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2023-01-12
Ora che c’è Giorgia la sinistra lo ammette. Gli sbarchi sono un grosso problema
Ansa
Toh: si poteva dire che gli immigrati sono un problema? Repubblica, ieri, s’è intestata un’operazione di fact checking: con il governo Meloni, gli sbarchi sono aumentati del 50%. I blocchi navali? «Fantasia». Gli arrivi selettivi? «Abortiti». I porti chiusi? «Trasformati in porti aperti». Gli accordi con i Paesi d’origine e di transito? «Un’intenzione». La solidarietà europea? «Rimasta sulla carta». Una panoramica desolante, resa ancor più complicata dalla clemenza delle condizioni meteorologiche, che incoraggia le partenze. La conclusione dell’analisi è la seguente: caro ministro Matteo Piantedosi, lei si vanta di aver blindato i confini, però mente. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, gli approdi degli stranieri si sono moltiplicati: dal 22 ottobre a gennaio, 31.454 contro 19.008.
Il quotidiano di Largo Fochetti, certo, insiste nel negare che le Ong rappresentino un pull factor, un elemento attrattivo per chi si avventura in mare dalla Libia. Le carte della Procura di Trapani sul caso Iuventa, che La Verità ha illustrato in questi giorni, suggeriscono il contrario. Tant’è che alcuni dei presunti salvatori dei naufraghi sarebbero in contatto con i trafficanti di esseri umani. Ma a parte certi dettagli, è la logica del discorso a stupire.
Il giornale romano metteva le mani avanti: noi proviamo solo «a guardarla dal punto di vista del governo» e delle sue «promesse elettorali assolutamente deluse». La verità è che, se il fenomeno migratorio fosse la «risorsa» che sbandierano da tempo immemore i progressisti, bisognerebbe rendere merito a chi, dopo averlo contestato, una volta al potere, ne ha compreso il potenziale salvifico. Ma i sindaci di sinistra del Centro Nord sarebbero d’accordo? È dubbio. Scordatevi i solenni proclami sull’accoglienza, l’inclusione, i doveri di soccorso e assistenza, le accuse e i processi a Matteo Salvini: appena sono stati coinvolti nel mosaico degli approdi da Piantedosi, i compagni di Enrico Letta hanno scoperto che ritrovarsi in porto le navi «umanitarie» è una rogna. Che ricevere i migranti in città contribuisce a insicurezza e degrado, infastidisce i cittadini e, quindi, fa perdere consensi. I «buoni» si son dati a un sano realismo. Quando arrivano i migranti è un guaio: hanno scoperto che si poteva dire.
Il punto è questo: adesso che a Palazzo Chigi c’è la presidente di Fratelli d’Italia, l’incremento degli sbarchi è un motivo di legittima preoccupazione. L’idea che si debbano governare i flussi, che vada posto un argine all’immigrazione clandestina, che certe aree geografiche non si debbano riconvertire irreversibilmente in carnai per i disperati, è divenuta, all’improvviso, una forma di buon senso. Rivendicata innanzitutto dagli amministratori piddini. Quelli del «restiamo umani», del «welcome refugees». Sì; purché non nel mio giardino. Arginare l’invasione non è più la cinica ossessione, sfruttata per ignobili finalità elettorali, della destra, che cavalca le paure irrazionali e infondate degli italiani. E così - vedere proprio Repubblica - diviene lecito prendersela con Bruxelles, che spende tante parole alate e poi ci abbandona al nostro destino.
Con altrettanta faccia tosta, i media di riferimento della gente che piace si sono resi conto che le stazioni italiane sono fuori controllo. Dopo l’accoltellamento della ragazza israeliana a Roma, fioccano speciali e reportage. Appunto: si poteva dire anche che Milano Centrale e Termini fanno schifo? Che i quartieri attorno a qualsiasi fermata dei treni sono delle ridotte di Gotham City, in assenza di Batman? E dov’erano i predicatori della stampa, quando governavano i «migliori»? In quale melensa retorica antirazzista si erano trincerati, allorché i cronisti abituati a osservare la strada anziché i salottini denunciavano sporcizia e crimini?
Gli slittamenti narrativi, peraltro, non riguardano solamente i temi dell’immigrazione e della sicurezza.
Ieri, sempre sul quotidiano di Maurizio Molinari, Carlo Bastasin, pur elogiando la capacità delle democrazie liberali di reggere allo stress determinato dalla crisi economica, deplorava gli effetti di un’inflazione a livelli «visti solo 50 anni fa», della guerra in Ucraina, della politica delle Banche centrali, le quali «hanno invertito un ciclo globale di declino dei tassi d’interesse che durava da trent’anni». Ma come? Mesi fa non stavamo a raccontarci che l’Italia cresceva più degli altri Paesi Ue? Che avremmo tamponato i rischi del caro energia perché, grazie all’autorevolezza di Mario Draghi, avevamo ottenuto un efficacissimo price cap sul gas? Giorni fa, criticare la Bce, come aveva fatto Guido Crosetto, non costituiva un’inaccettabile violazione della sua indipendenza? E come mai Francesco Bei rispolvera, contro la Meloni, «lo spettro dei gilet gialli», che protestarono contro l’aumento del prezzo dei carburanti? E i sacrifici in nome dei fratelli ucraini, in trincea per i nostri valori? Il freddo andava bene, ma il pieno rincarato no? Allora, si poteva dire che quella della Russia che sarebbe implosa in poche settimane era una fesseria? E che, semmai, la crociata democratica delle élite si sarebbe abbattuta sulle classi più disagiate? Si potevano dire tutte queste cose, senza finire crocifissi, in quanto disumani, fascisti e putiniani?
«Le Ong hanno un attivista in contatto con i trafficanti»
Nella chat Whatsapp dei taxi del mare, intitolata «Humanitarian vessel», una sorta di forum del salvataggio frequentato da diverse Ong, c’era un contatto che, per gli inquirenti che hanno indagato sulle spericolate operazioni della Iuventa - la nave della tedesca Jugend Retter sequestrata a Trapani -, avrebbe avuto accesso a notizie di prima mano sulle partenze. È quanto emerge nel procedimento in cui sono imputati alcuni membri dell’equipaggio insieme ad attivisti di Save the Children e di Medici senza frontiere e in cui la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno hanno chiesto di costituirsi parte civile. Quelle girate alle Ong sarebbero «informazioni che», secondo chi ha indagato, «possono essere assunte, direttamente o indirettamente, solo dai trafficanti operanti in Libia che pianificano e gestiscono le operazioni di imbarco». Il contatto era stato registrato con questo nome: «Libya Hom», ovvero Head of mission Libya, che si è scoperto essere un capomissione a Tripoli di Medici senza frontiere. Il numero usato è di un operatore telefonico tunisino. E con quelle informazioni la Vos Hestia di Save the Children, ricostruiscono gli investigatori, «riusciva a individuare dei target con migranti a bordo che non si trovavano in rotta di intercetto rispetto alla normale navigazione fino a poco prima effettuata». Ovvero la nave riusciva a presentarsi magicamente nei punti in mare in cui si concentravano i migranti, spesso accompagnati dai veloci scafi dei trafficanti. E ovviamente, viene sottolineato negli atti dell’inchiesta, «senza coordinarsi con Imrcc (il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano, ndr)». Ma da quella chat salta fuori un ulteriore dato inquietante. Soprattutto per chi si spaccia per salvatore di vite umane a tutti i costi. Dalle conversazioni emerge che la Vos Hestia era pronta a intervenire solo in aree in cui i carichi erano abbondanti. Il 9 aprile 2017 c’è una conversazione tra i team leader di Aquarius (nave di Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere) e di Vos Hestia. E la team leader di Save the Children chiede: «Ciao Marcella, sulla Hestia stiamo discutendo sulla necessità o meno di coprire la zona Sar Est. Mi chiedevo se tu avessi informazioni riguardo a sviluppi o sulla situazione. Forse dal tuo Hom in Libia?». E da Aquarius rispondono: «Ho contattato Hom questa mattina, ma nessuna nuova informazione. Tutto quel che sappiamo è che le partenze dall’Est semmai sono poche. È una domanda interessante se abbia senso o meno andarci». Quindi i barchini a Est della Libia, siccome producevano poco, sono stati abbandonati al loro destino. Anche perché le operazioni più piccole non avrebbero prodotto pubblicità mediatica. Che agli attivisti, invece, sembrava interessare non poco. Tommaso Fabbri di Medici senza frontiere, infatti, intercettato, parla al telefono con un altro attivista della «raccolta di storie interessanti da raccontare dopo gli sbarchi». Quello che viene definito nei documenti investigativi come «movente economico», infatti, stando alle valutazioni degli inquirenti, sarebbe legato «all’immagine esterna mostrata nei confronti dell’opinione pubblica e conseguentemente alle donazioni». E che, ritengono gli inquirenti a proposito della Jugend Rettet, «secondo il chiaro convincimento di alcune delle figure apicali, sarebbero poste in rapporto di proporzione diretta rispetto al numero di migranti recuperati e alla visibilità mediatica data all’evento». Ma ai fini dell’inchiesta è risultato importante per gli investigatori ricostruire che la chat Humanitarian Vessel sarebbe stata usata «per pianificare le operazioni» in mare, bypassando il Centro di coordinamento ufficiale. Una «forma di coordinamento autonomo fra le Ong», così è descritto negli atti, «che risulta essere parallela a quello ufficiale dei soccorsi». Che molte di quelle operazioni in mare non le avrebbero consentite.
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Dopo averlo negato, i progressisti rilanciano l’allarme migranti. E anche su inflazione e caro carburante i toni sono cambiati.«Le Ong hanno un attivista in contatto con i trafficanti». La Procura scandaglia le chat dei taxi del mare. Le navi si muovevano solo per carichi ingenti: così raccoglievano più donazioni. Lo speciale comprende due articoli.Toh: si poteva dire che gli immigrati sono un problema? Repubblica, ieri, s’è intestata un’operazione di fact checking: con il governo Meloni, gli sbarchi sono aumentati del 50%. I blocchi navali? «Fantasia». Gli arrivi selettivi? «Abortiti». I porti chiusi? «Trasformati in porti aperti». Gli accordi con i Paesi d’origine e di transito? «Un’intenzione». La solidarietà europea? «Rimasta sulla carta». Una panoramica desolante, resa ancor più complicata dalla clemenza delle condizioni meteorologiche, che incoraggia le partenze. La conclusione dell’analisi è la seguente: caro ministro Matteo Piantedosi, lei si vanta di aver blindato i confini, però mente. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, gli approdi degli stranieri si sono moltiplicati: dal 22 ottobre a gennaio, 31.454 contro 19.008. Il quotidiano di Largo Fochetti, certo, insiste nel negare che le Ong rappresentino un pull factor, un elemento attrattivo per chi si avventura in mare dalla Libia. Le carte della Procura di Trapani sul caso Iuventa, che La Verità ha illustrato in questi giorni, suggeriscono il contrario. Tant’è che alcuni dei presunti salvatori dei naufraghi sarebbero in contatto con i trafficanti di esseri umani. Ma a parte certi dettagli, è la logica del discorso a stupire. Il giornale romano metteva le mani avanti: noi proviamo solo «a guardarla dal punto di vista del governo» e delle sue «promesse elettorali assolutamente deluse». La verità è che, se il fenomeno migratorio fosse la «risorsa» che sbandierano da tempo immemore i progressisti, bisognerebbe rendere merito a chi, dopo averlo contestato, una volta al potere, ne ha compreso il potenziale salvifico. Ma i sindaci di sinistra del Centro Nord sarebbero d’accordo? È dubbio. Scordatevi i solenni proclami sull’accoglienza, l’inclusione, i doveri di soccorso e assistenza, le accuse e i processi a Matteo Salvini: appena sono stati coinvolti nel mosaico degli approdi da Piantedosi, i compagni di Enrico Letta hanno scoperto che ritrovarsi in porto le navi «umanitarie» è una rogna. Che ricevere i migranti in città contribuisce a insicurezza e degrado, infastidisce i cittadini e, quindi, fa perdere consensi. I «buoni» si son dati a un sano realismo. Quando arrivano i migranti è un guaio: hanno scoperto che si poteva dire. Il punto è questo: adesso che a Palazzo Chigi c’è la presidente di Fratelli d’Italia, l’incremento degli sbarchi è un motivo di legittima preoccupazione. L’idea che si debbano governare i flussi, che vada posto un argine all’immigrazione clandestina, che certe aree geografiche non si debbano riconvertire irreversibilmente in carnai per i disperati, è divenuta, all’improvviso, una forma di buon senso. Rivendicata innanzitutto dagli amministratori piddini. Quelli del «restiamo umani», del «welcome refugees». Sì; purché non nel mio giardino. Arginare l’invasione non è più la cinica ossessione, sfruttata per ignobili finalità elettorali, della destra, che cavalca le paure irrazionali e infondate degli italiani. E così - vedere proprio Repubblica - diviene lecito prendersela con Bruxelles, che spende tante parole alate e poi ci abbandona al nostro destino.Con altrettanta faccia tosta, i media di riferimento della gente che piace si sono resi conto che le stazioni italiane sono fuori controllo. Dopo l’accoltellamento della ragazza israeliana a Roma, fioccano speciali e reportage. Appunto: si poteva dire anche che Milano Centrale e Termini fanno schifo? Che i quartieri attorno a qualsiasi fermata dei treni sono delle ridotte di Gotham City, in assenza di Batman? E dov’erano i predicatori della stampa, quando governavano i «migliori»? In quale melensa retorica antirazzista si erano trincerati, allorché i cronisti abituati a osservare la strada anziché i salottini denunciavano sporcizia e crimini?Gli slittamenti narrativi, peraltro, non riguardano solamente i temi dell’immigrazione e della sicurezza. Ieri, sempre sul quotidiano di Maurizio Molinari, Carlo Bastasin, pur elogiando la capacità delle democrazie liberali di reggere allo stress determinato dalla crisi economica, deplorava gli effetti di un’inflazione a livelli «visti solo 50 anni fa», della guerra in Ucraina, della politica delle Banche centrali, le quali «hanno invertito un ciclo globale di declino dei tassi d’interesse che durava da trent’anni». Ma come? Mesi fa non stavamo a raccontarci che l’Italia cresceva più degli altri Paesi Ue? Che avremmo tamponato i rischi del caro energia perché, grazie all’autorevolezza di Mario Draghi, avevamo ottenuto un efficacissimo price cap sul gas? Giorni fa, criticare la Bce, come aveva fatto Guido Crosetto, non costituiva un’inaccettabile violazione della sua indipendenza? E come mai Francesco Bei rispolvera, contro la Meloni, «lo spettro dei gilet gialli», che protestarono contro l’aumento del prezzo dei carburanti? E i sacrifici in nome dei fratelli ucraini, in trincea per i nostri valori? Il freddo andava bene, ma il pieno rincarato no? Allora, si poteva dire che quella della Russia che sarebbe implosa in poche settimane era una fesseria? E che, semmai, la crociata democratica delle élite si sarebbe abbattuta sulle classi più disagiate? Si potevano dire tutte queste cose, senza finire crocifissi, in quanto disumani, fascisti e putiniani? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ora-che-ce-giorgia-la-sinistra-lo-ammette-gli-sbarchi-sono-un-grosso-problema-2659127275.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-ong-hanno-un-attivista-in-contatto-con-i-trafficanti" data-post-id="2659127275" data-published-at="1673468367" data-use-pagination="False"> «Le Ong hanno un attivista in contatto con i trafficanti» Nella chat Whatsapp dei taxi del mare, intitolata «Humanitarian vessel», una sorta di forum del salvataggio frequentato da diverse Ong, c’era un contatto che, per gli inquirenti che hanno indagato sulle spericolate operazioni della Iuventa - la nave della tedesca Jugend Retter sequestrata a Trapani -, avrebbe avuto accesso a notizie di prima mano sulle partenze. È quanto emerge nel procedimento in cui sono imputati alcuni membri dell’equipaggio insieme ad attivisti di Save the Children e di Medici senza frontiere e in cui la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno hanno chiesto di costituirsi parte civile. Quelle girate alle Ong sarebbero «informazioni che», secondo chi ha indagato, «possono essere assunte, direttamente o indirettamente, solo dai trafficanti operanti in Libia che pianificano e gestiscono le operazioni di imbarco». Il contatto era stato registrato con questo nome: «Libya Hom», ovvero Head of mission Libya, che si è scoperto essere un capomissione a Tripoli di Medici senza frontiere. Il numero usato è di un operatore telefonico tunisino. E con quelle informazioni la Vos Hestia di Save the Children, ricostruiscono gli investigatori, «riusciva a individuare dei target con migranti a bordo che non si trovavano in rotta di intercetto rispetto alla normale navigazione fino a poco prima effettuata». Ovvero la nave riusciva a presentarsi magicamente nei punti in mare in cui si concentravano i migranti, spesso accompagnati dai veloci scafi dei trafficanti. E ovviamente, viene sottolineato negli atti dell’inchiesta, «senza coordinarsi con Imrcc (il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano, ndr)». Ma da quella chat salta fuori un ulteriore dato inquietante. Soprattutto per chi si spaccia per salvatore di vite umane a tutti i costi. Dalle conversazioni emerge che la Vos Hestia era pronta a intervenire solo in aree in cui i carichi erano abbondanti. Il 9 aprile 2017 c’è una conversazione tra i team leader di Aquarius (nave di Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere) e di Vos Hestia. E la team leader di Save the Children chiede: «Ciao Marcella, sulla Hestia stiamo discutendo sulla necessità o meno di coprire la zona Sar Est. Mi chiedevo se tu avessi informazioni riguardo a sviluppi o sulla situazione. Forse dal tuo Hom in Libia?». E da Aquarius rispondono: «Ho contattato Hom questa mattina, ma nessuna nuova informazione. Tutto quel che sappiamo è che le partenze dall’Est semmai sono poche. È una domanda interessante se abbia senso o meno andarci». Quindi i barchini a Est della Libia, siccome producevano poco, sono stati abbandonati al loro destino. Anche perché le operazioni più piccole non avrebbero prodotto pubblicità mediatica. Che agli attivisti, invece, sembrava interessare non poco. Tommaso Fabbri di Medici senza frontiere, infatti, intercettato, parla al telefono con un altro attivista della «raccolta di storie interessanti da raccontare dopo gli sbarchi». Quello che viene definito nei documenti investigativi come «movente economico», infatti, stando alle valutazioni degli inquirenti, sarebbe legato «all’immagine esterna mostrata nei confronti dell’opinione pubblica e conseguentemente alle donazioni». E che, ritengono gli inquirenti a proposito della Jugend Rettet, «secondo il chiaro convincimento di alcune delle figure apicali, sarebbero poste in rapporto di proporzione diretta rispetto al numero di migranti recuperati e alla visibilità mediatica data all’evento». Ma ai fini dell’inchiesta è risultato importante per gli investigatori ricostruire che la chat Humanitarian Vessel sarebbe stata usata «per pianificare le operazioni» in mare, bypassando il Centro di coordinamento ufficiale. Una «forma di coordinamento autonomo fra le Ong», così è descritto negli atti, «che risulta essere parallela a quello ufficiale dei soccorsi». Che molte di quelle operazioni in mare non le avrebbero consentite.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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