Oliver Anthony, cantautore quasi per caso e proveniente dalle zone povere e conservatrici, fa milioni di ascolti attaccando l’élite ricca e liberal. Un assist per la destra trumpiana, ma anche un pungolo per ricordare che le promesse si mantengono.
Oliver Anthony, cantautore quasi per caso e proveniente dalle zone povere e conservatrici, fa milioni di ascolti attaccando l’élite ricca e liberal. Un assist per la destra trumpiana, ma anche un pungolo per ricordare che le promesse si mantengono.Oliver Anthony, al secolo Christopher Anthony Lunsford, vive in una roulotte a Farmville, Virginia, e fino a qualche settimana fa era uno sconosciuto redneck fra migliaia di altri sconosciuti redneck. Un bifolco da stereotipo: pelle bianchissima, guance arrossate e gonfia barba fulva. Un numero dentro una statistica, un forgotten man come quelli che a suo tempo contribuirono all’elezione di Donald Trump e diedero ai giornalisti raffinati lo spunto per una pioggia di articoli tutti uguali sulla «America profonda». Adesso, però, Oliver Anthony è un musicista di strepitoso e repentino successo. Staziona al primo posto della Billboard Hot 100, la più importante classifica statunitense, con un brano intitolato Rich Men North of Richmond. Nella settimana intorno a ferragosto ha ottenuto 17,5 milioni di visualizzazioni in streaming e circa 150.000 download, e può contare su 33 milioni di visualizzazioni su YouTube, senza contare l’onda di interesse sollevata su altri social. Il brano lo ha inciso quasi per caso: glielo ha commissionato una radio locale del West Virginia, lui si è piazzato di fronte alla telecamera e ha registrato: «Niente editing, niente agente, niente cazzate. Solo uno scemo e la sua chitarra». Ha funzionato.Il fatto è che questo ragazzo - nato forse nel 1992 o 1993 nella regione degli Appalachi - non è soltanto il cantante più ascoltato negli Usa. È anche l’autore di uno dei manifesti politici più condivisi degli ultimi anni. Rich Men North of Richmond è certo un brano folk struggente ma non particolarmente originale, ma è pure il grido di un dimenticato, un figlio reietto della working class che canta il suo destino amaro e ringhia all’indirizzo dei ricchi che abitano a Nord di Richmond e hanno tolto dignità a generazioni intere. Anthony, volente o meno, è diventato la voce di persone che potrebbero ritrovarsi in un pezzo di Bruce Springsteen, se le lenti liberal non impedissero da un po’ di tempo al Boss di vedere e raccontare i nuovi proletari. Oliver sembra a sua volta uscito da un disco di Johnny Cash o da un racconto di Jim Thompson. È la versione con chitarra acustica della Elegia Americana di J.D. Vance, un altro «rifiuto bianco» divenuto qualche anno fa scrittore di fama e poi politico brillante nell’ala più trumpiana e sociale dei repubblicani. L’autobiografia che Oliver ha pubblicato su Facebook dice quasi tutto. «Il mio nome legale è Christopher Anthony Lunsford. Mio nonno era Oliver Anthony, e “Oliver Anthony Music” (la sua pagina social, ndr) è una dedica non solo a lui, ma agli Appalachi degli anni ’30 dove è nato e cresciuto. Pavimenti sporchi, sette bambini, tempi duri. A questo punto mi faccio chiamare volentieri Oliver perché tutti mi conoscono come tale. Ma i miei amici e familiari mi chiamano ancora Chris. Potete decidere da soli, vanno bene entrambi. Nel 2010, ho mollato la scuola superiore a 17 anni. Ho fatto vari lavori in fabbrica nella Western North Carolina, l’ultima volta sono stato in una cartiera nella contea di McDowell. Facevo il terzo turno, 6 giorni a settimana per 14,50 dollari l’ora in un inferno. Nel 2013, ho avuto una brutta caduta al lavoro e mi sono fratturato il cranio. Questo mi ha costretto a tornare a casa in Viginia. A causa di complicazioni dovute all’infortunio, ci ho messo circa 6 mesi prima di poter tornare a lavorare», scrive. Poco alla volta, il suo post si fa sempre più amato. «Non ho niente di speciale. Non sono un bravo musicista, non sono una brava persona. Ho passato gli ultimi 5 anni a lottare con problemi mentali e a usare l’alcol per annegarli. Mi rattrista vedere lo stato in cui si trova il mondo, con tutti che litigano tra di loro. Ho passato molte notti sentendomi senza speranza, come se la più grande nazione sulla Terra stesse rapidamente svanendo. Detto questo, odio il modo in cui Internet ci ha divisi tutti. Internet è un parassita che infetta le menti degli umani. Ore sprecate, obiettivi dimenticati, persone care sedute in casa sedute una vicenda all’altra e distratte tutto il giorno dalla tecnologia prodotta dalle mani di altre povere anime che si coprono di sudore in terra straniera».Non manca nulla: c’è il pedigree del povero bifolco, con tanto di nonno cresciuto durante la Grande Depressione fra strade polverose e volti sudici, puro John Steinbeck. E poi c’è il risentimento anarcoide del Sud bruciato dal «bianco sole dei vinti». C’è la storia del migliore libertarismo americano, e in fondo la stessa carica eversiva che si ritrova nelle canzoni southern rock dei Lynyrd Skynyrd (quelli di Sweet Home Alabama che fanno «Boo, Boo, Boo» al governo e ai suoi fan). «Le persone nell’industria musicale mi rivolgono sguardi vuoti quando rifiuto offerte da 8 milioni di dollari. Non voglio 6 autobus turistici, 15 rimorchi e un jet», prosegue Oliver. «Non voglio fare spettacoli da stadio, non voglio stare sotto i riflettori. Ho scritto la musica che ho scritto perché soffrivo di salute mentale e depressione. Queste canzoni si sono collegate a milioni di persone a un livello così profondo perché sono state cantate da qualcuno che sente le parole nel momento in vengono cantate. [...] Lo stile musicale da cui non avremmo mai dovuto sfuggire».Sarà magari un po’ retorico e un tantino populista, ma funziona. La conclusione dello scritto è un grido di battaglia e disperazione: «Quando lotteremo di nuovo per ciò che è giusto? La libertà di parola è un dono così prezioso. Mai nella storia mondiale il mondo ha avuto la libertà che ha attualmente. Non lasciare che te la portino via. Proprio come quelli che un tempo vagavano nel deserto, abbiamo perso la strada di Dio e abbiamo lasciato che falsi idoli ci distraessero e ci dividessero. È una dannata vergogna».Non è difficile capire perché ne sia nato un caso politico. Tanto che, sul fronte liberal, non sono pochi a sostenere che Anthony sia un fenomeno costruito a tavolino da qualche stratega trumpiano o comunque repubblicano: sarebbe troppo redneck per essere vero. Eppure, in un modo o nell’altro, dietro quella barba rossa ci sono milioni di uomini e donne. Ai quali Oliver non si limita a proporre un generico ritorno a una età dell’oro probabilmente mai esistita. La sua, come ha scritto il New York Post con entusiasmo, è una agenda economica piuttosto dettagliata. «Anthony dirige la sua ira contro l’inflazione, le tasse e il welfare come sostituto del lavoro», nota il giornale. «Questo non è solo un rifiuto delle panacee progressiste, è una potente controreplica per i conservatori compiacenti che pensano che trasferirsi in Florida sostituisca una sana politica monetaria e di un’agenda anti-tasse progettata per attrarre persone come Anthony, non solo uomini ricchi a Nord di Richmond. Spostarsi da un capo all’altro del Paese non aiuta nessuno a sfuggire all’inflazione, e cancellare i lavoratori arrabbiati per le tasse e per come vengono spese è un modo infallibile per i repubblicani di perdere la Camera, il Senato e il collegio elettorale, indipendentemente da quanto prospere possano sembrare le cose in certi stati rossi». Insomma, Oliver sarebbe la voce di una strana destra sociale all’americana ma la sua canzone sarebbe pure «un monito per la destra populista. Gli uomini ricchi a Nord di Richmond hanno creato le condizioni in cui la ricchezza va ad accumularsi nel settore finanziario, nelle persone altamente istruite e politicamente coinvolte. Nel contesto della Virginia, “a Nord di Richmond” è sinonimo dei sobborghi di Washington, DC, che esercitano un enorme potere politico e influenza economica sulla nazione. Il problema con la gente a Nord di Richmond non è solo la loro politica progressista o il loro agire come membri di un sistema che essi controllano, è anche il controllo in sé. Cioè la sensazione che il destino di uomini come Oliver Anthony sia deciso lontano, in luoghi in cui essi non hanno voce». Il messaggio è chiaro. Ora Oliver Anthony è una bandierina perfetta da sventolare a destra. È un bianco problematico che si oppone ai sussidi chiedendo lavoro e salari migliori. Se ne frega del politicamente corretto ed è diventato uno spauracchio per i woke, di cui è fisicamente l’antitesi. Tocca il cuore di un popolo denso in cui forse qualcuno tornerebbe anche volentieri a marciare a Capitol Hill. Ed è sicuramente un’ottima arma per la propaganda. Ma occhio: quel popolo lì non si conquista granché cavalcando gli spiriti animali del liberismo, e si fa presto anche a perderlo, quando non si mantengono le promesse. Canta Oliver Anthony: «Ho venduto la mia anima, lavorare tutto il giorno/ore di straordinario per una paga di merda». Chi vive davvero così perde la pazienza facilmente.
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