazione. Poi ha fissato la nuova udienza per domani. I nodi, insomma, nonostante la valanga di eccezioni preliminari sollevate da Mehmood, stanno venendo al pettine. Il giudice ha spiegato al sostituto processuale che non può aggiornare il caso per un periodo di tempo così lungo: «Voglio concludere il procedimento in breve tempo». E ha chiesto che un altro difensore possa rappresentare Shabbar. In assenza, ci sarà un avvocato d’ufficio. E si andrà avanti. «La decisione di non concedere la libertà su cauzione lascia ben sperare, va letto in maniera positiva, come un passo in avanti», ha commentato l’avvocato Riziero Angeletti, che nel processo in Corte d’assise a Reggio Emilia rappresenta l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche in Italia, costituita parte civile. «Nel corso delle udienze precedenti», afferma l’avvocato, «sono sempre stati molto vaghi, ora invece è stata presa una decisione che va in una direzione diversa». E anche Barbara Iannuccelli, legale di Saqib Ayub, il fidanzato di Saman (anche lui costituito parte civile nel processo), legge la decisione come «un buon segnale da parte della giustizia di Islamabad, un guizzo da parte della giustizia pakistana», che probabilmente ha deciso di «non accettare più tutte queste scuse e tutti questi tentativi di dilatare ancora i tempi».La stessa strategia sembra essere stata messa in campo dai difensori di Shabbar anche nel processo in Italia. La posizione del padre di Saman è stata prima stralciata e poi, nel corso dell’ultima udienza (il 17 marzo scorso), riunita di nuovo al procedimento principale. Shabbar, da Islamabad non aveva prestato il consenso a partecipare in collegamento video, poi ha cambiato idea. L’avvocato Simone Servillo che difende i due genitori imputati aveva spiegato che, tramite l’avvocato pakistano, in realtà Shabbar avrebbe voluto partecipare, sostenendo che gli impedimenti erano dovuti a «problemi di rappresentanza delle istituzioni italiane in Pakistan». Il legale ha riferito di aver ricevuto una mail dal collega Mahmood, nella quale si sostiene che quando Shabbar ha sciolto la riserva, scegliendo di collegarsi, «non c’era più la possibilità tecnica». E quindi gli sarebbe stata negata questa possibilità. Si tratta di questioni per nulla secondarie nel processo in Italia, in quanto potrebbero generare dei motivi di nullità o portare, nel migliore dei casi, a dover rinnovare esame e controesame dei testimoni già sentiti. Ma, videoconferenza a parte, se dovesse scattare l’estradizione, con conseguente consegna di Shabbar alle autorità italiane, Shabbar potrà decidere di partecipare alle udienze di persona. E la decisione si avvicina. Il difensore di Shabbar, professore al Jinnah muslim law college di Islamabad, considerato un esperto della procedura penale pakistana, sostiene l’infondatezza degli elementi a carico del suo assistito e la «falsità», così l’ha definita, «della versione fornita dalle autorità italiane (contenuta principalmente nell’ordinanza che dispone il giudizio davanti alla Corte d’assise, che contiene i capi d’imputazione dai quali deve difendersi Shabbar, ndr)». Ma ha anche eccepito l’irregolarità della documentazione e la mancanza di alcuni atti in originale, citando a più riprese «l’extradition Act del Pakistan», ovvero le norme che regolamentano i casi di estradizione. E ha usato tutte le leve giuridiche possibili per trattenere Shabbar in Pakistan. Consapevole che si tratta del primo caso in cui viene applicata una procedura di estradizione di questo tipo e forte del fatto che non ci sono trattati firmati da entrambi i Paesi, ha contestato qualsiasi mossa dell’accusa. Esiste però l’estradizione di cortesia, una consuetudine internazionale che spesso molti Paesi adottano. E che il giudice di Islamabad potrebbe tenere in considerazione per la sua decisione.