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2020-10-05
Niente vaccini per 2 italiani su 3
Chi ha meno di 60 anni rischia di restare senza il vaccino antinfluenzale. In una situazione di normalità, questa fascia di popolazione non prende in considerazione la possibilità di cautelarsi dal virus stagionale, ma l'eccezionalità imposta dal Covid ha fatto saltare tutte le abitudini e le statistiche. Le Regioni si sono aggiudicate scorte di vaccino dai produttori per circa 17,9 milioni di dosi. Sono destinate agli over 60 e alle persone di età inferiore considerate a rischio o appartenenti a categorie professionali a contatto con il pubblico: forze dell'ordine, insegnanti, vigili urbani, personale ospedaliero, chi vive o lavora con anziani, bambini che frequentano i nonni, conviventi con persone a rischio, chi ha avuto un'operazione.
Costoro possono rivolgersi al medico di famiglia per essere vaccinati gratuitamente. E gli altri che non rientrano in questo target, che fanno? Devono andare in farmacia e pagare. Non sarebbe nemmeno una grande spesa, visto che il prezzo medio è tra 10 e 15 euro da considerare, come ripetono in queste settimane molti virologi, come un investimento sulla propria salute. Il problema è un altro: l'incetta fatta dalle Regioni, sfruttando il loro diritto di prelazione, ha sguarnito i dispensari. Ogni punto vendita può contare solo su 12 dosi, che peraltro devono ancora arrivare. Le Regioni hanno promesso una fornitura di 250.000 vaccini mentre Federfarma ha stimato che per soddisfare le richieste ne servirebbero circa 2 milioni. Il rischio è che 2 su 3 non riescano a vaccinarsi. E sono persone attive sul lavoro, l'asse produttivo del Paese.
Le farmacie sono state già prese d'assalto e le prenotazioni hanno superato di gran lunga le scorte. E l'inverno non è ancora iniziato. Il governo insieme all'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sta valutando la possibilità di comprare il prodotto all'estero, ma i tempi non saranno brevi e non si preannuncia nemmeno un'operazione facile in un mercato in cui la domanda, a livello globale, è cresciuta in modo esponenziale. L'anno scorso erano state distribuite 12,5 milioni di dosi. Ma basteranno 5,5 milioni di dosi in più per una situazione eccezionale come quella di quest'anno? Roberto Rossi, presidente dell'Ordine provinciale dei medici di Milano, è pessimista: «La Lombardia ha acquistato 2,4 milioni di vaccini, l'80% in più dello scorso anno, ma noi temiamo che siano insufficienti a coprire la platea di chi ne ha diritto gratuitamente. A maggior ragione potrebbero non bastare per tutti gli altri ai quali il ministero della Salute ha consigliato la somministrazione».
L'Organizzazione mondiale della sanità e il Piano nazionale di prevenzione vaccinale del ministero della Salute indicano come obiettivo minimo il 75% di vaccinazioni tra gli ultrasessantacinquenni e negli altri gruppi a rischio. Ma sono target superati. Quest'anno l'età di prescrizione è stata abbassata da 65 a 60 anni e la platea dei soggetti a rischio si è allargata. Le 18 milioni di dosi sarebbero insufficienti se decidesse di vaccinarsi il 100% degli individui ritenuti a rischio, forse anche meno dal momento che il rifornimento è stato fatto considerando l'andamento degli anni passati. Il ministero della Salute conta sul fatto che simili percentuali non sono mai state raggiunte. Lo scorso anno, tra gli over 65 si è vaccinato il 54,6%, nel 2018 il 53,1%. Il tasso di vaccinazione antinfluenzale nella popolazione generale è invece sensibilmente più basso: intorno al 17%. Stiamo parlando però di situazioni di normalità.
La domanda degli anziani e dei soggetti a rischio sarà sicuramente più alta e anche chi di solito non considerava di immunizzarsi, quest'anno potrebbe farlo. Numerose aziende stanno sollecitando i propri dipendenti a vaccinarsi per evitare di veder moltiplicare le assenze per malattia. Gran parte della popolazione si troverà scoperta e in una situazione di caos, tra le lunghe file degli ambulatori e i farmacisti che non potranno far altro che ingrossare le liste delle prenotazioni.
La responsabilità è delle Regioni che, come dice la Fondazione Gimbe, specializzata nelle analisi dell'efficienza della sanità in Italia, «non hanno previsto con largo anticipo la necessità di aumentare le scorte per la popolazione non a rischio». A questo si aggiunge che è esplosa la domanda sui mercati internazionali e i bandi di gara sono stati indetti in ritardo, impedendo ad alcune Regioni di aggiudicarsi tutte le dosi richieste.
Era una situazione prevedibile sin dall'inizio della pandemia e il sistema sanitario aveva tutto il tempo per organizzarsi e arrivare preparato al periodo invernale. La situazione è che 7 Regioni e le 2 Province autonome hanno scorte per coprire meno del 75% della popolazione over 60, mentre 12 Regioni si sono aggiudicate un quantitativo adeguato di vaccini. Ma la disponibilità di dosi residue per la popolazione non a rischio è molto variabile.
Perché vaccinarsi è considerato così importante, se l'immunizzazione non riguarda il Covid-19? Il centro cardiologico Monzino di Milano, studiando la diffusione del contagio nelle varie regioni italiane, ha rilevato che quelle con un più alto tasso di copertura contro l'influenza nella popolazione over 65 mostravano un minor numero di pazienti ricoverati con sintomi, di malati in terapia intensiva e di decessi. I dati, appena pubblicati su Vaccines, una rivista internazionale del gruppo Multidisciplinary digital publishing institute, supportano l'ipotesi che la vaccinazione antinfluenzale possa aiutare a prevenire la diffusione del Covid.
Nello studio si dice che il virus dell'influenza stagionale e quello del coronavirus hanno vie di trasmissione simili e alcuni sintomi in comune, ma, come è noto a tutti, sono molto differenti in termini di gravità e mortalità in caso di infezione, e per i gruppi di età colpiti. Mentre l'influenza colpisce soprattutto bambini e adolescenti, il Covid contagia prevalentemente i più anziani. Dallo studio del Monzino emerge dunque che la diffusione e la gravità del Covid sono inversamente proporzionali al tasso di vaccinazione antinfluenzale: meno vaccini, più Covid. La conclusione è che aumentando soltanto dell'1% la copertura vaccinale negli over 65, cioè circa 140.000 dosi a livello nazionale, si sarebbero potuti evitare 78.560 contagi, 2.512 ospedalizzazioni, 353 ricoveri in terapie intensive e 1.989 morti. Confermano questa ipotesi anche le raccomandazioni di tutte le autorità sanitarie, a partire dall'Organizzazione mondiale della sanità.
Ma c'è anche una motivazione sociale. I sintomi dell'influenza e del Covid sono simili, e alla comparsa di qualche linea di febbre accompagnata da colpi di tosse si può entrare nel panico. Significa aumentare l'afflusso negli ambulatori di persone in preda all'ansia, con tutti i disagi che ne conseguono. Per questo è ritenuta fondamentale una copertura vaccinale molto ampia anche nelle fasce non a rischio che, di fatto, includono la maggior parte dei lavoratori ai quali è affidata la ripresa economica del Paese. Peraltro il Covid, come s'è visto negli ultimi mesi, non risparmia nemmeno trentenni e quarantenni e tanti giovani, in condizioni lavorative precarie, sono tornati a vivere in famiglia.
«Le carenze segnalate due mesi fa ma nessuno ha mosso un dito»
«La popolazione sotto i 60 anni, quella produttiva, l'asse portante del Paese, rischia di restare senza vaccino antinfluenzale. Chi è escluso dalla copertura gratuita non può comprare il prodotto in farmacia perché non c'è e quando le dosi arriveranno saranno insufficienti. Siamo in una situazione eccezionale. La domanda globale è cresciuta con percentuali senza precedenti. Il nostro sistema sanitario potrebbe trovarsi in difficoltà». L'allarme è di Federfarma che ha raccolto le segnalazioni delle farmacie e dei distributori intermedi. «L'industria non ha più dosi da distribuire. Alle farmacie arriveranno dalle Regioni solo 250.000 vaccini, cioè 12 per ogni punto vendita», afferma Roberto Tobia, segretario nazionale dell'associazione.
Perché l'allarme risuona solo adesso?
«Noi abbiamo evidenziato una carenza di vaccino già due mesi fa, in estate, quando le farmacie ci hanno detto che non avevano notizie della disponibilità di dosi, perché l'industria non ne ha».
Come è possibile che l'industria non abbia vaccini?
«La produzione mondiale non riesce a soddisfare la richiesta. In Italia le Regioni hanno richiesto quantitativi più elevati, il 42% in più. Hanno voluto ampliare la disponibilità a vaccinare, approvvigionandosi in maniera più corposa, anche in previsione di un aumento della richiesta. Ricordo che i sintomi dell'influenza stagionale sono sovrapponibili a quelli del Covid».
Vuol dire che chi ha meno di 60 anni deve preoccuparsi?
«Abbiamo fatto presente la situazione al ministro della Salute, Roberto Speranza, e siamo riusciti ad avere una rimodulazione delle quote vaccinali in modo da assegnarne una percentuale alle farmacie. Ma le Regioni, e neanche tutte, sono disposte a dare alle farmacie solo l'1,5%, cioè 250.000 dosi. Davvero insufficienti. Lo scorso anno abbiamo dispensato dalle farmacie dalle 800.000 alle 900.000 dosi. Quest'anno si prevede che le richieste saranno almeno 1,5-2 milioni. Se non si hanno 60 anni e non si fa parte di una categoria protetta, il vaccino non è gratuito: nessuna Regione garantisce la copertura dell'asse produttivo del Paese. Pensate al rischio di prendere l'influenza non sapendo che è Covid, quindi il panico. Tant'è che il ministro ha invitato tutti a vaccinarsi. Ma se i vaccini non ci sono?».
E le 250.000 dosi che vi sono state assegnate?
«Ancora non sono arrivate. Ce le hanno promesse ma non c'è una data di consegna, non sappiamo nulla. E poi su una rete di 19.000 farmacie, sono 12 dosi e mezza per ciascuna».
Che soluzione proponete?
«Abbiamo segnalato il problema. La strada che potrebbe seguire il ministero della Salute è acquisire il prodotto all'estero, che però va autorizzato dall'Aifa. Noi ci siamo messi a disposizione anche per trovare una soluzione alla difficoltà di somministrare tante dosi. Sono circa 18 milioni in tre mesi, non è facile. Perfino alcuni sindacati dei medici hanno dubitato sulla possibilità di riuscire a vaccinare tutti».
Le farmacie si offrono di fare i vaccini?
«Abbiamo fatto presente alle autorità che l'Italia è tra i pochi Paesi in Europa in cui la vaccinazione in farmacia non può essere effettuata. In Europa 14 nazioni su 28 hanno autorizzato l'inoculo del vaccino antinfluenzale e lo stesso avviene in 60 Paesi nel mondo tra cui Regno Unito, Stati Uniti e Argentina. In Italia un Regio decreto del 1934 impedisce al farmacista di fare un'iniezione. È un atto anacronistico. Noi siamo pronti, abbiamo seguito corsi per preparare il farmacista a questa funzione. Ma occorre una modifica legislativa».
Somministrare in farmacia il vaccino avrebbe un costo?
«Sì, dovrebbe essere remunerato, ma il problema primario è che i vaccini mancano. Arriverà un momento in cui al primo colpo di tosse si avrà il terrore che sia Covid e non influenza. Il vaccino antinfluenzale dà una mano a identificare i casi di coronavirus. E non dimentichiamo che si muore anche per le complicanze dell'influenza. Siamo pronti a collaborare, ci dicano come».
Quanto costa acquistare un vaccino in farmacia?
«Dipende dalla tipologia, si va dai 10 ai 14 euro, non si tratta di una cifra alta. La nostra intenzione non è fare margine sul prodotto ma fornire un servizio alla collettività».
«Per fare le punture a tutti studi medici aperti anche sabato e domenica»
«Calma, non c'è motivo di affollarsi negli ambulatori. Per fare il vaccino antinfluenzale ci sono tre mesi. E basta allarmismi: le dosi per tutti i soggetti a rischio ci sono». Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario nazionale della Federazione medici di base (Fimmg), lancia messaggi rassicuranti: «Vedo troppe persone in preda all'ansia, soprattutto coloro che non hanno patologie importanti e non sono nell'età più a rischio».
La Fimmg ha rilevato un aumento del flusso negli ambulatori per vaccinarsi?
«Abbiamo richieste tra l'80 e il 90% dei pazienti, quando non si superava il 50%. Gli studi si stanno attrezzando per accelerare la somministrazione: molti rimarranno aperti il fine settimana, compresi sabati e domeniche, altri ancora stanno reclutando spazi all'aperto maggiori. Abbiamo previsto percorsi Covid. Io ricevo chi ha sintomi febbrili, con appuntamento, dopo le 19, al di fuori dell'orario normale, per evitare che il paziente entri in contatto con altre persone. Le persone, come è ovvio, sono preoccupate e chiedono spiegazioni. C'è tanta confusione e su questo è facile specularci sopra. Noi spieghiamo ai nostri assistiti che la corsa al vaccino non è giustificabile. Anzi c'è il rischio che chi fa la puntura in anticipo possa restare scoperto nel periodo di picco dell'influenza».
Ma la campagna per l'antinfluenzale non è stata anticipata?
«Facciamo chiarezza. L'influenza arriva di solito a metà dicembre e comincia a manifestarsi al Nord, poi scende al Sud. Il vaccino dà la massima copertura a partire da due settimane successive alla somministrazione fino a tre mesi, poi scende gradualmente. Quindi chi fa la puntura ora rischia di restare scoperto a febbraio e di doverne fare un'altra. La precedenza ce l'hanno i malati a rischio, poi vengono gli altri, non capisco questo allarmismo. I dati sull'influenza che arrivano dall'Australia sono incoraggianti. L'uso di mascherine e il distanziamento hanno fatto sì che fosse una stagione con poche preoccupazioni. È ciò che mi auguro anche per l'Italia».
Le farmacie reclamano più dosi, sostengono che 250.000 vaccini sono insufficienti per la domanda crescente.
«La priorità ce l'hanno le persone a rischio, e quest'anno è stata ampliata la platea di quanti possono avere l'antinfluenzale in modo gratuito. Solo una piccola quota di popolazione è fuori. Secondo le previsioni, i medici di base e i pediatri prenderanno in carico dall'80 al 90% dei pazienti».
Ma così resta fuori chi ha meno di 60 anni, cioè la popolazione che lavora?
«Non è del tutto così. La copertura vaccinale è stata allargata anche a chi è sotto i 60 anni e si trova in determinate situazioni professionali, ha patologie ed è a contatto con anziani. Un quarantenne insegnante può fare il vaccino gratuitamente. Così un bambino accompagnato dal nonno a scuola e perfino chi è in sovrappeso. L'elenco delle categorie incluse è lungo».
Le farmacie chiedono di poter somministrare i vaccini.
«È come se noi medici chiedessimo di poter distribuire le medicine».
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Medici e virologi consigliano di immunizzarsi. Le Regioni hanno fatto incetta. Risultato: farmacie sguarnite e lavoratori a rischio.Il segretario nazionale di Federfarma, Roberto Tobia: «L'anno scorso abbiamo distribuito 900.000 dosi di antinfluenzale, quest'anno il sistema pubblico ce ne ha promesse solamente 250.000. E non ha ancora fatto le consegne».Il rappresentante dei medici di base, Pier Luigi Bartoletti: «Ai pazienti suggerisco di non anticipare troppo per non restare scoperti in inverno».Lo speciale contiene tre articoli.Chi ha meno di 60 anni rischia di restare senza il vaccino antinfluenzale. In una situazione di normalità, questa fascia di popolazione non prende in considerazione la possibilità di cautelarsi dal virus stagionale, ma l'eccezionalità imposta dal Covid ha fatto saltare tutte le abitudini e le statistiche. Le Regioni si sono aggiudicate scorte di vaccino dai produttori per circa 17,9 milioni di dosi. Sono destinate agli over 60 e alle persone di età inferiore considerate a rischio o appartenenti a categorie professionali a contatto con il pubblico: forze dell'ordine, insegnanti, vigili urbani, personale ospedaliero, chi vive o lavora con anziani, bambini che frequentano i nonni, conviventi con persone a rischio, chi ha avuto un'operazione. Costoro possono rivolgersi al medico di famiglia per essere vaccinati gratuitamente. E gli altri che non rientrano in questo target, che fanno? Devono andare in farmacia e pagare. Non sarebbe nemmeno una grande spesa, visto che il prezzo medio è tra 10 e 15 euro da considerare, come ripetono in queste settimane molti virologi, come un investimento sulla propria salute. Il problema è un altro: l'incetta fatta dalle Regioni, sfruttando il loro diritto di prelazione, ha sguarnito i dispensari. Ogni punto vendita può contare solo su 12 dosi, che peraltro devono ancora arrivare. Le Regioni hanno promesso una fornitura di 250.000 vaccini mentre Federfarma ha stimato che per soddisfare le richieste ne servirebbero circa 2 milioni. Il rischio è che 2 su 3 non riescano a vaccinarsi. E sono persone attive sul lavoro, l'asse produttivo del Paese.Le farmacie sono state già prese d'assalto e le prenotazioni hanno superato di gran lunga le scorte. E l'inverno non è ancora iniziato. Il governo insieme all'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sta valutando la possibilità di comprare il prodotto all'estero, ma i tempi non saranno brevi e non si preannuncia nemmeno un'operazione facile in un mercato in cui la domanda, a livello globale, è cresciuta in modo esponenziale. L'anno scorso erano state distribuite 12,5 milioni di dosi. Ma basteranno 5,5 milioni di dosi in più per una situazione eccezionale come quella di quest'anno? Roberto Rossi, presidente dell'Ordine provinciale dei medici di Milano, è pessimista: «La Lombardia ha acquistato 2,4 milioni di vaccini, l'80% in più dello scorso anno, ma noi temiamo che siano insufficienti a coprire la platea di chi ne ha diritto gratuitamente. A maggior ragione potrebbero non bastare per tutti gli altri ai quali il ministero della Salute ha consigliato la somministrazione».L'Organizzazione mondiale della sanità e il Piano nazionale di prevenzione vaccinale del ministero della Salute indicano come obiettivo minimo il 75% di vaccinazioni tra gli ultrasessantacinquenni e negli altri gruppi a rischio. Ma sono target superati. Quest'anno l'età di prescrizione è stata abbassata da 65 a 60 anni e la platea dei soggetti a rischio si è allargata. Le 18 milioni di dosi sarebbero insufficienti se decidesse di vaccinarsi il 100% degli individui ritenuti a rischio, forse anche meno dal momento che il rifornimento è stato fatto considerando l'andamento degli anni passati. Il ministero della Salute conta sul fatto che simili percentuali non sono mai state raggiunte. Lo scorso anno, tra gli over 65 si è vaccinato il 54,6%, nel 2018 il 53,1%. Il tasso di vaccinazione antinfluenzale nella popolazione generale è invece sensibilmente più basso: intorno al 17%. Stiamo parlando però di situazioni di normalità.La domanda degli anziani e dei soggetti a rischio sarà sicuramente più alta e anche chi di solito non considerava di immunizzarsi, quest'anno potrebbe farlo. Numerose aziende stanno sollecitando i propri dipendenti a vaccinarsi per evitare di veder moltiplicare le assenze per malattia. Gran parte della popolazione si troverà scoperta e in una situazione di caos, tra le lunghe file degli ambulatori e i farmacisti che non potranno far altro che ingrossare le liste delle prenotazioni.La responsabilità è delle Regioni che, come dice la Fondazione Gimbe, specializzata nelle analisi dell'efficienza della sanità in Italia, «non hanno previsto con largo anticipo la necessità di aumentare le scorte per la popolazione non a rischio». A questo si aggiunge che è esplosa la domanda sui mercati internazionali e i bandi di gara sono stati indetti in ritardo, impedendo ad alcune Regioni di aggiudicarsi tutte le dosi richieste.Era una situazione prevedibile sin dall'inizio della pandemia e il sistema sanitario aveva tutto il tempo per organizzarsi e arrivare preparato al periodo invernale. La situazione è che 7 Regioni e le 2 Province autonome hanno scorte per coprire meno del 75% della popolazione over 60, mentre 12 Regioni si sono aggiudicate un quantitativo adeguato di vaccini. Ma la disponibilità di dosi residue per la popolazione non a rischio è molto variabile.Perché vaccinarsi è considerato così importante, se l'immunizzazione non riguarda il Covid-19? Il centro cardiologico Monzino di Milano, studiando la diffusione del contagio nelle varie regioni italiane, ha rilevato che quelle con un più alto tasso di copertura contro l'influenza nella popolazione over 65 mostravano un minor numero di pazienti ricoverati con sintomi, di malati in terapia intensiva e di decessi. I dati, appena pubblicati su Vaccines, una rivista internazionale del gruppo Multidisciplinary digital publishing institute, supportano l'ipotesi che la vaccinazione antinfluenzale possa aiutare a prevenire la diffusione del Covid.Nello studio si dice che il virus dell'influenza stagionale e quello del coronavirus hanno vie di trasmissione simili e alcuni sintomi in comune, ma, come è noto a tutti, sono molto differenti in termini di gravità e mortalità in caso di infezione, e per i gruppi di età colpiti. Mentre l'influenza colpisce soprattutto bambini e adolescenti, il Covid contagia prevalentemente i più anziani. Dallo studio del Monzino emerge dunque che la diffusione e la gravità del Covid sono inversamente proporzionali al tasso di vaccinazione antinfluenzale: meno vaccini, più Covid. La conclusione è che aumentando soltanto dell'1% la copertura vaccinale negli over 65, cioè circa 140.000 dosi a livello nazionale, si sarebbero potuti evitare 78.560 contagi, 2.512 ospedalizzazioni, 353 ricoveri in terapie intensive e 1.989 morti. Confermano questa ipotesi anche le raccomandazioni di tutte le autorità sanitarie, a partire dall'Organizzazione mondiale della sanità.Ma c'è anche una motivazione sociale. I sintomi dell'influenza e del Covid sono simili, e alla comparsa di qualche linea di febbre accompagnata da colpi di tosse si può entrare nel panico. Significa aumentare l'afflusso negli ambulatori di persone in preda all'ansia, con tutti i disagi che ne conseguono. Per questo è ritenuta fondamentale una copertura vaccinale molto ampia anche nelle fasce non a rischio che, di fatto, includono la maggior parte dei lavoratori ai quali è affidata la ripresa economica del Paese. Peraltro il Covid, come s'è visto negli ultimi mesi, non risparmia nemmeno trentenni e quarantenni e tanti giovani, in condizioni lavorative precarie, sono tornati a vivere in famiglia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/niente-vaccini-per-2-italiani-su-3-2648097536.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-carenze-segnalate-due-mesi-fa-ma-nessuno-ha-mosso-un-dito" data-post-id="2648097536" data-published-at="1601901758" data-use-pagination="False"> «Le carenze segnalate due mesi fa ma nessuno ha mosso un dito» «La popolazione sotto i 60 anni, quella produttiva, l'asse portante del Paese, rischia di restare senza vaccino antinfluenzale. Chi è escluso dalla copertura gratuita non può comprare il prodotto in farmacia perché non c'è e quando le dosi arriveranno saranno insufficienti. Siamo in una situazione eccezionale. La domanda globale è cresciuta con percentuali senza precedenti. Il nostro sistema sanitario potrebbe trovarsi in difficoltà». L'allarme è di Federfarma che ha raccolto le segnalazioni delle farmacie e dei distributori intermedi. «L'industria non ha più dosi da distribuire. Alle farmacie arriveranno dalle Regioni solo 250.000 vaccini, cioè 12 per ogni punto vendita», afferma Roberto Tobia, segretario nazionale dell'associazione. Perché l'allarme risuona solo adesso? «Noi abbiamo evidenziato una carenza di vaccino già due mesi fa, in estate, quando le farmacie ci hanno detto che non avevano notizie della disponibilità di dosi, perché l'industria non ne ha». Come è possibile che l'industria non abbia vaccini? «La produzione mondiale non riesce a soddisfare la richiesta. In Italia le Regioni hanno richiesto quantitativi più elevati, il 42% in più. Hanno voluto ampliare la disponibilità a vaccinare, approvvigionandosi in maniera più corposa, anche in previsione di un aumento della richiesta. Ricordo che i sintomi dell'influenza stagionale sono sovrapponibili a quelli del Covid». Vuol dire che chi ha meno di 60 anni deve preoccuparsi? «Abbiamo fatto presente la situazione al ministro della Salute, Roberto Speranza, e siamo riusciti ad avere una rimodulazione delle quote vaccinali in modo da assegnarne una percentuale alle farmacie. Ma le Regioni, e neanche tutte, sono disposte a dare alle farmacie solo l'1,5%, cioè 250.000 dosi. Davvero insufficienti. Lo scorso anno abbiamo dispensato dalle farmacie dalle 800.000 alle 900.000 dosi. Quest'anno si prevede che le richieste saranno almeno 1,5-2 milioni. Se non si hanno 60 anni e non si fa parte di una categoria protetta, il vaccino non è gratuito: nessuna Regione garantisce la copertura dell'asse produttivo del Paese. Pensate al rischio di prendere l'influenza non sapendo che è Covid, quindi il panico. Tant'è che il ministro ha invitato tutti a vaccinarsi. Ma se i vaccini non ci sono?». E le 250.000 dosi che vi sono state assegnate? «Ancora non sono arrivate. Ce le hanno promesse ma non c'è una data di consegna, non sappiamo nulla. E poi su una rete di 19.000 farmacie, sono 12 dosi e mezza per ciascuna». Che soluzione proponete? «Abbiamo segnalato il problema. La strada che potrebbe seguire il ministero della Salute è acquisire il prodotto all'estero, che però va autorizzato dall'Aifa. Noi ci siamo messi a disposizione anche per trovare una soluzione alla difficoltà di somministrare tante dosi. Sono circa 18 milioni in tre mesi, non è facile. Perfino alcuni sindacati dei medici hanno dubitato sulla possibilità di riuscire a vaccinare tutti». Le farmacie si offrono di fare i vaccini? «Abbiamo fatto presente alle autorità che l'Italia è tra i pochi Paesi in Europa in cui la vaccinazione in farmacia non può essere effettuata. In Europa 14 nazioni su 28 hanno autorizzato l'inoculo del vaccino antinfluenzale e lo stesso avviene in 60 Paesi nel mondo tra cui Regno Unito, Stati Uniti e Argentina. In Italia un Regio decreto del 1934 impedisce al farmacista di fare un'iniezione. È un atto anacronistico. Noi siamo pronti, abbiamo seguito corsi per preparare il farmacista a questa funzione. Ma occorre una modifica legislativa». Somministrare in farmacia il vaccino avrebbe un costo? «Sì, dovrebbe essere remunerato, ma il problema primario è che i vaccini mancano. Arriverà un momento in cui al primo colpo di tosse si avrà il terrore che sia Covid e non influenza. Il vaccino antinfluenzale dà una mano a identificare i casi di coronavirus. E non dimentichiamo che si muore anche per le complicanze dell'influenza. Siamo pronti a collaborare, ci dicano come». Quanto costa acquistare un vaccino in farmacia? «Dipende dalla tipologia, si va dai 10 ai 14 euro, non si tratta di una cifra alta. La nostra intenzione non è fare margine sul prodotto ma fornire un servizio alla collettività». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/niente-vaccini-per-2-italiani-su-3-2648097536.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="per-fare-le-punture-a-tutti-studi-medici-aperti-anche-sabato-e-domenica" data-post-id="2648097536" data-published-at="1601901758" data-use-pagination="False"> «Per fare le punture a tutti studi medici aperti anche sabato e domenica» «Calma, non c'è motivo di affollarsi negli ambulatori. Per fare il vaccino antinfluenzale ci sono tre mesi. E basta allarmismi: le dosi per tutti i soggetti a rischio ci sono». Pier Luigi Bartoletti, vicesegretario nazionale della Federazione medici di base (Fimmg), lancia messaggi rassicuranti: «Vedo troppe persone in preda all'ansia, soprattutto coloro che non hanno patologie importanti e non sono nell'età più a rischio». La Fimmg ha rilevato un aumento del flusso negli ambulatori per vaccinarsi? «Abbiamo richieste tra l'80 e il 90% dei pazienti, quando non si superava il 50%. Gli studi si stanno attrezzando per accelerare la somministrazione: molti rimarranno aperti il fine settimana, compresi sabati e domeniche, altri ancora stanno reclutando spazi all'aperto maggiori. Abbiamo previsto percorsi Covid. Io ricevo chi ha sintomi febbrili, con appuntamento, dopo le 19, al di fuori dell'orario normale, per evitare che il paziente entri in contatto con altre persone. Le persone, come è ovvio, sono preoccupate e chiedono spiegazioni. C'è tanta confusione e su questo è facile specularci sopra. Noi spieghiamo ai nostri assistiti che la corsa al vaccino non è giustificabile. Anzi c'è il rischio che chi fa la puntura in anticipo possa restare scoperto nel periodo di picco dell'influenza». Ma la campagna per l'antinfluenzale non è stata anticipata? «Facciamo chiarezza. L'influenza arriva di solito a metà dicembre e comincia a manifestarsi al Nord, poi scende al Sud. Il vaccino dà la massima copertura a partire da due settimane successive alla somministrazione fino a tre mesi, poi scende gradualmente. Quindi chi fa la puntura ora rischia di restare scoperto a febbraio e di doverne fare un'altra. La precedenza ce l'hanno i malati a rischio, poi vengono gli altri, non capisco questo allarmismo. I dati sull'influenza che arrivano dall'Australia sono incoraggianti. L'uso di mascherine e il distanziamento hanno fatto sì che fosse una stagione con poche preoccupazioni. È ciò che mi auguro anche per l'Italia». Le farmacie reclamano più dosi, sostengono che 250.000 vaccini sono insufficienti per la domanda crescente. «La priorità ce l'hanno le persone a rischio, e quest'anno è stata ampliata la platea di quanti possono avere l'antinfluenzale in modo gratuito. Solo una piccola quota di popolazione è fuori. Secondo le previsioni, i medici di base e i pediatri prenderanno in carico dall'80 al 90% dei pazienti». Ma così resta fuori chi ha meno di 60 anni, cioè la popolazione che lavora? «Non è del tutto così. La copertura vaccinale è stata allargata anche a chi è sotto i 60 anni e si trova in determinate situazioni professionali, ha patologie ed è a contatto con anziani. Un quarantenne insegnante può fare il vaccino gratuitamente. Così un bambino accompagnato dal nonno a scuola e perfino chi è in sovrappeso. L'elenco delle categorie incluse è lungo». Le farmacie chiedono di poter somministrare i vaccini. «È come se noi medici chiedessimo di poter distribuire le medicine».
Il meccanismo si applica guardando non a quando è stato pagato il riscatto, ma a quando si maturano i requisiti per l’uscita anticipata: nel 2031 non concorrono 6 mesi tra quelli riscattati; nel 2032 diventano 12; poi 18 nel 2033, 24 nel 2034, fino ad arrivare a 30 mesi nel 2035. La platea indicata è quella del riscatto della «laurea breve», richiamata anche come diplomi universitari della legge 341/1990. La conseguenza pratica è che il riscatto continua a «esistere» come contribuzione accreditata, ma diventa progressivamente molto meno efficace come acceleratore del requisito contributivo. Con una triennale piena (36 mesi) il taglio a regime dal 2035 (30 mesi) lascia, per l’anticipo del diritto, un vantaggio residuo di appena 6 mesi; nel 2031, invece, la sterilizzazione è limitata a 6 mesi e, quindi, restano utilizzabili 30 mesi su 36 per raggiungere prima la soglia. Il punto che rende la stretta economicamente esplosiva è che il costo del riscatto non viene rimodulato. Nel 2025, per il riscatto a costo agevolato, l’Inps indica come base il reddito minimo annuo di 18.555 euro e l’aliquota del 33%, da cui deriva un onere pari a 6.123,15 euro per ogni anno di corso riscattato (per le domande presentate nel 2025).
In altri termini: si continua a pagare secondo i parametri ordinari dell’istituto, ma una fetta crescente di quel «tempo comprato» smette di essere spendibile per andare prima in pensione con l’anticipata. La contestazione più immediata riguarda l’effetto «a scadenza»: chi ha già riscattato oggi, ma maturerà i requisiti dopo il 2030, potrebbe scoprire che una parte dei mesi riscattati non vale più come si aspettava per centrare prima l’uscita dalla vita lavorativa.
La norma, in realtà, è destinata a creare dibattito politico. «Non c’è nessunissima intenzione di alzare l’età pensionabile», ha detto il senatore della Lega. Claudio Borghi, «e meno che mai di scippare il riscatto della laurea. Le voci scritte in legge di bilancio sono semplici clausole di salvaguardia che qualche tecnico troppo zelante ha inserito per compensare un possibile futuro aumento dei pensionamenti anticipati, che la norma incentiva sfruttando la possibilità data dal sistema 64 anni più 25 di contributi inclusa la previdenza complementare. Quello che succederà in futuro verrà monitorato di anno in anno ma posso dire con assoluta certezza che non ci sarà mai alcun aumento delle finestre di uscita o alcuno scippo dei riscatti della laurea a seguito di questa norma». «In assenza di intervento immediato del governo, noi sicuramente presenteremo emendamenti», conclude il leghista. A spazzare via ogni dubbio ci ha pensato il premier, Giorgia Meloni: «Nessuno che abbia riscattato la laurea vedra’ cambiata la sua situazione, la modifica varra’ per il futuro, in questo senso l’emendamento deve essere corretto» a detto in Senato.
Dal canto suo, il segretario del Pd, Elly Schlein, alla Camera, ha subito dichiarato la sua contrarietà all’emendamento. «Ieri (due giorni fa, ndr) avete riscritto la manovra e con una sola mossa fate una stangata sulle pensioni che è un furto sia ai giovani che agli anziani. È una vergogna prendervi i soldi di chi ha già pagato per riscattare la laurea: è un’altra manovra di promesse tradite. Dovevate abolire la Fornero e invece allungate l’età pensionabile a tutti. Non ci provate, non ve lo permetteremo».
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(IStock)
Novità anche per l’attività delle forze dell’ordine. Un emendamento riformulato dal governo prevede che anche gli interventi di soccorso promossi da polizia e carabinieri, a partire dal prossimo anno, andranno «rimborsati» se risulteranno non «giustificati», ovvero se dietro sarà rinvenuta l’ombra del dolo o della colpa grave di chi è stato soccorso. La stretta era stata già prevista nel testo uscito dal Consiglio dei ministri il 17 ottobre ma era limitata a uomini e mezzi della Guardia di finanza, ora con questa proposta di modifica viene estesa agli interventi effettuati dagli altri due corpi. Dal 2026 la richiesta di aiuto che verrà rivolta a polizia di Stato e Arma dei carabinieri, impegnati nel soccorso alpino e in quello in mare, andrà giustificata e motivata. E se non ci sarà una motivazione adeguata e reale la ricerca, il soccorso e il salvataggio in montagna o in mare diventeranno tutte operazioni a pagamento. Non solo. Il contributo sarà dovuto anche da chi procura, per dolo o colpa grave, un incidente o un evento che richiede l’impiego di uomini e mezzi appartenenti alla polizia di Stato e all’Arma. L’importo sarà stabilito con decreti dal ministro dell’Interno e da quello della Difesa, di concerto con l’Economia. L’emendamento precisa, infine, che «il corrispettivo è dovuto qualora l’evento per il quale è stato effettuato l’intervento sia imputabile a dolo o colpa grave dell’agente».
Nessuna novità, invece, per maggiori fondi, che restano rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura d’infrazione. I sindacati di polizia continuano a martellare l’esecutivo dicendo che «per il governo la sicurezza è uno slogan adatto ai discorsi pubblici ma non è una priorità quando si tratta di mettere in campo risorse concrete». In una lettera inviata da Sap, Coisp-Mosap, Fsp Polizia, Silp-Cgil al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si attacca «l’ipotesi di un innalzamento dell’età pensionabile, inaccettabile per chi ha trascorso una vita professionale tra rischi e responsabilità enormi e si pretende di allungare ulteriormente la carriera dei poliziotti senza alcun confronto con i sindacati». Per i sindacati è anche «grave, lo stanziamento simbolico di appena 20 milioni di euro per la previdenza dedicata. Una cifra che condanna molti a pensioni indegne dopo una vita spesa al servizio dello Stato».
Intanto hanno avuto il via libera in commissione Bilancio una serie di modifiche alla manovra sui temi di interesse comune alla maggioranza e all’opposizione in materia di enti locali e calamità naturali. In totale sono 64 gli emendamenti. Tra questi, la possibilità di assumere a tempo indeterminato il personale in servizio presso gli Uffici speciali per la ricostruzione e che abbia maturato almeno tre anni di servizio. Arriva anche un contributo di 2,5 milioni per il 2026 per il disagio abitativo finalizzato alla ricostruzione per i territori colpiti dai terremoti in Marche e Umbria.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato i maggiori fondi per la sanità. «Sul fronte del personale», ha detto, ci sono degli aumenti importanti e delle assunzioni aggiuntive. Le Regioni possono assumere con il Fondo sanitario nazionale che viene ripartito tra di loro».
Soddisfatto il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani. La manovra, infatti, contiene +7,4 miliardi per il Fondo sanitario nazionale e un ulteriore +0,1% che consente di far scendere il payback a carico delle aziende farmaceutiche. «Il segnale è ampiamente positivo», ha commentato Cattani.
Intanto ieri alla Camera, nel dibattito sulle comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo, c’è stato un botta e risposta tra la segretaria del Pd, Elly Schlein, e Meloni. Tema: le tasse e la manovra. «La pressione fiscale sale perché sale il gettito fiscale certo anche grazie al fatto che oggi lavora un milione di persone in più che pagano le tasse», ha detto il premier. E a fronte del rumoreggiamento dell’Aula, ha incalzato: «Se volete facciamo un simposio ma siccome siamo in Parlamento le cose o si dicono come stanno o si studia».
Ma per Schlein «le tasse aumentano per il drenaggio fiscale». Il premier ha, poi, ribadito che la manovra «è seria» e che «l’Italia ha ampiamente pagato in termini reputazionali, e non solo, le allegre politiche degli anni passati».
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Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo (Imagoeconomica)
«A tutto c’è un Limes». E i professoroni se ne sono andati sbattendo la porta, accompagnati dal generale con le stellette e dall’eco della marcetta militare mediatica tutta grancassa e tromboni, a sottolineare come fosse democratica e dixie la ritirata strategica da quel covo di «putiniani sfegatati». La vicenda con al centro la guerra in Ucraina merita un approfondimento perché è paradigmatica di una polarizzazione che non lascia scampo a chi semplicemente intende approfondire i fatti. Nell’era del pensiero igienista, ogni contatto con il nemico e ogni lettura (anche critica) dei testi che egli produce sono considerati contaminanti.
Già la narrazione lascia perplessi e l’uscita dei martiri da un consiglio scientifico che vede nelle sue file Enrico Letta, Romano Prodi, Andrea Riccardi, Angelo Panebianco, Federico Fubini (atlantisti di ferro più che compagni di merende dello zar) indebolisce le ragioni dei transfughi. Se poi si aggiunge che in cima al comitato dei saggi della rivista campeggia il nome di Rosario Aitala - il giudice della Corte penale internazionale che due anni fa firmò un mandato di cattura per Vladimir Putin - ecco che le motivazioni del commando in doppiopetto si scaricano in fretta come le batterie dell’auto full electric guidata da Ursula von der Leyen.
Eppure Federico Argentieri (studioso di affari europei), Franz Gustincich (giornalista e fotografo), Giorgio Arfaras (economista) e Vincenzo Camporini (ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica) hanno preso la porta e hanno salutato Lucio Caracciolo con parole stizzite per «incompatibilità con la linea politica». Avvertivano una «nube tossica» aleggiare su Limes. Evidentemente non sopportavano che ogni dieci analisi filo-occidentali ce ne fossero un paio dedicate alle ragioni russe. Un’accusa pretestuosa al mensile di geopolitica più importante d’Italia e a uno storico direttore che in 30 anni si è guadagnato prestigio e indipendenza pur rimanendo nell’alveo del grande fiume navigabile (e spesso limaccioso) della sinistra culturale.
«Io quelli che se ne sono andati non li ho mai visti. Chi ci accusa di essere filorusso non ha mai sfogliato la rivista», ha dichiarato il giornalista Mirko Mussetti a Radio Cusano Campus. Dietro le rumorose dimissioni ci sarebbero cause tutt’altro che culturali, forse di opportunità. Arfaras è marito della giornalista russa naturalizzata italiana Anna Zafesova, studiosa del putinismo, firma della Stampa e voce di Radio Radicale. Il generale Camporini ha solidi interessi politici: già candidato di + Europa, è passato con Carlo Calenda e ha tentato invano la scalata all’Europarlamento. Oggi è responsabile della difesa dell’eurolirica Azione. La tempistica della fibrillazione è sospetta e chiama in causa anche le strategie editoriali. Limes fa parte del gruppo Gedi messo in vendita (in blocco o come spezzatino) da John Elkann; la rivista è solida, quindi obiettivo di qualcuno che potrebbe avere interesse a destabilizzarne la catena di comando.
Ieri Caracciolo ha replicato ai transfughi sottolineando che «la notizia è largamente sopravvalutata». Lo è anche in chiave numerica, visto che i consiglieri (fra scientifici e redazionali) sono un esercito: 106, ben più dei giornalisti che lavorano. Parlando con Il Fatto Quotidiano, il direttore ha aggiunto: «Noi siamo una rivista di geopolitica. Occorre analizzare i conflitti e ascoltare tutte le voci, anche le più lontane. Non possiamo metterci da una parte contro l’altra ma essere aperti a punti di vista diversi. Pubblicare non significa condividere il punto di vista dell’uno o dell’altro».
Argentieri lo ha messo sulla graticola con un paio di motivazioni surreali: avrebbe sbagliato a prevedere l’invasione russa nel febbraio 2022 («Non la faranno mai») e continua a colorare la Crimea come territorio russo sulle mappe, firmate dalla formidabile Laura Canali. Caracciolo non si scompone: «Avevo detto che se Putin avesse invaso l’Ucraina avrebbe fatto una follia. Pensavo che non l’avrebbe fatta, ho sbagliato, mi succede. Non capisco perché a distanza di tempo questo debba provocare le dimissioni». Capitolo cartina: «Chiunque sbarchi a Sebastopoli si accorge che si trova in Russia e non in Ucraina; per dichiarazione dello stesso Zelensky gli ucraini non sono in grado di recuperare quei territori».
Gli analisti lavorano sullo stato di fatto, non sui desiderata dei «Volenterosi» guidati da Bruxelles, ai quali i media italiani hanno srotolato i tradizionali tappetini. E ancora convinti come Napoleone e Hitler che la Russia vada sconfitta sul campo. Se Limes non ha creduto che Putin si curava con il sangue di bue; che uno degli eserciti più potenti del mondo combatteva con le pale; che Mosca era ridotta a usare i microchip delle lavatrici per far volare i missili, il problema non è suo ma di chi si è appiattito sulla retorica dopo aver studiato la Storia sui «Classici Audacia» a fumetti. Nel febbraio del 2024 Limes titolava: «Stiamo perdendo la guerra». Aveva ragione, notizia ruvidamente fattuale. La disinformazione da nube tossica aleggia altrove.
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