2022-07-04
La battaglia per lo ius scholae risveglia pure Franceschini
Dario Franceschini (Ansa)
Il dem Dario Franceschini, con il supporto di qualche alto prelato, parla di ius scholae come battaglia di civiltà. Ma l’universo politico che lo sostiene è lo stesso che ha provveduto a smantellare la scuola e la nostra cultura.Sono talmente prevedibili da risultare caricaturali. Giusto pochi giorni fa notavano come ogni questione politica che i progressisti decidano di affrontare diventi immediatamente una «battaglia di civiltà», uno scontro fra buoni e cattivi in cui i cattivi, ovviamente, sono sempre coloro che non si trovano d’accordo. Ed ecco che, scatenato dal richiamo della superiorità morale, si è risvegliato Dario Franceschini, pronto a intervenire sul tema della cittadinanza facile con toni eccessivi persino per lui. «Lo ius scholae è irrinunciabile. Sarebbe disumano dire di no», ha dichiarato dopo l’incontro di Areadem a Cortona. Chiaro quale sia il perimetro della faccenda secondo gli amici del Pd? Ciò che loro vogliono è irrinunciabile e chi non lo gradisce è addirittura disumano. Siamo dalle parti della distinzione stabilita alcuni anni fa, sempre riguardo a faccende migratorie, da Matteo Renzi, secondo cui chi si dichiarasse a favore dell’accoglienza meritava l’appellativo di uomo, mentre gli altri andavano ridotti a bestie. Non c’è da stupirsi, funziona ogni volta in questa maniera. Non vi rassegnate ai mutamenti forzosamente imposti dall’alto? Beh, allora siete cattivi e intolleranti oppure stupidi e retrogradi... Sembra pensarla così anche qualche vescovo italiano. Ad esempio monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei e presidente della Fondazione Migrantes. «La riforma della cittadinanza con lo ius scholae va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando», dichiara con tono grave. Già: l’Italia cambia, e se i cambiamenti sono indotti a chi volete che importi? Prima gli illuminati progressisti brigano per disgregare il tessuto sociale e ricomporlo a loro piacimento, poi vengono a dirti che così va il mondo e se non ti piace sei un imbecille. Perego è convintissimo, secondo lui lo ius scholae è una priorità: «Ne parliamo da almeno quindici anni, contrapporre il caro-bollette non ha senso», dice, fingendo di ignorare che ogni anno migliaia di persone già ottengono la cittadinanza. Non pago, il vescovo aggiunge serio: «Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell’Italia che è uno dei Paesi più vecchi». Che Dario Franceschini parli a sproposito, tutto sommato, è perfino comprensibile, in fondo è pur sempre il suo mestiere. Ma che un alto prelato si metta a propagandare la Grande Sostituzione è vagamente angosciante. Visto che siamo vecchi, sostiene il Perego, dobbiamo compensare gli italiani mancanti con «nuovi italiani» di importazione. La fanno tutti molto semplice: bastano cinque anni in un istituto scolastico, dicono, per essere abilitati a richiedere la cittadinanza. E forse il punto centrale della spinosa faccenda è esattamente questo. Che genere di italiani sfornano le nostre scuole? A giudicare dai risultati dei test Invalsi, la situazione non è eccellente, e anche qui non c’è granché da stupirsi. L’universo politico che oggi sostiene la legge per la cittadinanza facile è lo stesso che per decenni ha provveduto (con la complicità dei sedicenti liberali di destra) a smantellare l’istituzione scolastica e, di conseguenza, la cultura italiana. Intendiamoci: le nostre scuole sono ancora piene di insegnanti che eroicamente affrontano l’ondata distruttrice della iper modernità. Ma tutti questi sforzi purtroppo non sembrano essere sufficienti. Anche perché le istituzioni continuano a brigare per peggiorare il quadro. Sembra che la maggiore preoccupazione del mondo politico sia quella di uniformare le menti delle giovani generazioni. Per averne la prova basta rileggersi le tracce dei temi (anzi «i testi argomentativi") proposte per l’esame di Stato (la fu maturità). Banalità sul cambiamento climatico e sugli «ultimi» della società, generiche tirate sul razzismo e sulla civiltà digitale... In pratica una radiografia dell’appiattimento. Abbiamo avuto ministri pronti a giustificare le assenze degli studenti che manifestavano a sostegno delle istanze di Greta, abbiamo dirigenti scolastici impegnati a garantire le «carriere alias» per gli studenti sessualmente fluidi, abbiamo ancora montagne di libri di testo gonfi di ideologia e privi di qualità. Vengono levati spazi al pensiero critico (quindi al pensiero tout court), ai valori tradizionali e alle idee forti; il multiculturalismo è solo una confezione politicamente corretta in cui avvolgere l’annichilimento delle culture d’origine. Tale deriva apparentemente inarrestabile fa pensare che dalle nostre scuole non possano uscire italiani, nemmeno se si tratta di ragazzini nati qui da genitori indigeni. La sensazione è che vengano prodotti in serie soggetti intrisi di pensiero dominante: non cittadini ma candidati alla sudditanza, giovani persone corrispondenti al modello seriale transnazionale, che sanno poco della loro Patria e ovviamente poco la amano. Gli illuminati liberal vogliono concedere ai piccoli stranieri il «diritto di diventare italiani», ma la verità è che lo stanno togliendo pure agli autoctoni. Non vogliono creare «nuovi italiani», ma nuovi individui neutri per cui l’Italia sarà solo un timbro sul documento di identità.