2018-12-21
Nessun ricalcolo. L’accetta dei gialloblù cade su tutti gli «assegni d’oro»
La dieta del governo imposta ai pensionati più ricchi colpirà non solo i privilegiati, ma anche chi ha versato il dovuto.Sulle cosiddette pensioni d'oro, al momento, hanno vinto i 5 stelle, e solo in minima parte la Lega è riuscita a contenere la furia grillina, che si è abbattuta indistintamente sui trattamenti più elevati, senza neppure separare dagli altri - a quanto pare - quelli frutto di contributi effettivamente versati dagli interessati. Insomma, se fosse questa la soluzione definitiva, i ricchi dovrebbero piangere sempre: pure nel caso in cui abbiano pagato i contributi. In più occasioni, gli esponenti del governo e della maggioranza avevano - oralmente - rassicurato sulla salvaguardia delle pensioni di origine contributiva, ma allo stato, leggendo gli emendamenti scritti e effettivamente presentati, le cose appaiono piuttosto diverse. Inutile girarci intorno: i contenziosi saranno inevitabili. Ma Luigi Di Maio appare perfino contento dello scontro: sembra anzi aver trovato il nemico il cui scalpo andrà esibito nelle prossime settimane: «Ho visto che i pensionati d'oro sono arrabbiati, vogliono fare ricorso perché si erano abituati a quel tenore di vita... Se ne facciano una ragione, visto e considerato che quelle pensioni d'oro le hanno pagate i pensionati minimi in tutti questi anni». Questa la dichiarazione del vicepremier grillino, che alimenterà ulteriori polemiche. A presentare l'emendamento bandiera (per i feticisti dei numeri: è l'1.1053) è stato l'attuale capogruppo al Senato del Movimento 5 stelle, Stefano Patuanelli. E già il fatto che il primo emendamento rechi la firma solo di un esponente grillino mostra la volontà pentastellata di rivendicare l'iniziativa. Ma ora anche l'emendamento 1.7000 del governo recepisce integralmente la battaglia grillina.Ieri sera si è tuttavia diffusa la voce di un possibile ulteriore maxiemendamento del governo da presentare direttamente in Aula: occasione finale per correggere o confermare l'impostazione che al momento si è affermata. Cosa succederà se le cose rimanessero com'erano ieri sera? Un taglio per cinque anni di tutti i trattamenti (tranne quelli di invalidità o per le vittime del terrorismo) i cui importi complessivamente considerati superino la soglia dei 100.000 euro lordi su base annua. Oltre quell'asticella, sono stati stabiliti cinque scaglioni ai quali verranno applicate cinque aliquote via via crescenti: taglio del 15% per la porzione di pensione compresa tra 100.000 e 130.000 euro; del 25% per la parte da 130.000 a 200.000 euro; del 30% per la parte da 200.000 fino a 350.000 euro; del 35% per la parte da 350.000 a 500.000 euro: del 40% per la parte oltre i 500.000 euro. Leggendo le relazioni tecniche, salta agli occhi la dimensione assai limitata del risparmio che si determinerebbe: infatti, poiché il contributo di solidarietà riguarderà circa 24.000 pensioni, il risparmio sarebbe di 76,1 milioni di euro per il 2019 (che diventeranno 79,6 nel 2020, 83,3 nel 2021, 86,7 nel 2022 e 89,9 nel 2023), a fronte di un costo di «quota 100», solo per il primo anno, di 4,7 miliardi. Per pensioni e reddito di cittadinanza, invece, è confermato lo stanziamento di 7 miliardi (di cui uno per i centri per l'impiego): come si vede, somme rispetto alle quali il ricavato del taglio alle pensioni d'oro appare di dimensione simbolica. Ma, di tutta evidenza, la componente grillina dell'esecutivo, con l'avallo di quella leghista, non puntava certo a ricavare da qui le risorse per finanziare le misure più costose. Si tratta dunque di una scelta interamente politica. Su un altro piano, è stato anche deciso un cambiamento dei meccanismo di rivalutazione delle pensioni. Per il nuovo anno, il tasso di rivalutazione reso noto dal ministero dell'Economia è dell'1,1%; ma una piena rivalutazione scatterà solo per i trattamenti fino a 1.521 euro (tre volte il minimo). Salendo nella scala dei trattamenti, la rivalutazione tenderà ad assottigliarsi: tra i 1.522 e i 2.029, la rivalutazione sarà pari al 97% del tasso di riferimento sull'intero importo, quindi all'1,067%; tra i 2.029 e i 2.537 euro, pari al 77% del tasso, quindi allo 0,847%; tra i 2.537 e i 3.042 euro, pari al 52% del tasso, quindi allo 0,572%; tra i 3.042 e i 4.059 euro, pari al 47% del tasso, quindi allo 0,517%; tra i 4.059 e i 4.566 euro, pari al 45%, quindi allo 0,495%; per i trattamenti superiori ai 4.566 euro (e qui si entra nel territorio delle cosiddette «pensioni d'oro»), pari al 40% del tasso, quindi allo 0,44%. Tutto ciò vale dal primo gennaio del 2019. Molto severo su questo il giudizio di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi Itinerari previdenziali. Il punto di partenza di Brambilla è che «per avere una pensione al minimo bastano 15 anni di versamenti contributivi su un normale stipendio contrattuale. Pochi contributi e imposte anche per quelli fino a due volte il minimo». Se questo è il quadro, per Brambilla «il governo del cambiamento ha proposto una delle peggiori e bizantine indicizzazioni in termini di equità: rivalutazione del 100% dell'inflazione per 18,67 milioni di pensioni fino a tre volte il minimo di cui, però, un terzo sono totalmente o parzialmente assistite».Questa la situazione, ieri sera tardi. Ma, come accennato, resta l'incognita del maxiemendamento finale del governo. Si capirà tutto tra poche ore.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)