2020-05-19
Oltre 100 Stati: «Indagate sulla Cina». Ma l’Oms mette tutto in frigorifero
La richiesta di far luce sulla pandemia è sostenuta da 116 Paesi. Però si tratterebbe di un «esame», più blando rispetto a un'inchiesta indipendente. In ogni caso il capo dell'Organizzazione fa sapere che si farà, ma «in là».Si acuiscono le tensioni tra Stati Uniti e Cina. E il nuovo teatro di scontro è la settantatreesima World health assembly: l'organo decisionale dell'Oms che si riunisce nel mese di maggio a Ginevra con i rappresentanti dei suoi 194 Stati membri. L'assemblea, in corso ieri e oggi, si è svolta per la prima volta in videoconferenza a causa della pandemia in atto. Che si sarebbero registrate delle fibrillazioni, era chiaro sin dall'inizio. Oltre 100 Stati membri hanno infatti proposto di approvare una risoluzione, redatta dall'Unione europea, per condurre un'indagine indipendente sulla crisi del coronavirus. Si tratta di una linea, quella dell'indagine, che nelle scorse settimane era stata invocata dal governo australiano e che aveva suscitato le piccate reazioni di Pechino. Eppure, a ben vedere, non è che il testo dell'attuale risoluzione sia poi così duro. Si tratta di un documento piuttosto generico, che non cita né la Cina né la città di Wuhan. Nel testo non viene, tra l'altro, usata la parola «inquiry» (indagine) ma la più neutra «evaluation» (esame). È pur vero che una simile scelta possa essere stata dettata dalla volontà di attirare un maggior numero di firmatari. Ma è anche possibile che, in realtà, si sia adottata una risoluzione così blanda proprio per non irritare Pechino. E proprio Pechino, in fin dei conti, non è apparsa troppo preoccupata. Se in un primo momento il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian aveva definito «prematura» l'indagine, Xi Jinping ha poi corretto parzialmente il tiro. Intervenendo ieri all'assemblea, il presidente cinese ha detto di essere favorevole a un'inchiesta, guidata dall'Oms, ma solo quando la pandemia «sarà messa sotto controllo». In poche parole, il leader cinese ha accettato l'indagine ma a data da destinarsi. Una posizione, questa, riecheggiata dal direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha assicurato ieri (un po' ambiguamente) l'inizio di un'inchiesta al «primo momento opportuno». Senza poi dimenticare due ulteriori fattori. Innanzitutto, per approvare la risoluzione, sono necessari i due terzi dei voti (un quorum non scontato da raggiungere). In secondo luogo, la conduzione dell'indagine ricadrebbe comunque al di sotto dell'autorità dell'Oms: un'organizzazione i cui vertici (a partire dallo stesso Ghebreyesus) intrattengono ormai da tempo degli ambigui rapporti politici con la Repubblica Popolare. È anche per questo che, nelle scorse settimane, il Partito repubblicano negli Stati Uniti e la Lega in Italia avevano per esempio invocato un'indagine internazionale non solo sulle responsabilità di Pechino ma anche sulla stessa Oms. In tutto questo, la Repubblica popolare è passata al contrattacco, soprattutto per ribattere alle critiche degli americani. Non solo Xi Jinping ha difeso ieri la gestione cinese della pandemia (parlando di risposta «trasparente, responsabile e pronta»). Ma ha anche annunciato che Pechino fornirà due miliardi di dollari in due anni per il contrasto al Covid-19: denaro che sarà principalmente destinato al sostegno socioeconomico dei Paesi in via di sviluppo. Con questa mossa, la Cina mira a conseguire una serie di obiettivi precisi: schivare le critiche sulla gestione della pandemia e infliggere uno schiaffo a Donald Trump che - il mese scorso - ha bloccato i finanziamenti americani all'Oms, da lui tacciata di essere troppo «incentrata sulla Cina». Senza poi trascurare che un simile investimento garantisce a Pechino di rafforzare la propria influenza geopolitica in alcune aree del globo (soprattutto in Africa): influenza che i cinesi sfruttano poi in sede di Nazioni Unite. Washington, dal canto suo, non è rimasta a guardare ed è andata all'attacco della Repubblica Popolare sulla questione di Taiwan. Secondo Reuters, Taipei - che non è un membro dell'Oms - aveva fatto richiesta di partecipare alla World health assembly, anche in considerazione della sua efficace gestione dalla pandemia (appena 440 contagi e 7 decessi complessivamente). Pechino, in ossequio alla «politica dell'unica Cina», ha tuttavia bloccato l'invito dell'isola. Una mossa che ieri il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha criticato con la massima durezza. «Il direttore generale dell'Oms Tedros», ha dichiarato in una nota, «aveva tutti i poteri legali […] per includere Taiwan nelle linee d'azione dell'Oms. Ha invece scelto di non invitare Taiwan sotto pressione dalla Repubblica popolare cinese. La mancanza di indipendenza del direttore generale priva l'Assemblea della rinomata esperienza scientifica di Taiwan sulla pandemia e danneggia ulteriormente la credibilità e l'efficacia dell'Oms in un momento in cui il mondo ne ha maggiormente bisogno». Tutto questo, mentre ieri Trump ha twittato in favore dell'indagine sul virus. Il braccio di ferro con Pechino dunque va avanti.
(Ansa)
«È bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche e razionali che possono meditare contro questa riforma. Ma per l’amor del cielo non si aggreghi – come effettivamente ha già detto, ammesso, e io lo ringrazio, il presidente Parodi – a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo. Questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura». «Mi auguro che il referendum sulla separazione delle carriere venga mantenuto in termini giudiziari, pacati e razionali e che non venga politicizzato nell’interesse della politica ma soprattutto della magistratura. Non si tratta di una legge punitiva nei confronti della magistratura, visto che già prospettata da Giuliano Vassalli quando era nella Resistenza e ha rischiato la vita per liberare Pertini e Saragat».
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