
Parla Sara Casanova, il sindaco leghista di Lodi accusato di lasciare i bambini immigrati fuori dalle scuole: «Nessuno viene discriminato. Chi fugge dalle guerre è tutelato, ma niente agevolazioni a chi non le merita».«Sei vergognosa, fatti chiudere le tube: una come te che se la prende con i bambini non può essere madre». E ancora: «Aspettiamo il tuo coccolone , uguale uguale a quello di Bossi, né più né meno». Questi sono alcuni dei messaggi che Sara Casanova, sindaco leghista di Lodi, ha ricevuto in questi giorni. Insulti, minacce, maledizioni assortite. «La cosa più brutta che mi hanno detto», racconta il sindaco, «riguarda il bimbo che sto aspettando. Dovrebbe nascere a breve, e qualcuno si è augurato che non venisse mai alla luce». Perché tutto questo astio? Semplice: per via di un regolamento comunale approvato dalla giunta lodigiana riguardante le prestazioni sociali agevolate nell'ambito scolastico. Sui giornali e in televisione Lodi è stata descritta come la città dell'apartheid, il luogo in cui i bimbi immigrati vengono discriminati, non possono andare all'asilo e sono costretti a mangiare separati dagli altri compagni.Sindaco, partiamo dall'inizio. Ci spiega che genere di regolamento avete approvato? «Per prima cosa dobbiamo dire che questo regolamento nasce da una delibera del consiglio comunale che risale al 4 ottobre del 2017 ed è stata votata a maggioranza. Dunque esisteva già un regolamento sulle prestazioni sociali agevolate. Noi l'abbiamo aggiornato, adeguandolo alla normativa, in particolare al Dpr 445 del 2000 e al 394 del 1999». Insomma, lo avete adeguato alle leggi dello Stato.«Sì, e alle linee guida della Regione Lombardia». A che cosa serve questo regolamento?«Serve ad adeguarsi alla legge. E a stabilire l'uguaglianza di tutti di fronte ad essa. Qui stiamo parlando di sconti e agevolazioni che i cittadini possono richiedere su alcune prestazioni: l'utilizzo dello scuolabus, le attività pre e post scuola, la mensa, la retta dell'asilo nido. Per accedere a queste agevolazioni, i cittadini devono fornire una documentazione riguardante il loro reddito. Per i cittadini italiani e comunitari, è più facile fare accertamenti, capire quali beni posseggano e fare accertamenti sulla loro situazione patrimoniale. Per i cittadini extracomunitari, questi accertamenti sono più difficili». Quindi che cosa chiedete agli extracomunitari?«Chiediamo che, tramite la loro ambasciata o il consolato, dimostrino di non possedere beni mobili, immobili o fonti di reddito nei loro Paesi d'origine». Si è detto che gli immigrati saranno costretti ad andare nei loro Paesi d'origine per procurarsi la documentazione necessaria. «Ma assolutamente no. Ci sono enti a cui possono rivolgersi per farsi consegnare i documenti. Non hanno bisogno di rientrare in patria». Alle famiglie che non presentano i documenti che cosa accade? «Chi non ha documenti può comunque accedere alle prestazioni sociali. Però non accede nella fascia minima, ma in una fascia più alta. Gliela faccio breve: se non porto i documenti, pago per i servizi la tariffa piena, esattamente come avviene per gli italiani». Facciamo qualche esempio concreto. Prendiamo la scuola dell'infanzia. Stando alle tabelle, chi rientra nella fascia più bassa di reddito paga per la mensa scolastica 2,15 euro al giorno. Chi rientra in quella più alta paga 5 euro. «Su questa cosa ci sono state tante polemiche strumentali. Io, quando andavo a scuola, mi portavo il panino da casa, e non mi sembrava una cosa così sconvolgente...». Chi la critica insiste sul fatto che i bambini mangiano separati. Da una parte quelli che accedono alla refezione, dall'altra chi ha il panino da casa... Una discriminazione. «Il servizio di refezione è fornito da un'azienda che ha vinto l'appalto. Se c'è contaminazione del cibo e succede qualcosa, se qualche bimbo sta male, poi l'azienda è chiamata a risponderne». Quindi i bimbi devono stare separati per forza. «Anche qui è stato montato un caso... Sia i dirigenti scolastici che l'azienda in questione sono già al lavoro per risolvere la situazione, e fare in modo che tutti i bambini possano mangiare assieme. Mi faccia però ricordare una cosa». Prego. «I servizi di cui abbiamo parlato finora non sono obbligatori. Sono accessori. Qui si è fatta molta propaganda su questo tema. Nessuno impedisce ai bambini di andare a scuola. Anche perché esiste la scuola dell'obbligo, e i bambini ci devono andare per forza. Una cosa diversa è farsi portare con il bus. Tanto più che Lodi non ha un'estensione territoriale gigantesca, e ci sono plessi scolastici in ogni quartiere. Se uno vuole accedere al pulmino, deve portare i documenti. Se non li ha e vuole accedere comunque, deve pagare la tariffa piena». Tanto per essere chiari: chi rientra nella fascia di reddito più bassa paga 50 euro l'anno per il bus. Chi rientra nella fascia più alta paga 165 euro. «Quando qualcuno beneficia di una tariffa agevolata, i soldi che mancano per coprire la quota li mette il Comune. Noi abbiamo l'obbligo, come amministrazione, di verificare se i cittadini hanno realmente diritto agli sconti. Fino ad oggi, a queste agevolazioni poteva accedere chiunque, ma così non va. Anche perché poi noi dobbiamo risponderne alla Corte dei conti. È ovvio che debbano essere fatti controlli». Ci sono alcuni stranieri che lamentano situazioni di particolari difficoltà. Sostengono di non potersi procurare i documenti necessari e di non poter pagare la tariffa piena. «Guardi, è dall'inizio di ottobre che ripetiamo la stessa cosa. Ci siamo impegnati, come Comune, a valutare caso per caso. Abbiamo preso l'impegno, con un ordine del giorno, di elaborare delle linee guida che potessero aiutare gli uffici comunali a valutare in modo corretto i singoli casi». Soffermiamoci un attimo sulle rette dell'asilo nido. Quanto costano? «La quota di compartecipazione richiesta alle famiglie per l'asilo nido è stabilita in base alla situazione Isee e varia da un minimo di 77 euro a un massimo di 570 euro mensili. Ci sono anche delle famiglie italiane che non possono permettersi di pagare tutta la retta, e devono supplire in altro modo. Anche loro non riescono a sostenere il costo della retta piena, ma non scendono in piazza. In ogni caso, ripeto, stiamo predisponendo le linee guida proprio per evitare problemi e fare in modo che tutti i casi siano valutati adeguatamente». Sui giornali ho letto di mamme straniere che si lamentano, spiegando che non possono reperire i documenti necessari perché il loro Paese è in guerra.«Gli stranieri che provengono da uno Stato in guerra non devono presentare alcun documento, sono esentati. C'è una lista: chi viene da Libia, Yemen, Afghanistan o Siria non è tenuto a mostrare alcun documento. In ogni caso, la lista può essere aggiornata: se ci fossero altre situazioni di guerra - mi auguro di no - anche le persone che vengono da quelle zone non dovranno portare documenti». Nel frattempo la guerra mediatica la stanno facendo a lei. «Su Facebook me ne hanno scritte di tutti i colori, e sto predisponendo le querele del caso. Dopo il servizio che Piazza pulita ha fatto su di noi gli attacchi sono aumentati a dismisura. Ma io ho le spalle larghe, vado avanti. Non siamo razzisti, qui non c'è l'apartheid. Semplicemente, vogliamo controllare che alle agevolazioni acceda soltanto chi ne ha diritto. Di fronte alla legge devono essere tutti uguali».
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






