2024-08-05
L’Isis terrorizza l’intero Golfo Persico. La strage in Oman «pizzino» ad Al Qaeda
Un immagine diffusa dai social dei tre terroristi che hanno rivendicato l'attacco del 15 luglio 2024 ad una moschea sciita di Muscat
Lo Stato islamico ha rivendicato la carneficina in una moschea sciita a Muscat. Lanciando la lotta per la supremazia nell’area.Uno dei Paesi più stabili del Medio Oriente ha paura degli attacchi kamikaze. Che rischiano di vanificare una crescita iniziata negli anni Settanta e sostenuta dall’assenza di legami della popolazione con il jihad.Lo studioso statunitense Adrian Calamel: «L’organizzazione fondata da Bin Laden ha maggiore forza e può contare sull’Iran. Ma la cellula afgana del califfato è più pericolosa».Lo speciale contiene tre articoli.Lo Stato islamico ha rivendicato la responsabilità dell’attacco a una moschea musulmana sciita in Oman, avvenuto lo scorso 15 luglio e nel quale sono morte almeno nove persone. Il gruppo islamista ha dichiarato il giorno dopo che tre dei suoi «attentatori suicidi hanno sparato ai fedeli nella moschea e hanno scambiato colpi di arma da fuoco con le forze di sicurezza dell’Oman fino a mattina». Lo Stato islamico ha anche diffuso un video dell’attacco e, successivamente, la fotografia degli attentatori che, a volto scoperto, mostrano la bandiera nera dell’Isis.L’Isis, descrivendo l’attacco, ha parlato degli attentatori come degli «inghimasi». Gli inghimasi, a differenza dei classici attentatori suicidi, si infiltrano di nascosto e massimizzano le vittime usando armi da fuoco prima di far detonare i loro esplosivi. L’incidente ha sconvolto un Paese che, fino a oggi, era riuscito a evitare la violenza settaria che ha colpito alcuni Stati mediorientali, tra cui alcuni dei vicini, ricchi di petrolio, dell’Oman, dopo che l’Isis ha dichiarato che considera gli sciiti «rawafidh» (rifiutatori), accusandoli di «rifiutare» la legittimità dei califfi storici Abu Bakr, Umar e Uthman in favore di Ali Bin Abi Talib, cugino e genero del profeta Maometto (tra le molte altre differenze teologiche). La Royal Oman Police ha dichiarato che nove persone sono state uccise nella sparatoria nel distretto di Wadi al Kabir della capitale Muscat, tra cui i tre autori e un poliziotto. Più di due dozzine di persone di varie nazionalità sono rimaste ferite, tra cui quattro soccorritori omaniti.L’attacco era stato programmato durante l’Ashura, che gli sciiti considerano un importante giorno annuale di lutto per Husayn Bin Ali, nipote di Muhammad e terzo imam sciita. Verso la fine del settimo secolo, Husayn si rifiutò, per motivi morali, di offrire «baya» (fedeltà religiosa) al califfo omayyade Yazid Bin Muawiyah e fu successivamente ucciso insieme alla maggior parte dei suoi parenti maschi nella celebre battaglia di Karbala.Il ministero degli Esteri del Pakistan ha dichiarato, lo scorso 16 luglio, che tra i morti ci sono quattro pakistani. Altri 30, invece, sono rimasti feriti e sono attualmente in cura in ospedale, ha aggiunto il ministero pakistano, che ha condannato l’incidente come un vile attacco terroristico. «Siamo confortati dal fatto che il governo dell’Oman abbia neutralizzato gli aggressori», ha affermato il ministero.Il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, ha detto, martedì su X, di essere «profondamente rattristato dall’incidente. Il mio cuore è rivolto alle famiglie delle vittime. Ho dato istruzioni all’ambasciata pakistana a Muscat di estendere tutta l’assistenza possibile ai feriti e di visitare personalmente gli ospedali», ha scritto. Un cittadino indiano è stato ucciso e un altro ferito, ha annunciato l’ambasciata indiana a Muscat in un post pubblicato su X. L’ambasciata statunitense in Oman ha diramato un avviso di sicurezza per i cittadini statunitensi, consigliando loro «di rimanere vigili, monitorare le notizie locali e seguire le indicazioni delle autorità locali».L’attentato alla moschea musulmana sciita in Oman è un messaggio che lo Stato islamico invia alle autorità locali ma anche, e soprattutto, ad Al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), la sezione yemenita di Al Qaeda. Questo gruppo ribelle islamista sunnita è stato costituito nel 2009 e, fino allo scorso 11 marzo, era guidato dall’emiro Khalid Batarfi (sul quale pendeva una taglia di 5 milioni dollari), che è stato incenerito da un drone americano durante un attacco. Alla sua morte, Aqap ha nominato come suo leader Sa’ad Bin Atef Al Awlaki Abu al Laith. Secondo quanto riportato dai media, Al Awlaki, di nazionalità yemenita, sarebbe uno di coloro che Osama Bin Laden avrebbe riportato dall’Afghanistan allo Yemen. Al Awlaki diventa così il quinto leader a guidare Al Qaeda nello Yemen, dopo aver lavorato per anni come numero due dell’organizzazione estremista nel Paese.Al Awlaki, sul quale gli Usa hanno messo una taglia da 6 milioni di dollari, è nato nella città di Al Shu’bah a Wadi Yasbam, nel distretto dell’Alto Egitto, nel governatorato di Shabwa (Sud). La sua data di nascita esatta non è nota, ma il dipartimento di Stato americano ha stimato tre date: 1978, 1981 e 1983, indicando che la sua altezza era di 168 cm.Proviene dalla grande tribù Al Awalqi, la stessa da cui discende l’iconico leader di Al Qaeda, Anwar Al Awlaki, ucciso da un drone americano nel 2011 durante l’operazione Objective Troy. Approvata dal presidente Barack Obama dopo una revisione legale segreta, ha rappresentato un evento storico perché è stata la prima esecuzione intenzionale di un cittadino statunitense da parte del proprio governo su diretto ordine presidenziale. Due settimane più tardi, anche suo figlio, Abdulrahman Al Awlaky, di 16 anni, venne ucciso da un drone.Sulla morte di Khalid Batarfi, invece, grava il sospetto che sia stato il suo successore a rivelare, attraverso persone terze al gruppo, dove si trovasse dato che tra i due i rapporti erano di «pesante conflitto». L’obiettivo di Al Qaeda è sostituire i governi islamici cosiddetti «apostati» con regimi di stretta osservanza salafita, puntando contro gli Stati Uniti e i suoi alleati, ritenuti responsabili della corruzione di questi regimi.Aqap condivide questa missione, ma in passato ha anche preso di mira direttamente il governo yemenita per ottenere il controllo del territorio. Attualmente, la presenza operativa di Aqap è più forte nei governatorati di Abyan e Shabwa. Il gruppo è attivo anche nei governatorati di Hadramawt, Marib e al-Bayda, con segnalazioni di cellule dormienti ad al-Mahra, Aden e Lahij. Si stima che Aqap conti tra 3.000 e 4.000 membri, comprendendo sia elementi attivi che passivi. Lo Stato islamico vuole le stesse cose, ovvero prendere il potere nei Paesi del Golfo Persico e per questo ha iniziato dal 2014 a colpire quei Paesi che ritiene apostati come l’Iran, alleato dell’organizzazione fondata da Bin Laden che, oggi, è diretta dall’ex colonnello dell’esercito egiziano Saif Al Adel, che si è unito ad Al Qaeda negli anni Novanta ed è stato uno stretto collaboratore di Osama bin Laden e, successivamente, anche di Ayman Al Zawahiri.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/oman-terrorismo-islamico-2668895564.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="petrolio-turismo-e-fama-di-paciere-ma-ora-il-sultanato-pensa-a-blindarsi" data-post-id="2668895564" data-published-at="1722854162" data-use-pagination="False"> Petrolio, turismo e fama di paciere. Ma ora il sultanato pensa a blindarsi Il Paese produttore di petrolio è uno dei più stabili del Medio Oriente e sta diventando una destinazione turistica regionale emergente poiché il governo promuove il settore per diversificare la propria economia allontanandosi dagli idrocarburi. Nel 2022 il prodotto interno lordo dell’Oman è stato di 114,7 miliardi di dollari, l’economia omanita ha registrato una crescita del 4,3% nel 2022 ma si è ridotta all’1,2% nel 2023 a causa del taglio della produzione petrolifera deciso nell’ambito dell’Opec+. Per il 2024, secondo quanto scrive l’Osservatorio economico della Farnesina, si prevede una crescita del 2,7% sostenuta anche dal contributo del settore non-oil (secondo le stime del Fondo monetario internazionale di giugno 2023). L’inflazione resta bassa, attestandosi all’1,1% nel primo quadrimestre del 2023, rispetto al 2,8% del 2022. A differenza del resto degli Stati del Golfo governati dai sunniti, l’Oman segue la setta ibadita dell’islam, ma ha una considerevole popolazione sunnita e una piccola ma influente minoranza sciita. I leader religiosi e politici spesso sottolineano l’armonia settaria e la tolleranza religiosa come chiave per la stabilità dell’Oman. Circa il 57% della popolazione del Paese, di cinque milioni di persone, sono espatriati, molti sono indù o cristiani. Il motivo principale per cui l’Oman non è mai stato oggetto di attacchi jihadisti è che pochissimi cittadini omaniti hanno partecipato a movimenti terroristi. La maggior parte della popolazione del sultanato segue l’ibadismo, un ramo dell’islam che non mira al controllo del governo panislamico, diversamente da alcune fazioni sunnite e sciite. I primi casi noti di coinvolgimento jihadista riguardano Abu Ubaydah Al Omani e Abu Hamza Al Omani, due cittadini omaniti che si unirono ad Al Qaeda in Afghanistan alla fine degli anni Novanta. Combatterono lì fino a quando non furono uccisi, ricevendo successivamente elogi da Al Qaeda in un video pubblicato nell’agosto 2012. Da allora non si ha notizia di jihadisti provenienti dall’Oman. Il sultanato dell’Oman oggi è guidato dal sovrano Haytham Bin Tariq Al Sa’id che è succeduto al cugino Qabus Bin Said Al Said (che non aveva figli), amatissimo dalla popolazione, che è morto il 10 gennaio 2020 a 79 anni, dopo una lunga malattia. Sovrano illuminato, è stato il monarca più longevo del Medio Oriente: dopo aver preso il potere con un colpo di Stato nel 1970, ha riportato il sultanato alla modernità, bilanciando al contempo i rapporti diplomatici tra gli avversari Iran e Stati Uniti. Il sultano, che aveva studiato in Gran Bretagna, trasformò una nazione che, al momento della sua ascesa al trono, contava solo tre scuole e aveva severe leggi che vietavano l’elettricità, la radio, gli occhiali e persino gli ombrelli. Durante il suo regno, l’Oman divenne noto come una meta turistica accogliente e un interlocutore chiave in Medio Oriente, aiutando gli Stati Uniti a liberare prigionieri in Iran e Yemen e ospitando visite di funzionari israeliani pur essendo a favore della nascita di uno Stato palestinese. Oggi l’Oman può guardare al recente passato come a un periodo di notevoli risultati economici. In linea con le priorità nazionali, il decimo Piano di sviluppo quinquennale e gli ambiziosi obiettivi di «Oman Vision 2040», il Paese nel 2023 è stato testimone di un anno di crescita e progressi significativi, che hanno rafforzato le prestazioni dell’economia omanita e migliorato la vita dei suoi cittadini. Nel dicembre 2023 Nasser Bin Rashid Al Maawali, sottosegretario del ministero dell’Economia, ha sottolineato gli indicatori economici positivi che dipingono un quadro promettente per il futuro: «L’economia omanita conclude l’anno con un miglioramento qualitativo e indicatori rassicuranti», ha dichiarato, attribuendo questo successo a politiche economiche e finanziarie efficaci. Nonostante i pochi legami della cittadinanza con il jihadismo, il governo dell’Oman è fortemente impegnato negli sforzi antiterrorismo internazionali, facendo parte della coalizione globale anti Isis e della Coalizione militare islamica contro il terrorismo (Imctc) guidata dall’Arabia Saudita. Tuttavia, generalmente preferisce operare dietro le quinte per mantenere un’apparenza di neutralità per il suo frequente ruolo di mediatore regionale. L’Oman dispone anche di varie agenzie antiterrorismo proprie, come le forze speciali del sultano e la forza speciale della polizia reale dell’Oman. Nell’ambito dei loro stretti rapporti politici e di difesa, i funzionari degli Stati Uniti e dell’Oman conducono regolari discussioni bilaterali sulla lotta all’estremismo violento. Gli Stati Uniti forniscono anche un’assistenza significativa per la sicurezza delle frontiere a Muscat, insieme a piccole sovvenzioni dal programma Nonproliferation, anti-terrorism, demining, and related programs (Nadr) del dipartimento di Stato. Tuttavia, la richiesta di bilancio per l’anno fiscale 2025 dell’amministrazione Biden prevede l’eliminazione dei finanziamenti Nadr e una riduzione dell’assistenza complessiva degli Stati Uniti a Muscat (sebbene sia previsto un leggero aumento dei fondi per il programma International military education and training). In Oman, l’attacco cambierà l’approccio del governo alla minaccia del terrorismo all’interno del Paese, data la natura dell’incidente, gli autori e l’obiettivo che è stato scelto. Questo, probabilmente, includerà il rafforzamento del sistema di sicurezza per capire come un complotto di tale portata sia sfuggito ai servizi di intelligence, oltre a una revisione della risposta di sicurezza all’incidente per trarre importanti lezioni per il futuro che dopo quanto accaduto lo scorso 15 luglio è diventato un po’ più complicato anche per l’Oman. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/oman-terrorismo-islamico-2668895564.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ci-sta-dicendo-sono-ancora-letale" data-post-id="2668895564" data-published-at="1722854162" data-use-pagination="False"> «Ci sta dicendo: sono ancora letale» Adrian Calamel è un ricercatore presso l’Arabian peninsula institute di Washington. È uno storico del Medio Oriente e studioso di terrorismo. Perché l’Isis ha colpito proprio in Oman? È possibile che stia iniziando una stagione di terrore a Muscat? «Diversi fattori dovrebbero spiegare perché l’Isis ha colpito l’Oman e questo potrebbe essere il segnale di un’ondata di terrore a Muscat. La coalizione globale contro lo Stato islamico è stata attiva per un decennio, degradando le sue capacità, eliminando i leader, rimuovendo il califfato fisico, lasciando il gruppo terroristico senza casa e costringendolo a disperdersi in tutto il mondo. L’Isis vuole dimostrare al mondo di essere ancora rilevante e mantiene la capacità di commettere terrore nella regione. Lo Yemen, vicino dell’Oman, è uno Stato fallito, privo di leggi, devastato da una guerra civile in cui l’Isis ha creato piccole enclavi nella parte orientale, consentendo loro di condurre attacchi transfrontalieri. Lo Stato Islamico ha colto molte opportunità, l’Oman è stato risparmiato dagli attacchi terroristici per decenni e l’antiterrorismo del Sultanato è carente rispetto agli Stati del Golfo che hanno sperimentato il terrorismo per anni». Quanto sono probabili gli attacchi in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o Qatar? «Non vedo un mondo in cui l’Isis potrebbe anche solo prendere in considerazione un attacco contro il Qatar, il gruppo terroristico riceve troppo sostegno da Doha. Gli Emirati Arabi Uniti sono certamente a rischio se l’Isis stesse sviluppando un avamposto nel vicino Oman che consentirebbe loro di sferrare attacchi transfrontalieri e anche il vicino Qatar vicino presenta problemi per gli emiratini. L’Arabia Saudita dispone di forti unità antiterrorismo e si trova già in una posizione complicata con gli Huthi e Aqap che collaborano attivamente nello Yemen; gli attacchi potrebbero avvenire nel Regno, ma l’Isis sarebbe un improbabile esecutore». Quali sono i rapporti di forza tra lo Stato islamico e Al Qaeda nel Golfo Persico? Chi è più forte? «Al Qaeda è indubbiamente più forte dell’Isis nel Golfo Persico e in tutto il mondo. La coalizione globale creata dopo aver visto le barbarie commesse dall’Isis ha spostato l’obiettivo da Al Qaeda e le ha permesso di crescere all’ombra delle atrocità dello Stato islamico. Un ultimo dettaglio, ma estremamente importante: Al Qaeda ha definito la Repubblica islamica dell’Iran il suo principale canale di facilitazione, uno sponsor di Stato de facto che l’Isis non possiede. Il più grande Stato sponsor del terrorismo al mondo sostiene Al Qaeda nonostante la stanca narrazione di una divisione tra sunniti e sciiti lo renda impossibile». Possiamo aspettarci l’inizio di operazioni terroristiche su larga scala nel Golfo Persico? «L’attacco terroristico in Oman non deve essere visto come la salva iniziale di una complessa campagna terroristica dell’Isis che ha come obiettivo il Golfo Persico. Se si analizza la mappa del terrore, la minaccia più prossima è rappresentata dall’Isis Khorasan (Iskp). Nell’ultimo anno, la filiale afghana ha compiuto attentati in Russia e nella Repubblica islamica dell’Iran. Il ramo principale ha condotto il jihad nel Sahel e nel Corno d’Africa, con scarsi successi anche in Medio Oriente dopo l’eliminazione del califfato a Mosul e Raqqah». La leadership di Al Qaeda rimane avvolta nel mistero; Saif Al Adel è davvero il leader del gruppo terroristico fondato da Osama Bin Laden? «Già prima della morte di Ayman Al Zawahiri (a Kabul il 31 luglio 2022, ndr), fonti ben posizionate mi avevano riferito che Al Adel sarebbe stato il prossimo in linea di successione quando il primo fosse stato eliminato o fosse morto per cause naturali e non ho motivo di credere che da allora sia cambiato qualcosa. Saif Al Adel ha una forte relazione con la Repubblica islamica iraniana, si è rifugiato a Teheran per due decenni ed è uno stratega del terrorismo globale estremamente capace. Molti credevano che uno dei figli di Osama Bin Laden sarebbe diventato il leader, prima Saad e poi Hamza, ma anche in questo scenario Al Adel sarebbe stato il pianificatore di un progetto nel quale un Bin Laden veniva indicato come leader ma solo a fini propagandistici».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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