2025-07-21
La triste fine della favoletta meneghina
Beppe Sala (Getty images)
Ci sono solo due possibilità: o la Procura di Milano sta prendendo un gigantesco abbaglio, scambiando per corruzione normali rapporti d’affari tra imprese costruttrici e professionisti, oppure i pm del capoluogo lombardo stanno scoperchiando la Cupola che per 15 anni ha gestito le operazioni immobiliari nella capitale economica d’Italia, garantendosi guadagni milionari. Tertium non datur. Da quando è scoppiato lo scandalo, con la richiesta di arresto dell’assessore all’Urbanistica e l’iscrizione nel registro degli indagati del sindaco Beppe Sala, a Milano è tutto un giustificare i fatti, uno spiegare che quanto i magistrati scambiano per corruzione è solo normale prassi fra gente che si conosce e che oltre a scambiarsi opinioni sullo sviluppo della città, poi si scambia anche incarichi professionali. Da una parte un architetto indossa la casacca del consulente per l’impresa x, dall’altra poi mette i panni di chi autorizza i lavori della stessa impresa x. Ovviamente non è il solo a decidere, perché poi c’è un altro progettista che lavora per l’azienda y e quando capita di dare il via libera ai lavori di y sia l’architetto che il progettista, che siedono nella stessa commissione, si trovano, guarda caso, d’accordo nel dare il via libera. E, come nelle favole, tutti alla fine vivono felici e contenti: il costruttore, il professionista e anche il politico, che vede realizzate le opere tanto agognate. L’unico intoppo in questo quadro idilliaco si chiama Procura, che in questo intreccio di affari vede qualche cosa di losco.A dire il vero di aspetti poco chiari ne parla anche Stefano Boeri, il dominus di gran parte dei progetti urbanistici milanesi, un’archistar che è così assiduo nelle chat con Beppe Sala da essere considerato dagli stessi pm una specie di sindaco ombra, ovvero un grande vecchio che quasi ogni giorno messaggia il primo cittadino, indirizzandone le scelte. In una conversazione, recuperata dagli investigatori, il progettista del bosco verticale si scaglia contro Ada Lucia De Cesaris, ex assessore all’Urbanistica nella giunta rossa che precedette quella di Sala. È Boeri a definire colei che ha fatto il salto della barricata, passando direttamente dalla parte dei costruttori, un personaggio losco. Segno evidente che, pur lavorando tutti per le imprese impegnate nelle opere urbanistiche del capoluogo lombardo, fra progettisti e professionisti c’erano parecchie cordate, con divisioni e frizioni.Argomento del contendere tra Boeri e De Cesaris, il famoso Pirellino, quell’edificio che anni fa nessuno voleva e che poi sembra lo si volesse trasformare in una miniera d’oro, ristrutturandolo, bonificandolo, trasferendolo dal pubblico al privato, ma soprattutto variandone l’uso, da terziario a residenziale. Milano di uffici ne ha quanti se ne vuole e infatti le quotazioni del terziario sono in discesa, perché dalla pandemia in poi, cioè dall’inizio dello smart working, nessuno ha bisogno di grandi spazi per ospitare ogni mattina i dipendenti, prova ne sia che la maggior parte delle banche e delle società stanno sgomberando, accettando di occupare meno spazio. Ma a tirare nella capitale economica è il settore residenziale. Milano ha fame di case e spesso di lusso, ossia nelle zone centrali, dunque ecco la corsa ad accaparrarsi anche il Pirellino, ma non più per piazzarci il quartier generale di qualche multinazionale, ma per frazionarlo e offrirlo a prezzo maggiorato a chi si può permettere case di lusso.Un affare con i fiocchi, dove come al solito si intravede la mano di Stefano Boeri. L’archistar ogni volta sa inventare un nome da favola per le sue opere: bosco verticale, torre botanica, ponte della memoria. E ogni volta sono interventi celebrati e strapagati. E in tutto ciò, sullo sfondo si intravedono gli scontri con la rivale De Cesaris, pure lei indagata, con i funzionari dubbiosi ma troppo impegnati con consulenze varie per dichiararsi contrari, con politici troppo esitanti di fronte alla volontà di un progettista che non si ferma mai, neppure quando i pm lo vogliono interdire e arrestare.Sì, può darsi che i magistrati non abbiamo capito niente e abbiano sbagliato tutto. Ma se per caso ci hanno azzeccato (uso un termine caro ad Antonio Di Pietro, che però in questo caso invece dei panni dell’accusatore indossa quelli del pompiere) hanno scoperchiato quindici anni di manovre all’ombra delle giunte progressiste, buoniste e comuniste. Il peggio dei migliori.