2020-05-15
Ora l’Obamagate imbarazza Renzi. Coinvolto l’ex ambasciatore suo fan
Matteo Renzi e John Phillips (Ansa)
A chiedere informazioni riservate sul generale Mike Flynn (manipolato per imbastire le accuse a Donald Trump, poi cadute) fu anche il diplomatico Usa che nel 2016 fece campagna per il referendum. E spunta pure il candidato dem Joe Biden.Il caso Russiagate torna a lambire l'Italia. Mercoledì, i senatori repubblicani hanno reso pubblico un elenco di alti funzionari dell'ex amministrazione Obama che avevano chiesto di svelare il nome del generale Mike Flynn nelle trascrizioni delle sue conversazioni con l'ambasciatore russo - intercettato - Sergej Kislyak. L'elenco era stato desecretato poche ore prima della diffusione dal Director of National Intelligence, Richard Grenell. «Sto fornendo un elenco rivisto di identità di tutti i funzionari che hanno presentato richieste alla Nsa in qualsiasi momento tra l'8 novembre 2016 e il 31 gennaio 2017 per svelare l'identità dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale, il generale Michael Flynn», ha scritto Grenell nella missiva di accompagnamento alla lista. In particolare, si precisa che il documento include «un elenco dei destinatari che potrebbero aver ricevuto l'identità del generale Flynn in risposta a una richiesta elaborata tra l'8 novembre 2016 e il 31 gennaio 2017». Generalmente, se emergono nomi di cittadini americani mentre si sorvegliano degli stranieri, le loro identità vengano occultate a tutela della privacy: è comunque previsto che, in caso di valida motivazione, tali nomi possano essere svelati. Tuttavia il nodo oggi verte proprio su questo: quali erano le motivazioni che hanno spinto quelle richieste in riferimento all'identità di Flynn? Per i repubblicani, si sarebbe trattato di un modo per incastrarlo e colpire indirettamente Trump. Del resto, l'importanza dell'elenco (contenente 39 nomi) risiede non soltanto nel fatto di includere alcune figure di assoluto rilievo (e spesso insolitamente “politiche"): come l'ex vicepresidente e attuale candidato alla nomination democratica, Joe Biden). Ma anche perché alcune di queste stesse figure hanno svolto un ruolo fondamentale nella costruzione del caso Russiagate: caso - ricordiamolo - conclusosi in una bolla di sapone lo scorso anno. Senza poi trascurare che tra costoro possa celarsi chi fece indebitamente trapelare al Washington Post la notizia -pubblicata il 12 gennaio 2017- delle conversazioni tra Flynn e Kislyak. E il nostro Paese che cosa c'entra? C'entra, perché nella lista compare anche l'inaspettato nome dell'allora ambasciatore americano in Italia, John Phillips, che ha inoltrato una richiesta di disvelamento il 6 dicembre del 2016. Una richiesta analoga, lo stesso giorno, fu avanzata anche dall'allora vice capo missione all'ambasciata di Roma, Kelly Degnan. Ricordiamo che Phillips è stato in carica nel nostro Paese dall'agosto 2013 al gennaio 2017, coprendo dunque quasi l'intero arco della presidenza Obama. Ora, non è dato sapere se il diplomatico abbia effettivamente visto le informazioni svelate. Resta però abbastanza strana la sua presenza all'interno di un simile documento. Soprattutto alla luce del fatto che gli ambienti vicini a Trump hanno spesso sostenuto che, per fabbricare le prove dell'inchiesta Russiagate, l'amministrazione Obama si sarebbe appoggiata anche ad alcuni Stati esteri: Gran Bretagna, Ucraina, Australia e Italia. Una tesi, questa, che è stata più volte avanzata - tra gli altri - dall'avvocato di Trump ed ex sindaco di New York, Rudy Giuliani. Non va del resto dimenticato che Phillips costituisse uno dei principali punti di raccordo tra l'amministrazione Obama e il governo di Matteo Renzi: l'ambasciatore e il presidente americano si schierarono per esempio fortemente in sostegno del referendum costituzionale, promosso nel 2016 dall'allora premier italiano. «Ha fatto un ottimo lavoro finora. È considerato con grande stima da Obama che ne apprezza la leadership», disse il diplomatico.È senz'altro vero che Renzi ha negato in passato ogni coinvolgimento nel Russiagate e che gli stessi critici di Trump hanno sovente affermato che non vi siano prove di un piano ordito da Barack Obama ai danni del proprio successore. Vanno tuttavia sottolineati alcuni fattori. In primis, i documenti recentemente diffusi dalla Camera dei Rappresentanti hanno mostrato che gli alti funzionari dell'amministrazione Obama non avessero «prove empiriche» a sostegno della tesi di una collusione tra Trump e i russi, evidenziando inoltre che il Dipartimento di Giustizia -a cui l'Fbi dovrebbe teoricamente rispondere- fosse stato coinvolto nel caso Flynn soltanto a cose fatte. Entrambi gli elementi gettano una luce quantomeno sinistra sull'operato di Obama: un Obama che, oltre ad aggirare il Dipartimento di Giustizia, non si capisce su quali basi abbia ammesso l'indagine. In secondo luogo, la presenza di Phillips in quella lista associa nuovamente l'Italia al Russiagate: anche perché l'ambasciatore compare a fianco dei principali artefici dell'inchiesta (James Clapper, James Comey e John Brennan). Alcuni senatori repubblicani, tra cui Ron Johnson, hanno detto mercoledì di voler chiamare a testimoniare i personaggi inclusi nell'elenco. Chissà se verrà ascoltato anche Phillips. E chissà se, in caso, non avrà informazioni interessanti. Magari anche sul destino di Joseph Mifsud.
Ursula von der Leyen (Ansa)
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