2025-07-21
Nicola Bertinelli: «Agli agricoltori fa più male Ursula dei dazi di Trump»
Il presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano: «Se si volesse davvero investire in sicurezza, si tutelerebbe chi produce cibo».Ci prova a mantenere l’aplomb istituzionale, ma gratta gratta – inevitabile – Nicola Bertinelli sbotta: «Così la Von der Leyen ci ha detto che l’Europa non esiste più». Lui è il presidente – riconfermato – del Consorzio del Parmigiano Reggiano e gli anti Trump lo interrogano come l’oracolo di Delfi affinché parli male dei dazi «che sono una preoccupazione, ma non la sfida assoluta». Semmai lui insiste: «Con le crisi ricorrenti bisogna lavorare duro e guardare avanti». Quello che hanno fatto lui e la sua famiglia, che da 130 anni esatti, li compiono proprio adesso, allevano e mungono vacche da latte, trasformano in Parmigiano Reggiano, cercano in quell’angolo morbido della campagna reggiana di diventare un modello del buono. «Fare cibo», spiega Bertinelli, «non è fare soldi: è prendersi cura del benessere delle persone, la qualità diventa valore etico, per questo abbiamo aperto in azienda l’osteria, la piscina, l’ospitalità, perché proponiamo con i nostri prodotti anche un modo d’essere: lo star bene in armonia con sé stessi e con la natura».Sembra il manifesto del Green deal, ma dica la verità, ha copiato da Boccaccio che descrive: «In una contrada, che si chiamava Bengodi [...] eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra alla quale stavan genti che niuna altra cosa facevano, che fare maccheroni, e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi li gettavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’haveva»?«Lasciamo perdere il Green deal, il Boccaccio come ispirazione ci sta. Ci tengo a dirlo fortissimo: credo che l’annuncio fatto da Ursula von der Layen che smonta la Pac sia di una gravità assoluta!».Peggio dei dazi di Trump?«I dazi, che certo non ci fanno piacere, si possono governare, si può trattare, si può cercare di aggirarli, ma ciò che ha in mente la Von der Layen è esiziale per la sopravvivenza dell’Europa. Ed è in contraddizione con sé stessa: vuole più sicurezza, vuole spendere in armi. Se è così cominci a tutelare la produzione di cibo: la food security, per dirla come quelli che parlano bene, è il prerequisito della capacità di resistenza. Non solo: non c’è coesione se non c’è politica comune. E il solo settore dove l’Europa – che è nata sulla spinta della Pac – ha una politica comune è l’agricoltura; non c’è nella difesa, nella finanza, nella fiscalità. La sola politica comune la Von der Layen la smonta. E questo è gravissimo».Ma il nuovo bilancio è pensato per liberare risorse appunto per le politiche comuni…«E comincia distruggendo un settore essenziale per la vita? L’agroalimentare è uno dei pochi settori dove l’Europa brilla. Lo era anche l’automotive, ma lo hanno scelleratamente distrutto, e lo dico io che sto nella Motor Valley a ragion veduta! Se vuole i soldi per le armi e il sostegno all’industria mobiliti i risparmi delle famiglie attraverso gli Eurobond. Non è uccidendo l’agricoltura che tira, che si costruisce il futuro. In tutto questo non riesco a trovarci né un senso strategico-economico né un’indicazione politica. È come se avesse agito sapendo che tanto non sarà lei a dover gestire le nefaste conseguenze di questa non Pac».Lei però può vivere una stagione di successo. Il Parmigiano Reggiano non è mai stato così forte…«Il fatturato al consumo è sopra i 3,5 miliardi, siamo a 4 milioni di forme come produzione, che è stabile e tale la vogliamo mantenere, vendiamo oltre il 48% all’estero; tutti gli indicatori sono in crescita: vendite totali a volume al +9,2%, vendite in Italia al +5,2% e, soprattutto, export al +13,7%. Il che significa occupazione, indotto in crescita, ma le sfide cominciano ora: ci sono certo i dazi, il mercato americano è importante, ma vivaddio non è l’unico!, c’è l’invecchiamento della popolazione, c’è una domanda che cambia, e soprattutto c’è questa Europa incomprensibile. Noi dobbiamo essere bravi a interpretare tutto questo ed innovare. Non certo il prodotto, che ha otto secoli di storia ed è testimonianza viva della nostra civiltà, dei nostri valori; ma il racconto del prodotto sì, e il modo di proporlo anche. Ci stiamo lavorando».Torniamo all’Europa. Tagli alla Pac, ma non solo. C’è l’azzeramento dell’asse per lo sviluppo rurale. Voi che per esempio con le Vacche Rosse di montagna ricevete un valore aggiunto dall’agricoltura eroica siete preoccupati?«Non solo preoccupati, ma inc… siamo arrabbiati! Il caso del Parmigiano Reggiano è del tutto peculiare. Il 21,7 % del Parmigiano Reggiano (fatti i conti, sono 1,6 milioni di forme, ndr) è prodotto in montagna dove ci sono aziende di giovani e giovanissimi. Proprio sfruttando i fondi dello sviluppo rurale abbiamo riportato l’agricoltura – attraverso l’allevamento – nei cosiddetti territori svantaggiati. Le cifre parlano chiaro: in Italia gli agricoltori hanno un’età media di 58 anni, nel nostro areale 52, gli allevamenti di montagna sono condotti da agricoltori con un’ età media di 42 anni! Col Parmigiano Reggiano e grazie ai fondi dello sviluppo rurale abbiamo mantenuto l’ambiente, incrementato la presenza di agricoltori custodi, preservato e sviluppato la biodiversità, messo sotto tutela il territorio, ricreato economie e ripopolato territori. E ora la Von der Leyen ci dice: cancelliamo tutto?!».Insomma avete fatto il Green deal?«Ma perché volete farmi parlare di gironi funesti? Speravo che la parentesi di Frans Timmermans fosse dimenticata e invece vedo che rispunta… e poi, mi si perdoni lo sfogo, ma come fa il commissario all’agricoltura Christophe Hansen a dire: siamo stati bravi, abbiamo mantenuto l’80% del bilancio agricolo? Cioè, ti sfilano il 20% per finanziare i carri armati e tu sei contento?».Non sarà che l’Ue ha in testa di eliminare i contadini? Spingere verso i cibi sintetici? L’Oms con la Fao in un recente rapporto ha detto: i Paesi in via di sviluppo vogliono proteine, ma la zootecnia uccide l’ambiente. Che ne pensa?«Penso che non è un pettegolezzo sostenere che vogliono togliere di mezzo i contadini per produrre cibo in laboratorio. Ci stanno lavorando ed è una follia! Il governo italiano e il ministro Francesco Lollobrigida, così come le organizzazioni agricole e i Consorzi come i territori sono tutti mobilitati a contrastare questa idea, che è anche un attacco alle fondamenta della nostra civiltà. Noi non facciamo solo cibo, noi facciamo prodotti agri-culturali! Credo che proprio questo vogliano colpire. Con l’Afidop – che è l’associazione dei grandi formaggi italiani – stiamo facendo uno studio sul latte e i formaggi sintetici. Ebbene la prewiev di quello studio ci dimostra già che dal punto di vista delle emissioni, del consumo energetico e idrico, le produzioni fatte negli acceleratori cellulari sono dieci volte più impattanti della zootecnia tradizionale, che peraltro assorbe ciò che emette. Certo bisogna lavorare sul benessere animale, su rispetto ambientale, ma lo facciamo quotidianamente. Quanto a Oms e Fao, dico che se si investisse per rendere irrigabili i terreni ci sarebbe cibo per il doppio della popolazione di oggi. Oggi produciamo su neppure un quarto della superficie coltivabile! Se si lottasse contro lo spreco alimentare efficacemente, se si desse il giusto reddito a chi coltiva, se si facesse agricoltura di precisione e si sviluppassero colture come le Tea – che non sono Ogm, ma tecnologia italiana che consente di non utilizzare chimica in campo ed espandere la produzione – Fao e Oms non saprebbero cosa scrivere. La verità è che se vogliono distruggere, per i fini che ho detto, l’agricoltura devono distruggere per prima la zootecnia». I dazi di Trump vi spaventano?«Di certo non ci fanno piacere, ma non è la fine del mondo. Intanto abbiamo imparato che Trump è un formidabile negoziatore: credo che scenderà, e di molto, dal 30% e abbiamo tempo fino al 1° agosto per convincerlo. Lui sa che l’Europa è un mercato da 350 milioni di consumatori alto-spendenti, anche per le sue aziende non è facile rinunciarci, così come deve stare attento all’inflazione che importa. Il 30% è pesante. Facciamo due conti. Il Parmigiano Reggiano 24 mesi parte da qui a 17 euro. Con un dazio al 15% arriva a 21 euro. Al consumatore americano arriva raddoppiato: 42 euro e quel dazio non sposta nulla. Poi dobbiamo metterci la svalutazione del dollaro, ma col dazio al 30% le cose cambiano. Una libbra del nostro formaggio passerebbe da 22 a 34 dollari, col Parmesan, che è certo peggiore, che costa 10 dollari. Per noi gli Usa sono l’8% del mercato, ma la sostituzione col Parmesan ci creerebbe un danno. Ecco che abbiamo una strategia. Abbiamo investito negli Usa in comunicazione, stiamo investendo nella distribuzione, abbiamo sponsorizzato la squadra di football di New York e concerti jazz. E stiamo cercando altri mercati che rispondono già benissimo: Spagna, Giappone, Sud Est asiatico rafforzando quelli tradizionali: Canada, Germania, Francia Gran Bretagna».Dunque per il Parmigiano Reggiano c’è futuro?«E ci mancherebbe! Però dobbiamo essere consapevoli che la domanda cambia. Dobbiamo diventare un love mark, non essere solo un ottimo formaggio, anche se i foraggi italiani – e faccio i complimenti a tutti i miei colleghi – vanno fortissimo. Anche in Italia avremo per forza una diminuzione di domanda, allora dobbiamo vendere il valore aggiunto dell’esperienza. Per questo facciamo Caseifici aperti, per questo vendiamo il valore alimentare, salutare, culturale del Parmigiano Reggiano. L’esempio ce l’ha dato l’Aperol con lo Spritz. Loro vendono uno stile italiano e noi dobbiamo anche stare attenti a non inflazionare l’offerta. Lo abbiamo fatto col piano regolatore di produzione, ma abbiamo introdotto una novità: chi sfora paga sì la penalità, ma non al Consorzio, la investe in azienda per migliorare qualità e ospitalità. È così che si difende e diffonde il valore del Parmigiano Reggiano». Ma, viene da dire, non ditelo a Ursula von der Leyen!
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.