2024-06-22
Smentite le balle dei cantori della tv. Questa Nazionale (ancora) non gira
Il non gioco in campo con la Spagna ha dimostrato che certi palcoscenici per l’Italia sono troppo. E la colpa è anche dei «profeti» (Di Canio a parte) che hanno esaltato la striminzita vittoria contro la modesta Albania.Bisogna allontanare i poeti dalla polis perché mentono molto, diceva Platone, interpreti come sono dei momenti in cui l’uomo si dimentica del tutto della sofferenza, dunque della verità che ne è parte integrante. E allontaniamoli, dunque, questi poeti, nella fattispecie gli aedi della Nazionale dopo la vittoria risicata contro l’Albania nel primo atto degli Europei in corso in Germania. Inebriati dal successo e da un primo tempo discreto, svarione difensivo iniziale a parte, nessuno, nemmeno i cronisti Rai, ci aveva avvisato della malleabile consistenza della compagine azzurra. Ci ha poi pensato la Spagna a tirarci un gavettone gelido, evitando però di infierire: l’1-0 di giovedì si sarebbe potuto trasformare in un 4-0 tondo se Gigio Donnarumma non avesse messo di mezzo le sue manone. A dirla tutta, che nessuno ci avesse avvisato è falso. Paolo Di Canio è stato uno dei pochi a mettere in guardia i tifosi: «Non ci sono campioni eccelsi nella nostra Nazionale, non ci sono i fuoriclasse di una volta e allora la differenza può farla proprio il nostro ct». Ma soprattutto: «Ho visto Spagna e Germania andare a una velocità superiore. Aspettiamo la crescita di squadra, nessuno dei nostri giocatori in un mese può diventare fenomeno. Spalletti non può dirlo, ma con l’Albania non abbiamo avuto la forza di osare perché non abbiamo campioni». Insomma, diversi buonissimi giocatori, Chiesa e Barella su tutti, non i fenomeni di cui disponevamo qualche generazione fa. I toni trionfalistici della Rai pre partita con le furie rosse si sono poi trasformati in fendenti di materico realismo a disfida conclusa. Sui social c’è chi ha ricordato persino l’Italia guidata da Antonio Conte, quella con Pellè in attacco, una delle compagini meno attrezzate della nostra storia, capace però di rimpiazzare il deficit tecnico con il nerbo mutuato dal mister pugliese. Quest’Italia invece è un cantiere in divenire, sta allestendo un progetto di gioco che esula dall’Italianità catenacciara propria del dna tricolore, cerca di giocare il pallone, di sfruttare le doti dei suoi uomini di movimento e, particolare non trascurabile, di attingere dai vivai per la prima volta dopo tanto tempo un po’ più potenziati rispetto al solito. In buona sostanza, l’Italia sta provando a fare la Spagna, con la differenza che la Spagna sa di essere Spagna, noi siamo in mezzo a un guado tutto mediterraneo. Il tentativo di Spalletti di provare a fare la partita giovedì sera si è incardinato in quella direzione, sebbene gli uomini di Luis De La Fuente abbiano agito da cugini soverchiatori: Dani Carvajal, Rodri, Morata, e poi il tarantolato Nico Williams che ha fatto impazzire il povero Giovanni Di Lorenzo, non scordando il sedicenne Yamal, emblema di una cantera in cui il vino è sempre buono. Per paradosso, il motivo della vittoria sull’Albania è stato anche la ragione della scoppola con la Spagna. Chiesa, migliore in campo nel match d’esordio, messo alle strette da Cuccurella si è eclissato, le geometrie di Jorginho a centrocampo da tempo hanno smarrito il loro piglio euclideo e lo stesso formidabile Barella, nostromo accorto durante la burrasca iberica, non era a suo agio nel tentare azzardi e inserimenti. A questo si aggiunge la scarsa esperienza degli azzurri nella difesa bassa e compatta. Quando c’erano Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci era un conto; stavolta, con gli spagnoli bravi fin da subito a pressare a tutto spiano, sono emerse le incapacità di guadagnar tempo, respirare e ripartire. Spalletti ha tentato di rimediare conferendo solidità alla mediana, rimpiazzando Frattesi e l’opaco Jorginho con Cristante e Cambiaso, smarrendo forse ulteriore capacità di palleggio e puntellando il centrocampo con atleti buoni, ma incapaci di scandire davvero un cambio di passo. Chi si aspettava, come la maggioranza dei cronisti, un divario tra le due formazioni tutto sommato non incolmabile, si è dovuto ricredere. A parità di gioco proposto, sono emerse individualità nettamente differenti. Beninteso: ciò è bene che sia affiorato fin da subito, durante i gironi. La costruzione di una nuova identità passa anche attraverso prese di coscienza in itinere e la sfida di lunedì con la Croazia - compagine di glorie in decadenza e discrete nuove leve -se vinta, potrebbe favorire i ragazzi di Spalletti negli abbinamenti degli ottavi di finale. Il ct punta molto sulla condizione fisica dei suoi: «Con 3-4 giocatori più freschi siamo stati più intensi e abbiamo recuperato più palloni, creando situazioni che potevano portarci al pareggio, ma loro sono stati più forti e hanno meritato di vincere. Se non hai la stessa gamba degli altri non puoi fare scelte con la stessa velocità. Se sei compassato di fronte a un avversario di qualità come loro poi perdi qualsiasi possibilità di reazione. Al di là delle qualità tecniche di Williams e Yamal sopra la media, in generale sono stati differenti i tempi di reazione». Il ragionamento fila. Se non riesci a tener testa all’avversario per qualità, prova a spremerti sulla quantità. Ma qualità e quantità, giovedì sera, hanno premiato soltanto Donnarumma tra gli italiani, portiere bistrattato per una stagione in Ligue 1 talvolta altalenante, ma capace di infondere sicurezza al reparto con prodezze. Non sempre gli Europei sono vinti dalla squadra più forte, l’Italia lo ha dimostrato pure nell’edizione precedente, ma è bene mantenere basso il profilo per evitare chimere donchisciottesche che gli hidalgos spagnoli hanno subito provveduto a cancellare. Insomma, è bene tenere a mente gli avvisi iniziali di chi aveva compreso quanta strada ci fosse ancora da fare per gareggiare alla pari con le favorite Spagna, Germania e Francia.
Jeffrey Epstein (Getty Images)
Nel riquadro, Giancarlo Tulliani in una foto d'archivio
A Fontanellato il gruppo Casalasco inaugura l’Innovation Center, polo dedicato a ricerca e sostenibilità nella filiera del pomodoro. Presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini e il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta. L’hub sarà alimentato da un futuro parco agri-voltaico sviluppato con l’Università Cattolica.
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.
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Da sinistra in alto: Piero Amara, Catiuscia Marini, Sergio Sottani e Luca Palamara (Ansa)