2022-01-07
Nole è l’unico straniero che si può cacciare
Novak Djokovic (Getty Images)
Pugno duro di Melbourne con Novak Djokovic, a rischio espulsione. Il padre: «Simbolo di libertà». Belgrado convoca l’ambasciatore australiano. Intanto, la sinistra applaude Scott Morrison. Uno zelo mai dimostrato con migliaia di clandestini non vaccinati e non respinti.Magari non è il nuovo Spartaco, come ha scritto su Instagram il padre. Ma Novak Djokovic ha compiuto un miracolo: dopo aver spappolato i fegati dei talebani del vaccino, l’«esente» più famoso del mondo è riuscito a far esultare la sinistra per un respingimento alla frontiera. La battaglia tra la leggenda del tennis e l’Australia non è finita. È partito il ricorso contro la sua cacciata dal Paese e, fino a lunedì, giorno dell’udienza, il decreto di espulsione sarà sospeso. Per la quarantena, Djokovic è stato tradotto in un albergo di Melbourne, dove alloggiano anche i richiedenti asilo. A quanto pare, in condizioni igieniche precarie: «Ci sono anche alcuni insetti nella sua stanza», riferisce il giornalista serbo Sasa Ozmo. È stata però respinta la richiesta di lasciar traslocare lo sportivo in un appartamento che aveva affittato in città, in vista degli Open. Addirittura, gli effetti personali e il portafoglio di Nole, com’è soprannominato il numero uno della classifica dell’Association of tennis professionals, sarebbero ancora in aeroporto. Srdjan Djokovic, papà del campione, innalza il trentaquattrenne di Belgrado a «simbolo del mondo libero», che «non soffre l’ingiustizia, il colonialismo e l’ipocrisia, ma combatte per l’uguaglianza di tutte le persone sul pianeta». Novak, scrive l’uomo su Instagram, «è imprigionato, ma non è mai stato più libero». Intanto, si va esasperando lo scontro diplomatico tra Serbia e Australia. La nazione balcanica ha richiamato l’ambasciatore dello Stato oceanico e il presidente, Aleksandar Vucic, ha deplorato la «caccia alle streghe politica». Inflessibile il primo ministro australiano, Scott Morrison: «Le regole sono regole e valgono per tutti». Anche se il provvedimento anti Djokovic, peraltro già guarito dal Covid a luglio 2020, sembra derivare più da un cavillo che da una regola chiara: a parte l’assurda tigna di pretendere «prove adeguate» sul fondamento della franchigia, l’incidente nello scalo di Melbourne, cui sono seguite cinque ore di interrogatorio serrato, si è prodotto, stando al Times, perché «un membro del team» di Djokovic aveva richiesto «una sottoclasse di visto che non si applica a coloro che hanno ricevuto esenzioni mediche da un vaccino contro il Covid-19». Una stampella giuridica per una rappresaglia politica.Alla vicenda, ieri, ha dedicato un predicozzo pure il fuoriclasse spagnolo, Rafa Nadal: «Ho avuto il Covid, sono stato vaccinato due volte e l’unica cosa chiara è che se lo fai puoi giocare. Il mondo ha sofferto troppo per non seguire le regole». Peccato che le regole stesse prevedano che chi non può inocularsi le dosi non sia ingiustamente escluso dalla società e dalla sua professione. Ma intanto, è arrivato il prodigio dell’Epifania: i progressisti de noantri che gongolano per uno straniero bloccato al confine. Basta prendere il post su Facebook di Nicola Zingaretti, che rilanciando la notizia dell’espulsione di Nole, ha ironizzato con il gergo tennistico: «Game, set, match». O il tweet della piddina Alessia Morani, che cita Lassie: «Torna a casa Djokovic, che peccato eh», con annesse faccine sghignazzanti. Anche il telepredicatore sanitario, Nino Cartabellotta, si è scatenato, tra repliche indignate sul profilo social del tennista ed esortazioni a dare il buon esempio. Come ha fatto lui, quando, da medico, ha preso in giro Povia per essersi ammalato... Il gastroenterologo siculo ha chiuso la sfilza di cinguettii avvelenati, condividendo un virgolettato dal comunicato delle autorità sullo sportivo: «“In stato di fermo e bandito dall’Australia”. Game over, of course». Strano: nessuno dei «buoni», i quali, come Enrico Letta, si sono stracciati le vesti per il presunto privilegio del mito della pallina gialla, avevano mai manifestato preoccupazione per i veri clandestini, quelli ammassati nei centri d’accoglienza italiani, che a sottoporsi alla punturina non ci pensano proprio. Eppure, rispetto a un Nole pluritamponato e iperdistanziato sul campo, gli irregolari stipati negli hotspot sono candidati parecchio più probabili a far deflagrare una bomba sanitaria. Lo scorso luglio, un report ci informava che circa il 60% degli ospiti delle strutture d’accoglienza (inclusi, invero, i nostri compatrioti senza dimora) rifiutava il vaccino anti Covid. Stime più aggiornate, ahimè, non ce l’ha nemmeno la struttura commissariale. Una settimana fa, però, il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, riferiva: «I migranti sono restii a vaccinarsi». A suo avviso, perché «non si fidano di firmare dei documenti, non dei vaccini». Fatto sta che il problema esiste. E poi, saranno vaccinate le maree umane che tentavano di penetrare in Polonia dalla Bielorussia, per le quali i socialisti europei hanno profuso tanti appelli commossi? Evidentemente, la scriminante sta in mezzi di trasporto e provenienze: se un africano sbarca in Sicilia, al seguito di una Ong o su un gommone, nessuno gli può chiedere il super green pass; se un milionario serbo, per definizione sciovinista di destra, atterra in Australia con un jet, deve prostrarsi al culto della sacra puntura. E la sinistra «no borders» può convertirsi a muri, passaporti, respingimenti. Manca solo lo slogan giusto: «Vacciniamoli a casa loro».
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)