Ieri Milano è stata paralizzata dal corteo di Greta Thunberg nel silenzio delle autorità. I manifestanti ripetono i soliti inni verdi e rossi e vivono nel paradosso: sono contro il sistema ma i governi li celebrano. Nessuno pensa al ceto medio che il green butta sul lastrico.
Ieri Milano è stata paralizzata dal corteo di Greta Thunberg nel silenzio delle autorità. I manifestanti ripetono i soliti inni verdi e rossi e vivono nel paradosso: sono contro il sistema ma i governi li celebrano. Nessuno pensa al ceto medio che il green butta sul lastrico.L'aveva capito, Giulio Andreotti, che gli ambientalisti sono come i cocomeri: verdi fuori, rossi dentro. Tant'è che ieri, nel corteo milanese di Fridays for future, Greta Thunberg e la sua nuova comprimaria, l'ugandese Vanessa Nakate, hanno cantato e ballato la hit Bella ciao. Un po' partigiane, un po' cultrici della Casa di carta - purché la carta sia riciclata. La sera prima, i militanti della Climate justice platform avevano allestito un sit in a Piazza Affari: è tutta colpa della finanza, dicevano. Davanti la sede della Borsa, è comparsa anche una bandiera No Tav. Fritto misto di disobbedienza. Il venerdì green, invece, comincia alle 8.45. Due cordoni principali, uno da piazzale Lotto, l'altro da porta Venezia, devono convergere verso piazza Cairoli. A metà mattinata, un drappello blocca le auto che percorrono lo stradone tra piazza della Repubblica e la Stazione Centrale. Giovedì, per aver provato a intralciare le macchine dei politici che raggiungevano la pre Cop 26, gli estremisti di Extinction rebellion si sono buscati le manganellate. Stavolta, nessuno interviene. Anche se i vigili del fuoco devono tirare giù un giovinastro vestito da mucca, che s'era arrampicato sul palo di un semaforo. La giornata, insomma, ha il pollice verde ma il bollino nero: traffico in tilt, con la condiscendenza delle autorità. In fondo, questi non sono mica «terroristi» no vax. A loro, tutto è permesso. Gli slogan sono sempre più involuti. Ieri campeggiava quello lanciato da Greta: «Stop bla bla bla». E poi, «CO2 palle così», o «There is no planet B». Solita guerra di numeri tra manifestanti e questura: i primi hanno contato 50.000 ecologisti in marcia, la seconda appena 7.000. Lo staff di Fridays for future parla, comunque, del «più grande corteo in epoca di pandemia in Italia». Sul palco sale prima Vanessa, che si lamenta perché la sua Africa «non è responsabile delle emissioni», eppure, per via del cambiamento climatico, è piena di «persone che stanno perdendo tutto, lavoro, casa, salute. Non c'è cibo, non c'è acqua. Non possiamo restare in silenzio, il cambiamento climatico sta distruggendo le nostre vite». La Thunberg esordisce in italiano: «Ciao Milano e grazie», come dicono le rockstar straniere in tournée. Il resto è una spremuta di qualunquismo verde: «Basta con inazione e promesse vuote». «Un altro mondo è possibile, nessuno ci fermerà». «I ministri del mondo riuniti qui a Milano pensano di avere la soluzione per il mondo, con i loro bla bla bla, e noi siamo stanchi di questo, la speranza siamo noi». Nessuno si senta offeso, aggiungerebbe Francesco De Gregori. Fanno tenerezza anche gli ultimatum della portavoce di Fff, Martina Comparelli: «Vogliamo lo stop immediato a ogni nuova infrastruttura legata a petrolio, gas e carbone». Qualcuno le spieghi come il mercato dell'auto elettrica possa contribuire ad aumentare le emissioni, o come il boom di pannelli solari e pale eoliche impatterà sulla produzione di materie prime - per restare in tema di Paesi poveri sfruttati - e sul loro prezzo. Tra gli altri motti, i ragazzi scandiscono: «Chi non salta Cingolani è». E pensare che il ministro li ha ricoperti di lodi: sono stati «fantastici», ha dichiarato. E, sulla Stampa, ha auspicato che la Youth4climate sia «la prima di una lunga serie». Pure Mario Draghi aveva rassicurato le leader del movimento: la transizione ecologica si farà, le chiacchiere servono semplicemente a indorare la pillola amara. Ovvero, il costo atroce del radicalismo ambientale, tutto caricato sulle classi medie, calpestate da crisi economiche, strage di diritti sociali e contrazione di libertà individuali. È proprio questo, a ben vedere, l'aspetto più grottesco della manifestazione: si protesta contro governanti che sono d'accordo con chi manifesta. Che promettono di fare quel che dicono i militanti. Magari, solo in modo più graduale. Così, si prendono due piccioni con una fava: da una parte, il massimalismo del documento consegnato dai ragazzi alla pre Cop 26 farà apparire moderata la macelleria verde; dall'altra, la propulsione dell'attivismo fornirà la giustificazione per interventi sempre più pervasivi. A beneficio di chi - dall'industria delle rinnovabili, ai free rider globali come la Cina - ha molto da guadagnare dalla «green revolution» occidentale. D'altronde, nessuno può essere risparmiato - e nessuno potrà risparmiare. Lo ha ribadito sempre Roberto Cingolani: «Abbiamo 13 milioni di automobili euro zero ed euro 1, la gente se le tiene perché non ha i soldi, se noi li portassimo sugli euro 6 l'impatto sarebbe enorme».A quasi due anni dall'inaugurazione del laboratorio di autoritarismo sanitario, questa è la rappresentazione compiuta di cosa sta diventando il dissenso nelle società ex liberaldemocratiche: un paravento del potere. La politica è morta, esiste solo la policy. E ogni policy è «necessaria», come ama ripetere il nostro premier e come pontifica pure la Thunberg: «Il cambiamento non solo è possibile, è necessario». Il Pnrr, sbandierato dinanzi ai giovani ecologisti, è il punto più raffinato della strategia del pilota automatico, che non soffoca l'opposizione; semmai, la rende inutile. La disinnesca. Oggi, comunque, finisce la pre Cop 26 e sono previste nuove dimostrazioni: ammessi gli adulti. Il 22 ottobre, pochi giorni prima dell'inizio della conferenza di Glasgow, sarà organizzato un altro sciopero. I potenti ringraziano.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».






