2018-09-24
Con la condanna degli intermediari in Nigeria i pm puntano Descalzi. Ma l'assoluzione di Orsi è un salvagente per l'Eni
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Assolto Paolo Scaroni per le presunte tangenti a Lagos, il tribunale di Milano ha inflitto quattro anni a Obi Emeka e Gianluca Di Nardo. Gli avvocati Eni temono che possa avere ricaschi sul secondo processo: per i giudici infatti c'è stata corruzione internazionale. Pubblichiamo in esclusiva le motivazioni della sentenza bis per l'ex manager di Finmeccanica. «Non vi è alcuna prova evidente di accordo di corruzione con funzionario pubblico straniero, come asserito nell'accusa», si legge nel testo che fa luce nella districata battaglia politica. Una schema che potrebbe applicarsi perfino al dibattimento che coinvolge gli attuali vertici del Cane a sei zampe.Mistero a Dubai. La principessa Latifa bint Mohammed al Maktoum, figlia dello sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum, dopo aver lasciato l'Emirato sarebbe stata fermata in India. Il Paese di Modi medita di scambiarla con Christian Michel, il presunto intermediario della tangente AgustaWestland. Nuova Dehli lo vuole a tutti i costi anche se l'ultimo pronunciamento dei magistrati italiani sembra assolverlo. Lo speciale contiene tre articoli e documenti esclusivi. A San Donato non hanno avuto nemmeno il tempo di festeggiare l'assoluzione dell'ex amministratore delegato Paolo Scaroni sull'inchiesta in Algeria. L'indomani lo stesso tribunale di Milano ha condannato a quattro anni Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, due degli imputati nel processo Eni Nigeria, accusati di essere gli intermediari della presunta tangente da un miliardo e 300 milioni di dollari che sarebbe stata versata da Eni e Shell (entrambe a processo) al governo della Nigeria per l'acquisizione del giacimento Opl-245 sul delta del Niger. Entrambe le compagnie petrolifere hanno sempre negato ogni addebito spiegando di essersi comportante correttamente. Il prossimo 26 settembre incomincerà il troncone del processo principale, dove dovranno rispondere alle accuse di corruzione internazionale lo stesso Scaroni e l'attuale numero uno del cane a sei zampe Claudio Descalzi. Gli avvocati lo hanno capito subito. La condanna di Obi e Di Nardo potrebbe ricadere proprio sul nuovo processo, perché la sentenza di giovedì firmata dal gup Giusi Barbara stabilisce che la corruzione internazionale dei politici nigeriani c'è stata. Ma Descalzi rischia qualcosa? La nomina dell'attuale numero uno del cane a sei zampe è sempre stata molto dibattuta. Già nel 2014, quando fu Matteo Renzi a volerlo al posto di Scaroni. Pochi giorni dopo la nomina scoppiò appunto l'indagine Nigeria, ma l'allora presidente del Consiglio decise di difenderlo. Nel 2017 Descalzi è stato riconfermato dal governo di Paolo Gentiloni. Il suo mandato scade nel 2020. Eni è da sempre terreno di scontro in politica e scatena gli appetiti di tutte le maggioranze di governo. Dopo l'insediamento dell'esecutivo gialloblu di Giuseppe Conte a saltare sono stati solo i vertici di Ferrovie dello Stato. Le altre nomine nelle partecipate sono blindate. È evidente che se dovesse arrivare una condanna per Descalzi prima della prossima primavera forse il suo incarico potrebbe essere messo in discussione. Ma il processo è molto lungo. E da quel che si capisce la sentenza potrebbe arrivare non prima di un anno. In sostanza è probabile che l'Africano, come lo chiamano a San Donato, resti in sella fino alla scadenza naturale del mandato, sempre che la pressione mediatica non si faccia sentire nei giorni caldi delle udienze. In più, a quanto pare, Descalzi vanta un buon rapporto con la Lega del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e del vicepremier Matteo Salvini. Tra i 5 Stelle invece c'è chi vorrebbe che il suo posto lo prendesse Francesco Starace. È ancora presto. Il prossimo anno andrà in scadenza poi il consiglio di amministrazione di Snam, dove siede come amministratore delegato Marco Alverà, un'intera carriera in Eni e di sicuro un possibile nuovo numero uno del cane a sei zampe in futuro. In ogni caso bisognerà aspettare l'esito del processo. Al momento a tirare un sospiro di sollievo è Scaroni, che non è stato ritenuto colpevole di corruzione internazionale nell'altro processo sulla presunta maxi tangente pagata da Saipem in Algeria. I giudici hanno anche assolto anche Antonio Vella, manager di Eni, ex responsabile del gruppo per l'area del Nord Africa. Giudicato non colpevole anche il gruppo del cane a sei zampe. A essere condannata è stata la controllata Saipem, ora anche in pancia a Cassa depositi e prestiti (12%). Secondo l'impianto accusatorio i dirigenti di quella che è considerata tra i più importanti contractor a livello mondiale per la costruzione e manutenzione delle infrastrutture petrolifere, avrebbe versato a una cerchia di politici algerini una maxi tangente da 198 milioni di euro in cambio di commesse petrolifere del valore complessivo di 8 miliardi. Ma l'Algeria non è la Nigeria. Nella seconda inchiesta i magistrati italiani sospettano siano stati proprio Eni e Shell a usare tangenti per ottenere i diritti sull'Opl nel 2011, un giacimento petrolifero offshore che si stima possa arrivare a nove miliardi di barili di greggio. Giovedì scorso il tribunale il giudice italiano ha ordinato la confisca di 98 milioni di dollari a Obi e 21 milioni di franchi svizzeri a Di Nardo dopo averli riconosciuti colpevoli di «corruzione internazionale»: sarebbero parte della tangente destinata agli intermediari. Antonio Tricarico, della Ong italiana Re: Common, da sempre in prima linea in quello che è stato definito il processo del secolo ha spiegato: «I pubblici ministeri di Milano hanno avuto il coraggio di portare coraggiosamente Eni e Shell e i loro top manager a processo. È giunto il momento che il governo italiano, in quanto principale azionista di Eni, consideri di sospendere tutti i dirigenti coinvolti nella causa fino al giudizio finale». Parole al momento cadute nel vuoto. Leggi qui la sentenza Gamacchio.pdf<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nigeria-eni-descalzi-orsi-2607076216.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-motivazioni-dell-appello-bis-di-orsi-nessuna-prova-di-accordo-ne-corruzione" data-post-id="2607076216" data-published-at="1758077263" data-use-pagination="False"> Le motivazioni dell'appello bis di Orsi: «Nessuna prova di accordo né corruzione» Sono state depositate le motivazioni dell'assoluzione nell'appello bis dell'ex amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi. «Non vi è alcuna prova evidente di accordo di corruzione con funzionario pubblico straniero, come asserito nell'accusa». Erano attese da mesi, anche perché adesso spetterà al procuratore generale Gianluigi Fontana decidere se ricorrere o meno in Cassazione, cioè al terzo grado di giudizio. Nel 2016, dopo l'assoluzione nel 2014, Orsi e Bruno Spagnolini, ex numero uno di Agusta Westland, erano stati condannati in secondo grado dal tribunale di Milano per corruzione internazionale sulla nota vicenda degli elicotteri Aw101 venduti in India con una maxi commessa da 560 milioni di euro del 2010. Poi dopo la scoperta di un vizio di forma è stato concesso un nuovo appello. L'inchiesta nasce nel 2013, quando Orsi fu arrestato su ordine della procura di Napoli che indagava sulla corruzione ai piani alti di piazzale Montegrappa. Negli anni il processo si è snodato tra Milano, Busto Arsizio e poi di nuovo Milano. Mentre nel frattempo anche l'India ha aperto un procedimento per incastrare la famiglia del maresciallo Sashi Tyagi, ex capo di stato maggiore dell'Air Force India, che è stato accusato di aver modificato il capitolato di gara per far vincere proprio Agusta Westland, in cambio di una tangente da 50 milioni di euro, poi suddivisa tra tutti gli intermediari dell'operazione. In India la vicenda ha assunto i tratti di una battaglia politica tra il partito di governo di Narendra Modi e l'opposizione di Sonia Gandhi, di origine italiana e per questo accusata di aver anche lei favorito lo scandalo. Il processo Finmeccanica ebbe impatto sulla gestione del nostro colosso della Difesa, ma soprattutto sui rapporti tra Italia e India, già impegnate nella difficile gestione del caso dei due marò. Le motivazioni, firmate dal presidente Francesca Marcelli, provano a mettere un po' di chiarezza sulla vicenda. I giudici milanesi evidenziano nella sentenza di 322 pagine la mancanza di un riscontro di un pagamento diretto proprio al maresciallo Tyagi. E riprendono in parte l'assoluzione nel primo grado di giudizio. Perché il ragionamento accusatorio, secondo l'accusa, si fondava proprio su questo: che l'intermediaro Guido Haschke, i cittadino svizzero che ha patteggiato una pena a 1 anno e 10 mesi, avesse pagato tutta la famiglia Tyagi. Ma, sostengono i giudici che hanno assolto Orsi e Spagnolini, la somma di denaro pattuita agli indiani si è fermata solo ai fratelli e non al maresciallo. Quindi, «senza il nesso diretto con il pubblico ufficiale straniero», i pagamenti sono stati valutati solo come «consulenziali e di intermediazione». Al contempo viene alleggerita anche la posizione di Christian Michel, il manager inglese che ha affiancato Haschke nell'affare, arrestato a Dubai questa estate come raccontato dalla Verità. L'India ne chiede l'estradizione per processarlo, ma nelle motivazioni della sentenza si legge che l'istruttoria dibattimentale non ha consegnato alcun ruolo ascrivibile a Michel, in particolare proprio nella determinazione dei requisiti di gara né contatti con i maresciallo Tyagi o con i fratelli. Ora si aspettano le decisioni del procuratore generale Fontana.Alessandro Da Rold <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nigeria-eni-descalzi-orsi-2607076216.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-india-la-principessa-latifa-dubai-pensa-di-scambiarla-con-michel-il-presunto-intermediaro-scagionato-dall-ultima-sentenza" data-post-id="2607076216" data-published-at="1758077263" data-use-pagination="False"> In India la principessa Latifa. Dubai pensa di scambiarla con Michel il presunto intermediaro (scagionato dall'ultima sentenza) Il deposito delle motivazioni per l'assoluzione di Giuseppe Orsi hanno ricadute sia sul piano internazionale che interno alla nuova Finmeccanica, ovvero Leonardo. Le parole dei giudici milanesi scagionano non solo l'ex amministratore delegato, ma anche gli altri indagati, accusati di aver partecipato ormai più di dieci anni fa a truccare la maxi commessa per i 12 elicotteri di AgustaWestland in cambio di tangenti. Dal 18 luglio scorso si trova nelle carceri di Dubai Christian Michel, il manager inglese, presunto intermediario della tangente, ora in attesa dell'estradizione verso l'India. In due processi collegati a quello principale, l'intermediario britannico è stato scagionato. Le motivazioni della sentenza confermano la sua estraneità ai fatti. La questione è molto sentita a Nuova Dehli, soprattutto per questioni politiche. Il governo di Nerendra Modi si è costituito parte civile in tutti i processi in Italia e ha chiesto di processare anche Orsi e Bruno Spagnolini, ma la richiesta non è stata concessa dal nostro ministero degli Esteri. Negli Emirati Arabi Uniti la questione potrebbe essere risolta diversamente. Modi vuole mostrare al suo elettorato di aver fatto tutto il possibile per punire i responsabili di questo caso di corruzione che avrebbe toccato esponenti dell'opposizione. E Michel è il pesce più facile da catturare. Non solo. A Dubai negli ultimi mesi è successo un fatto molto strano su cui vige la massima riservatezza. A marzo è scomparsa la principessa Latifa bint Mohammed al Maktoum, figlia dello sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum, primo ministro degli Emirati Arabi Uniti ed emiro di Dubai. Lo ha annunciato in un video pubblicato su Youtube creando non pochi imbarazzi alla famiglia reale. La donna è fuggita sullo yacht Nostromo con alcuni amici ma sarebbe stata intercettata proprio al largo della coste dell'India, a 50 miglia da Goa. Secondo quanto ricostruito dai quotidiani stranieri e da Amnesty International, che da mesi chiede chiarezza sulla vicenda, la barca è stata fermata il 3 marzo dalla Guardia costiera indiana. Sarebbero state due in particolare, la Icgs Shoor e la Cgs Samarth, navi militari usate dal governo Modi per pattugliare le coste. All'operazione avrebbero partecipato anche due incrociatori da guerra degli Emirati Arabi, aeri militari e un elicottero. Da marzo della principessa non si sa più nulla. Amnesty ha portato la vicenda anche alle Nazioni Unite, ma di risposte non ne sono arrivate. A Dubai c'è chi sostiene che l'aiuto da parte degli indiani nel ritrovamento di Latifa potrebbe essere compensato appunto con l'estradizione di Michel, che potrebbe essere presto portato nelle carceri indiane. Insomma si tratterebbe di un classico caso di scambio diplomatico tra i due Paesi. La prossima settimana sarà decisiva per sapere se l'estradizione andrà in porto o meno. Nel frattempo in piazzale Montegrappa e tra gli ex dirigenti della gestione di Pierfrancesco Guarguaglini c'è chi ha iniziato a ricordare come la scelta del 2014 dell'allora amministratore delegato Mauro Moretti di patteggiare non sia stata così lungimirante. AgustaWestland infatti ammise le proprie responsabilità sulla vicenda accettando così la confisca di 7 milioni e mezzo di euro come profitto del presunto reato di corruzione internazionale in India nel 2010. Ora le motivazioni della sentenza hanno ribaltato il giudizio e messo in cattiva luce quella decisione. Alessandro Da Rold