2022-06-28
Ora a decidere la partita Mediobanca oltre alla Bce sarà la crisi economica
Alberto Nagel (Imagoeconomica)
L’attuale ad di Essilux riceve il mandato di tirare dritto su Piazzetta Cuccia e sulle Generali. L’assalto frontale è complicato dalle norme Ue, e le cordate di imprenditori sono frenate dalla tempesta finanziaria in arrivo.All’addio a Leonardo Del Vecchio parteciperà tutta la finanza. Tutta l’imprenditoria e gran parte della politica. In molti lo piangeranno, qualcuno tirerà un sospiro di sollievo e qualcun altro si affannerà a cercare nuovi tavoli di trattativa. La morte del patron di Luxottica, anche se anagraficamente prevedibile, piomba come un fulmine a ciel sereno sulla partita attorno a Mediobanca e alle assicurazioni Generali. Dall’esito futuro e dal riassetto della governance dei due storici pilastri finanziari deriveranno gli equilibri del prossimo decennio. Del Vecchio si è premurato di lasciare la sua eredità spirituale a Francesco Milleri, attuale ad di EssilorLuxottica e da domani numero uno di Delfin, la cassaforte di famiglia. C’è da scommettere che Milleri porterà avanti tutte le istanze di Del Vecchio. E visto che il consiglio di amministrazione di Delfin non può essere modificato da statuto potrà decidere strategie e investimenti. Sia nel comparto industriale, sia nei salotti di Generali e di Mediobanca. La scalata è stata avviata ormai tre anni fa con un 7 per cento del capitale. Adesso la cassaforte Del Vecchio ne detiene il 19,5. Ma per andare oltre, come da richieste della Bce, Milleri dovrà ristrutturare per intero Delfin e renderla allineata alle norme bancarie. Una operazione di per sé non semplice e che alla fine non garantisce l’appoggio dei fondi che al momento posseggono circa il 50% di Piazzetta Cuccia. Non a caso si vociferava che questa strada che si trascina tutta la burocrazia e i controlli della Vigilanza Bce non fosse mai piaciuta al patron di Luxottica. Vedremo se su questo Milleri cambierà idea oppure cercherà di stringere ulteriori alleanze e cordate per tirare dritto. C’è in fondo un anno di tempo. Da qui all’ottobre del 2023 quando scadrà il cda guidato da Alberto Nagel e da Renato Pagliaro. Come scriveva Repubblica, l’altra strada potrebbe essere quella di avviare una cordata di appoggio direttamente con una banca per «mettere a reddito le varie pedine della partita, dalla quota di controllo sulla governance della compagnia triestina che gestisce 700 miliardi di euro di masse alle disparate attività collaterali di Mediobanca, come il credito al consumo di Compass». Il riferimento è a Intesa Sanpaolo per tre motivi. Ha già provato in passato a muovere le pedine verso Generali, è stata indicata da Philippe Donnet quale elemento di instabilità aggressiva nel 2017, il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, ha sempre negato ogni interesse. Rumor di Borsa raccontano di un Francesco Canzonieri, già manager Mediobanca e ora numero uno di Nextalia, lanciatissimo nel panorama milanese e romano, pronto in vista del prossimo anno a dire la sua anche su Piazzetta Cuccia. Come? Magari con il sostegno di Intesa potrebbe raccogliere una cordata per salire in Mediobanca ed evitare che i due soci di peso, il gruppo Caltagirone e Delfin, si trovino a dover organizzare una Opa a cascata su Generali. Prendere l’intera Mediobanca potrebbe spingere la Bce a valutare i patti reali e ipotizzare una soglia di possesso del Leone di Trieste, aggiungendo il 13% ora detenuto da Madiobanca, superiore alla soglia d’Opa. Al contrario Canzonieri potrebbe mettere assieme altri imprenditori e operare in modo complementare. Sempre che Intesa lo voglia e sempre che arrivi il beneplacito di Unipol e di Carlo Cimbri. Il quale sarebbe fondamentale per bilanciare le esigenze di antitrust in caso di assalto a Trieste. Certo, la Unipol di Cimbri non è più avversaria di Intesa ma nemmeno di Alberto Nagel il che riporta a un tema di fondo. Al di là delle relazioni Unipol sceglierà ciò che le conviene così come il mercato sceglierà secondo interessi. E tutte le ipotesi di cordate al momento non tengono conto delle richieste della Bce, che non è Bankitalia. Per scalare un istituto, Francoforte richiede la presentazione di un piano industriale difforme dalla compagine che si vuole scalzare. Non basta, per capirsi, avere dissapori personali. In fondo, la rottura con Mediobanca fu generata quattro anni fa perché i due manager che la guidano rifiutarono i 500 milioni che Del Vecchio mise sul piatto per rendere Ieo e Monzino un polo internazionale della sanità. Non solo, fino a oggi la battaglia è stata combattuta in uno scenario positivo per le imprese. L’autunno porterà la vera crisi economica. Inflazione, blackout, difficoltà di approvvigionamento, scarsa liquidità e crediti d’imposta inchiodati. Le aziende dovranno accantonare e le banche mettere le marce ridotte. Non saranno certo i presupposti migliori per fare una scalata e destinare capitali su ciò che non è strettamente necessario per la stabilità del business che assicura dividendi da reinvestire. Insomma, la sfida di Milleri parte ora.