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Altro record a 77 dollari l’oncia: +160% da inizio anno. Dietro la corsa agli acquisti in risposta al calo dei tassi Usa e al rally dei debiti globali, c’è pure la forte domanda per batterie, chip e pannelli. Resta il deficit di offerta.
E alla fine anche l’argento ha deciso di smettere i panni del comprimario. Altro che cugino povero dell’oro, altro che metallo per il servizio di posate della nonna: oggi l’argento corre, sgomita e si prende la scena. A 77 dollari l’oncia, con un balzo del 160% da inizio anno, brilla come non mai e manda un messaggio chiaro ai mercati: non sono solo un bene rifugio, sono il metallo del futuro. Parola di Oxford Economics, che non è esattamente l’ultimo blog complottista sul Web, ma una delle bussole più ascoltate dalla finanza globale essendo un’articolazione della famosa università britannica.
Il punto è che l’argento ha trovato il modo perfetto per piacere a tutti. Agli investitori spaventati dal debito mondiale fuori controllo che potrebbe incenerire il valore delle monete, ai gestori che temono la stagflazione (il mostro fatto da inflazione e recessione), a chi guarda con sospetto al dollaro e all’indipendenza della Fed. Ma anche - ed è qui la vera svolta - all’economia reale che corre verso l’elettrificazione, la digitalizzazione e l’Intelligenza artificiale. Un metallo bipartisan, potremmo dire: piace ai falchi e alle colombe, ai trader e agli ingegneri.
Dietro il rally non c’è solo la solita corsa al riparo mentre i tassi Usa scendono fra le prudenze di Powell e le intemperanze di Trump. Il debito globale fa il giro del mondo senza mai fermarsi. C’è soprattutto una domanda industriale che cresce come l’appetito di un adolescente davanti a una pizza maxi. L’argento ha proprietà di conducibilità elettrica e termica che lo rendono insostituibile in una lunga serie di tecnologie chiave. E così, mentre il mondo si elettrifica, si digitalizza e si affida sempre più agli algoritmi, il metallo lucente diventa il filo conduttore - letteralmente - della nuova economia.
Prendiamo il fotovoltaico. Nel 2014 assorbiva appena l’11% della domanda industriale di argento. Dieci anni dopo siamo al 29%. Certo, i produttori di pannelli sono diventati più efficienti e riescono a usare meno metallo per modulo. Ma dall’altra parte della bilancia ci sono obiettivi sempre più ambiziosi: l’Unione europea punta ad almeno 700 gigawatt di capacità solare entro il 2030. Tradotto: anche con celle più parsimoniose, di argento ne servirà comunque a palate.
Poi ci sono le auto elettriche, che di sobrio hanno solo il rumore del motore. Ogni veicolo elettrico consuma tra il 67% e il 79% di argento in più rispetto a un’auto a combustione interna. Dai sistemi di gestione delle batterie all’elettronica di potenza, fino alle colonnine di ricarica, l’argento è ovunque. Oxford Economics stima che già entro il 2027 i veicoli a batteria supereranno le auto tradizionali come principale fonte di domanda di argento nel settore automotive. E nel 2031 rappresenteranno il 59% del mercato. Altro che rottamazione: qui è l’argento che prende il volante.
Capitolo data center e Intelligenza artificiale. Qui i numeri fanno girare la testa: la capacità energetica globale dell’IT è passata da meno di 1 gigawatt nel 2000 a quasi 50 gigawatt nel 2025. Un aumento del 5.252%. Ogni server, ogni chip, ogni infrastruttura che alimenta l’Intelligenza artificiale ha bisogno di metalli critici. E indovinate chi c’è sempre, silenzioso ma indispensabile? Esatto, l’argento. I governi lo hanno capito e trattano ormai i data center come infrastrutture strategiche, tra incentivi fiscali e corsie preferenziali. Il risultato è una domanda strutturale destinata a durare ben oltre l’ennesimo ciclo speculativo.
Intanto, sul fronte dell’offerta, la musica è tutt’altro che allegra. La produzione globale cresce a passo di lumaca, il riciclo aumenta ma non basta e il mercato è in deficit per il quinto anno consecutivo. Dal 2021 al 2025 il buco cumulato sfiora le 820 milioni di once (circa 26.000 tonnellate). Un dettaglio che aiuta a spiegare perché, nonostante qualche correzione, i prezzi restino ostinatamente alti e la liquidità sia spesso sotto pressione, con tassi di locazione da record e consegne massicce nei depositi del Chicago Mercantile Exchange, il più importante listino del settore.
Nel frattempo gli investitori votano con il portafoglio. Gli scambi sui derivati dell’argento sono saliti del 18% in pochi mesi. Il rapporto oro-argento è sceso, segnale che anche gli istituzionali iniziano a guardare al metallo bianco con occhi diversi. Non più solo assicurazione contro il caos, ma scommessa sulla trasformazione dell’economia globale.
Ecco perché l’argento oggi non si limita a brillare: racconta una storia. Quella di un mondo che cambia, che consuma più elettricità, più dati, più tecnologia. Un mondo che ha bisogno di metalli «di nuova generazione», come li definisce Oxford Economics. L’oro resta il re dei ben rifugio, ma l’argento si è preso il ruolo più ambizioso: essere il ponte tra la paura del presente e la scommessa sul futuro. E a giudicare dai prezzi, il mercato ha già deciso da che parte stare.
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Papa Prevost (Ansa)
Mistero sulle parole udibili in un video di «Vatican News» prima dell’udienza del Papa.
Quello che hai udito non è, non è Francesco. Ma gli assomiglia. Con la parafrasi di un testo «sacro» di Mogol per Lucio Battisti si può raccontare un incidente in mondovisione occorso a Vatican News, il sito che da Oltretevere dirama faccende e notizie di fede e di Curia. Il 22 dicembre col vertice del cattolicesimo raccolto nell’Aula della Benedizione in attesa degli auguri di Leone XIV, si è sentito un sussurrato «I culattoni, tutti insieme!». Ecco: quello che hai udito, caro fedele dalle Americhe alla Cina passando per Trastevere, non è Francesco anche se Francesco ha detto di più. È tornato in mente il discorso che il Papa tenne nel maggio del 2024 ai vescovi italiani.
Ammonì: «Non ammettete seminaristi gay; nella chiesa c’è già troppa frociaggine!». Oddio, sbiancarono dalle parti della Cei e il cardinal Matteo Maria Zuppi era più che madido, zuppo di sudore. Dalla sala stampa vaticana si affrettarono a far sapere che la frase di Francesco andava interpretata: non ce l’ha con i gay; ha fatto un richiamo alla gerarchia perché eviti il disordine. Troppe volte - dicevano in curia - il pontefice si è espresso in favore degli omosessuali per sospettarlo di omofobia. Ha approvato la pastorale Fiducia Supplicans - emanata dal Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede Victor Manuel Fernandez detto «Tucho» per un suo saggio sull’arte e il valore del bacio - con cui si dispone la benedizione delle coppie omosessuali. Evidentemente nel Sacro Collegio la questione però è carsica. Si potrebbe dire che tra i porporati la frociaggine è oggetto più di scherno che non di studio. Dopo l’incidente all’interno del Sacro Collegio si è aperta una sotterranea caccia all’«insolente» che non ha dato esito anche se chi ha diffuso la notizia - il sito Silere non possumus di Marco Felipe Perfetti - fa nome, cognome, indirizzo e numero di matricola del cardinale autore del sussurro al veleno. La ricostruzione dei fatti secondo il sito avvalora la sua indiscrezione perché la frase viene pronunciata (è al secondo 57 dall’inizio del collegamento di Vatican News) subito prima dell’esortazione che si fa quando sta per entrare il Papa in udienza: «Surgant, omnes» (Si alzino tutti). Ora quel «I culattoni tutti insieme» può essere, e senz’altro lo è, una maldestra traduzione dal latino.
Del resto si è detto che Francesco ha allargato assai il collegio cardinalizio pescando agli angoli più remoti della terra e dunque non tutti i porporati hanno una sciolta confidenza con la lingua dei padri. Hanno invece inteso bene il discorso che ha fatto loro Leone XIV che forse non è stato avvertito, ma ha parlato come se lo fosse. Al Sacro Collegio nel fare gli auguri per l’imminente Natale ha scandito: «L’amarezza a volte si fa strada anche tra di noi quando, magari dopo tanti anni spesi al servizio della Curia, notiamo con delusione che alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, non stentano a cambiare. E ci si chiede: è possibile essere amici nella Curia romana? Avere rapporti di amichevole fraternità? Nella fatica quotidiana -ha esortato il Papa - è ̀ bello quando troviamo amici di cui poterci fidare, quando cadono maschere e sotterfugi, quando le persone non vengono usate e scavalcate, quando ci si aiuta a vicenda, quando si riconosce a ciascuno il proprio valore e la propria competenza, evitando di generare insoddisfazioni e rancori». Chissà se tra questi rancori rientra anche il chiamare i «colleghi» culattoni, espressione peraltro molto italiana. Sta di fatto che su Vatican news dell’udienza del 22 dicembre è rimasto solo un breve filmato, montato con le immagini più significative e musiche sacre. Ma senza una parola anche se, direbbe Pietro Metastasio, «dal sen fuggita più richiamar non vale».
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Maria Luisa Palladino, la tutrice nominata dal tribunale per i Minorenni dell'Aquila per i bimbi nel bosco (Ansa)
Malgrado la famiglia sia contraria, la curatrice dei Trevallion e il Tribunale dei minori spingono per iscrivere i piccoli all’istituto di Palmoli, chiedendo pure l’intervento del sindaco. A papà Nathan negato persino il pranzo di Natale insieme a moglie e figli.
La storia della famiglia nel bosco sta assumendo i connotati di una serie tv di genere fantasy. Ma qui non siamo su Netflix, questa è vita reale. La fiaba di Natale a Palmoli (Chieti) dove, fino a un mese fa, Catherine Birmingham e Nathan Trevallion vivevano con i loro tre bambini, una di 8 anni e due gemelli di 6, in una una casa priva di acqua, luce, rete fognaria e servizi igienici, si spezza il 20 novembre, quando gli assistenti sociali e i carabinieri eseguono un’ordinanza del Tribunale dei minori di Chieti allontanando i bambini dai genitori. Sospesa la «responsabilità genitoriale». Il trauma della famiglia del bosco diventa pubblico. E l’Italia si spacca. Chi sta con la scelta neorurale dei genitori, chi la contesta. Chi chiede un immediato ricongiungimento, chi chiede il rispetto delle decisioni della magistratura minorile.
La storia ormai la conoscono tutti. I tre bambini vengono portati in una comunità di accoglienza per minori, a Vasto, insieme alla madre che però può stare con loro solo durante i pasti. E questa è stata la situazione anche il giorno di Natale. A papà Nathan sono state concesse appena due ore e mezza con la sua famiglia, dalle 10 alle 12,30, senza nemmeno pranzare insieme. Normalmente ha accesso alla struttura solo due volte a settimana, per un’ora. Il padre, stanco e debilitato, descrive il Natale come «una notte dolorosa e molto triste».
La richiesta di ricongiungimento presentata dagli avvocati, Marco Femminella e Danila Solinas, respinta dai giudici, suscita l’indignazione generale. La responsabile del servizio minori della casa famiglia di Vasto spiega che il ricongiungimento avrebbe creato un precedente anche per le altre famiglie presenti. Il vicepremier Matteo Salvini si rivolge ai giudici: «Mettetevi una mano sulla coscienza, almeno il giorno di Natale un atto di generosità e di rispetto ve lo potevate regalare. Cattiveria istituzionale gratuita, una violenza di Stato senza senso e senza precedenti».
Per settimane si è parlato del Natale come possibile giorno del ricongiungimento. Ma niente. La famiglia resterà divisa per almeno altri quattro mesi. Il Tribunale per i minorenni dell’Aquila ha stabilito una verifica sullo stato psichico dei genitori e un’indagine psico-diagnositica sui figli. Per i magistrati si rende «necessario un congruo accertamento tecnico sulle competenze genitoriali» e hanno nominato una psichiatra che inizierà il suo lavoro il 5 gennaio e che entro 120 giorni dovrà redigere una relazione. Intanto i genitori avrebbero accettato di trasferirsi nell’abitazione messa a disposizione gratuitamente da un imprenditore locale nel periodo necessario ad adeguare il loro casale alle prescrizioni del tribunale.
Una storia che inizia nel settembre 2024, quando a causa di un’intossicazione da funghi la famiglia si reca al pronto soccorso. E da lì la loro vita diventa pubblica. La Corte d’Appello, il 19 dicembre, decide che i bambini non possono tornare con i loro genitori nemmeno per le festività natalizie. Il forte ritardo scolastico dei bimbi è stato uno degli aspetti che più hanno convinto il magistrato a togliere la potestà genitoriale alla coppia. I tre bambini, non essendo mai stati iscritti a scuola, non sanno né leggere né scrivere, stanno imparando ora l’italiano. La bambina più grande, sotto dettatura, sa scrivere solo il suo nome.
A tal proposito, malgrado la contrarietà dei genitori, i giudici e la tutrice dei bambini del bosco, l’avvocato Maria Luisa Palladino, spingono per iscrivere i tre bambini a scuola. Palladino ha contattato il sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, per organizzare con lui un recupero educativo e culturale all’Istituto comprensivo Castiglione Messer Marino-Carunchio.
Non sembra superata neanche la lesione del diritto dei minori alla vita di relazione: «Nell’interazione con gli altri bambini presenti in comunità si denota imbarazzo e diffidenza», dicono le assistenti. E il tribunale denota anche «l’insistenza con cui la madre pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità». La routine adottata nel bosco era la sveglia all’alba e il riposo entro le 18. Scrive l’assistente sociale: «Gli operatori sono riusciti a fare la doccia ai bambini soltanto nella serata del secondo giorno di collocamento ma solo con acqua, non volendo usare saponi».
Gli avvocati della coppia le definiscono «ricostruzioni grottesche» e puntano alla dimostrazione che lo stile di vita scelto dai genitori non costituisce un pregiudizio per il benessere dei minori. Adesso c’è solo da aspettare. Se ne riparlerà a maggio. Per provare a sbrogliare la matassa bisogna mettere in ordine le carte giudiziarie e le testimonianze. Sforzarsi di restare neutrali di fronte al carattere fiabesco di questo Christmas Carol dei giorni nostri.
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Eros Ramazzotti (Ansa)
Un revisore è accampato da un anno nel suo appartamento di Milano dopo che i lavori nell’abitazione di sopra, comprata dal cantante, hanno provocato un crollo del plafone. Eppure l’impresa è andata avanti a demolire.
Si chiama Paolo Rossi come l’eroe del Mundial ’82, ma non si guadagna da vivere a suon di gol. E di sicuro non riceverà i biglietti omaggio per il tour planetario di Eros Ramazzotti che partirà il prossimo 11 febbraio. Il protagonista della nostra storia ha 59 anni, è genovese e di mestiere fa il revisore dei conti e il consulente finanziario. Da un anno combatte con l’ugola d’oro romana per farsi rifondere i danni patiti dal suo bell’appartamento di dieci vani, adibito anche a studio professionale e acquistato con i risparmi di una vita in zona Citylife a Milano. L’immobile si trova in uno stabile di pregio: tre piani ripartiti in sei appartamenti di ampia metratura. Recentemente la facciata è stata rifatta e diversi proprietari hanno rimesso a posto le loro abitazioni. Ma solo uno dei suddetti interventi avrebbe creato disagi agli altri condomini. «Mai tali lavori hanno arrecato danni alle unità immobiliari», hanno sottolineato, in uno dei loro atti, gli avvocati Fabio Lepri e Salvatore Pino, difensori di Rossi, «fino a quando una di esse è stata ceduta e il suo acquirente ha pensato bene di avventurarsi in lavori letteralmente devastanti, che hanno gravemente danneggiato l’appartamento sottostante».
I lettori avranno già capito chi sia l’ipotetico «vandalo». Ramazzotti nell’ottobre del 2024 ha acquistato casa proprio sopra a quella di Rossi, spostando lì la residenza, e avrebbe quasi immediatamente avviato «inusitati lavori di demolizione». Secondo i legali di Rossi «sono stati dapprima demoliti e rimossi tutti i muri divisori interni, porte e impianti e successivamente, in un paio di giorni, sono stati rimossi sia i pavimenti che il sottostante massetto, ricorrendo a un uso tanto improprio quanto massiccio di martelli pneumatici». Gli avvocati fanno riferimento ad «abnormi immissioni sonore», «consistenti vibrazioni» e all’«allarme provocato in tutti gli abitanti dello stabile». Queste operazioni sono iniziate il 20 novembre 2024 e, dopo due settimane, del vecchio appartamento non restava null’altro che macerie. Nel ricorso presentato da Rossi per avere un accertamento tecnico preliminare e risolvere rapidamente la lite, è descritto quanto sarebbe accaduto durante la demolizione: «Nel pomeriggio del 4 dicembre 2024, mentre veniva fatto uso dei martelli pneumatici, si è verificato un crollo nell’appartamento del dottor Rossi, in quanto una parte adibita a palestra e sauna ha subito un totale distacco del plafone, che è rovinato a terra, sulla sauna e sulle attrezzature da palestra e, solo per un caso, non ha ferito i ricorrenti, fortunatamente non presenti in quel momento in casa». Ma quando Paolo e signora sono rientrati hanno dovuto fare i conti con quello che sarebbe stato il loro futuro di accampati. La polvere che aleggia dopo i crolli aveva offuscato l’aria.
Da allora è iniziata una lunga battaglia legale tra Ramazzotti e Rossi che sembra ancora ben lontana dal lieto fine. Il denunciante sostiene di vivere da circa un anno in una casa pericolante e ha messo in sicurezza alcune stanze (quelle dove la battitura dei plafoni ha dato come risposta il suono sordo del vuoto) con degli impalcati di tubi innocenti che fanno assomigliare il bell’appartamento a un cantiere edile. Il 13 novembre 2024 nell’appartamento di Rossi si era presentato il responsabile dei lavori di casa Ramazzotti, l’architetto Luigi Andrea Tafuri. Gli avvocati danno un senso particolare a quella visita: è stato fatto «al dichiarato fine di verificarne lo stato, evidentemente perché lo stesso Ramazzotti, il suo direttore dei lavori, come l’impresa appaltatrice (la Gmr, ndr), erano perfettamente consapevoli di voler attuare demolizioni ad alto rischio». Tale sopralluogo si è svolto alla presenza anche dell’amministratrice del condominio, l’architetto Alberta Contestabile. La quale ha attestato in un documento ufficiale quanto segue: «Durante il sopralluogo è stato accertato l’ottimo stato dell’immobile […]. L’architetto Tafuri dichiarava in tale sede che i lavori di ristrutturazione sarebbero stati rilevanti e rassicurava il dottor Rossi sulla circostanza che qualunque danno, crepa o problematica fosse emersa al suo appartamento sarebbe stata da addebitare ai lavori di ristrutturazione dell’appartamento soprastante». Ma questa promessa non sarebbe stata mantenuta.
Dopo il crollo, Rossi avrebbe avvertito subito sia l’amministrazione che la Gmr e «Tafuri e l’impresa hanno in un primo momento dichiarato la disponibilità a fermare i lavori, per approfondire l’accaduto e verificare i danni provocati all’appartamento». Ma la mattina successiva la Gmr, «su verosimile ordine dell’architetto Tafuri e del proprietario Ramazzotti» e «facendo strame dell’impegno assunto il giorno precedente», avrebbero ripreso a usare i «martelli demolitori […] noncuranti della presenza dei proprietari di casa all’interno dell’immobile sottostante e dell’acclarato rischio di ulteriori crolli e possibili lesioni alle persone». Che cosa è successo allora? «A quel punto al dottor Rossi, al fine di impedire la prosecuzione dei rischiosi lavori, non è rimasto altro che chiedere l’intervento immediato delle autorità competenti, segnalando il crollo del giorno prima e quanto stava di nuovo accadendo».
I verbali della Polizia municipale sopraggiunta nell’appartamento dopo il crollo e quello dei Vigili del fuoco (che, dopo una discussione con Rossi, avrebbero accettato di dichiarare l’inagibilità solo della sala attrezzi) sono piuttosto eloquenti. Nel loro rapporto i ghisa meneghini hanno dato atto che a casa Ramazzotti «erano state demolite le pareti, non strutturali, adibite a suddivisione interna dei locali, asportati gli impianti, e rimosso il pavimento». Quindi hanno aggiunto che «proprio quest’ultima attività potrebbe essere stata la causa del distacco del soffitto in danno dell’immobile sottostante poiché era stato rimosso gran parte del sottofondo (cosiddetto massetto), scoprendo le tavelle che compongono il solaio, che in alcuni punti presentavano anche delle rotture riconducibili ai colpi inflitti dal martello pneumatico». La Polizia municipale ha anche accertato che «in alcuni punti della superficie dell’appartamento erano accatastati diversi metri cubi di residui da demolizione (macerie)». I pompieri hanno rilevato un «dissesto statico di elementi costruttivi» cagionato da «lavori di scavo e demolizione».
Gli avvocati puntualizzano che «la situazione […] è apparsa talmente grave» che Rossi e consorte «sono stati diffidati dall’accesso al locale nel quale si era verificato il distacco del soffitto» e la stanza è stata delimitata con nastro bianco e rosso. Il 13 gennaio 2025 i coniugi Rossi «hanno contestato l’accaduto a Ramazzotti e all’impresa appaltatrice», inviando una prima perizia. L’avvocato del cantautore, Antonio Cacciato, due giorni dopo ha replicato che tale expertise, «di per sé non ricevibile e non condivisibile anche perché generica, formata unilateralmente e non riscontrata, a supporto di (generiche, ampie e non circostanziate) richieste risarcitorie, mostra un approccio immotivatamente aggressivo, che senz’altro rende meno agevole l’interlocuzione tra i soggetti coinvolti». E così, «rimasti vani i tentativi di raggiungere un’immediata composizione bonaria con Ramazzotti, attraverso il suo direttore dei lavori», divenuto nel frattempo procuratore speciale dell’artista in questa vicenda, è partita la causa, con relativo balletto di perizie e controperizie. La difesa del revisore genovese ha subito sostenuto che «i danni causati dai lavori si sono rivelati molto più estesi rispetto a quanto era apparso inizialmente col primo crollo, perché propagati anche alle altre stanze». Gli esperti ingaggiati da Rossi, per evitare ulteriori cedimenti, hanno indicato «quali interventi necessari, la realizzazione di strutture di protezione».
Un anno fa, a giudizio dell’avvocato Cacciato, la situazione non era grave come denunciato da Rossi: «Non consta che l’uso della stanza (oggetto di intervento dei Vigili del Fuoco) sia precluso, essendo stata immediatamente messa in sicurezza […], anche in ragione di assenza di ulteriore intonaco nel solaio» e «i lavori sono proseguiti con apposita messa in sicurezza e non hanno generato aggravamenti di sorta (non si è andati oltre al limitato distaccamento di intonaco)». Nella relazione dell’ingegner Paolo Crispiatico, incaricato dal condominio e non da Rossi, si attribuisce con certezza «lo sfondellamento dell’intonaco» ai «lavori di ristrutturazione» in casa Ramazzotti. Infatti l’impresa avrebbe «totalmente omesso» le cautele necessarie: «Si vede che sono stati tolti i tavolati, i pavimenti ed i sottofondi, ma non sono stati posati puntelli per evitare il movimento del solaio».
Il team di Ramazzotti ha, inizialmente, dato la colpa del crollo a presunti difetti occulti dell’immobile e ha fatto fare una perizia con carotaggi per evidenziare «problematiche strutturali» dell’edificio (definite dai legali di Rossi «pretestuose ed eccentriche»). Ipotesi che non avrebbe trovato riscontri. In ogni caso Ramazzotti, al momento, non ha ancora pagato quanto richiesto da Rossi. Il giudice milanese Carlo Di Cataldo ha fissato la data del 19 gennaio 2026 per il secondo tentativo di conciliazione e ha assegnato al proprio consulente tecnico il termine del 9 febbraio per depositare la relazione preliminare e del 10 aprile per quella finale, mentre i difensori delle parti avranno tempo sino all’11 marzo per il deposito di eventuali osservazioni.
Gli avvocati e lo stesso Rossi hanno quantificato il risarcimento dovuto in oltre 200.000 euro (comprensivi di affitto temporaneo di un altro immobile per il periodo necessario ai lavori di ripristino) e hanno chiesto di conteggiare anche «i danni all’attività professionale svolta nell’appartamento, all’inizio interrotta poi quanto meno rallentata e disagiata dagli eventi». I legali invitano pure a considerare le «intuibili sofferenze, i patemi d’animo e gli stati d’ansia» collegati al «rischio incombente di crollo» e «il sentimento di frustrazione derivato dall’inaccettabile condotta dilatoria» di Ramazzotti & C..
Rossi, contattato dalla Verità, preferisce non rilasciare dichiarazioni. Ma prima di congedarci, si concede un piccolo sfogo: «Mentre stiamo vivendo il nostro calvario fatto di disagi abitativi, di spese legali e di paure per il rischio di nuovi crolli, il signor Ramazzotti è troppo impegnato in colossali investimenti pubblicitari per il nuovo disco “Una storia importante” e per il prossimo “World tour” in partenza a febbraio». Infatti, al danno si sarebbe aggiunta l’immancabile beffa: a poche centinaia di metri dall’appartamento danneggiato, in piazza Buonarroti, un intero edificio per giorni è stato coperto con la promozione del tour e del nuovo disco. Che, siamo certi, Rossi non acquisterà.
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