Con lo scioglimento della calotta polare, i mari del Nord sono diventati più navigabili. E Mosca ne approfitta. Ecco perché si moltiplicano le operazioni a guida americana nell’area. E pure il riottoso Emmanuel Macron si allinea.
Con lo scioglimento della calotta polare, i mari del Nord sono diventati più navigabili. E Mosca ne approfitta. Ecco perché si moltiplicano le operazioni a guida americana nell’area. E pure il riottoso Emmanuel Macron si allinea.In meno di un mese tre enormi esercitazioni militari sotto bandiera americana e Nato hanno stretto un semicerchio attorno alla calotta polare artica. Alaska, mare di Beaufort, Finlandia, Svezia e Norvegia. In mezzo il famoso passaggio a Nord Ovest (la linea che unisce Atlantico e Pacifico) che tocca la Russia. Si è iniziato con Nordic Response 2024, un insieme di operazioni congiunte portate avanti da 20.000 soldati, 50 navi e oltre un centinaio di aerei. Tredici nazioni Nato partecipanti (compresa l’Italia, che ha inviato un migliaio di militari) hanno sfidato i ghiacci e il gelo per stressare la capacità di difendere il fianco più settentrionale dell’Alleanza atlantica, al confine con la Russia e con l’obiettivo di testare i recenti ingressi. Ci riferiamo alla formale adesione di Finlandia e Norvegia mirata a formare una sorta di testa di ponte verso Mosca. A migliaia di chilometri, in Alaska, tra Fairbanks, Utquiagvik e Koyuk, ben 8.000 soldati statunitensi della undicesima divisione aviotrasportata hanno concluso la scorsa settimana le loro esercitazioni. Stesso obiettivo degli colleghi che si sono cimentati nella penisola scandinava. È ancora in corso invece, l’operazione Ice Camp. Qui il numero dei militari coinvolti è più esiguo, ma tecnologicamente si tratta dell’esercitazione più spinta. Decine di navi e sommergibili appartenenti alla Marina degli Stati Unit, del Canada, della Francia e della Gran Bretagna stanno incrociando il mare di Beaufort e le isole intorno alla base di Conrwallis, uno scoglio gelato nella regione di Nunavut, in Canada. È chiaro che un tale dispiegamento di forze non è né casuale né scoordinato. In ballo c’è il controllo dell’Artico che, causa lo scioglimento dei ghiacci, è diventato più facilmente navigabile e sfruttabile dal punto di vista delle materie prime e delle terre rare. Soprattutto da quando è iniziata la guerra in Ucraina, Vladimir Putin ha spinto il piede sull’acceleratore della presenza militare lungo la rotta ghiacciata. Grazie alla quale è riuscito tra gennaio e ottobre dello scorso anno a far transitare oltre 30 milioni di tonnellate di merci via cargo. Dieci volte di più di quanto ne venivano movimentate in questa regione fino a cinque anni fa. Le autorità russe hanno recentemente dichiarato di voler alzare il tiro fino a consentire un traffico così regolare da spostare 190 milioni di tonnellate all’anno a partire dal 2030. Tanto per avere una idea, il 10% delle merci che transita dal canale di Suez. Può sembrare poco, ma in realtà è qualcosa che può cambiare gli equilibri mondiali. Ecco perché la calotta artica sta diventando un nuovo fronte di guerra. O almeno di confronto bellico. Recentemente è stato diffuso l’ultimo report in capo a una divisione Onu che va sotto il nome di «Commission on the limits of the continental shelf» (Clcs). Lo scopo della commissione è regolare l’accesso agli oceani e garantire il rispetto delle leggi internazionali. Russia, Canada e Groenlandia non vanno tanto d’accordo e reclamano interi pezzi di oceano. Sotto il quale ci sono notevoli giacimenti. Il momento cruciale è arrivato nel febbraio 2023, quando la Clcs ha emesso una raccomandazione sulla richiesta russa. Tale raccomandazione non era un’approvazione completa, ma piuttosto una richiesta di informazioni più dettagliate in aree specifiche. La Russia ha presentato un documento rivisto lo stesso mese, rispondendo alle preoccupazioni del Clcs e fornendo i dati richiesti. Con l’obiettivo di validare il proprio espansionismo. Puntellato, ovviamente, dalla costruzione di nuove basi. Si arriva così al mese scorso. L’idea non è solo quella di mostrare i muscoli, ma di gettare le basi per una presenza industriale che cresca di pari passo con le esercitazioni Nato. Da un lato gli Usa vogliono testare le nuove capacità di difesa da quelli che sono i missili più temuti, gli ipersonici. E al tempo stesso capire quali tra gli alleati sarebbe in grado, oltre che disposti, ad avviare il dispiego rapido delle forze armate. Non a caso una delle tre esercitazioni, quella gestita dalla Marina nel mare di Beaufort, si è svolta sotto il cappello del Joint pacific multinational readiness center. Si tratta di un centro di comando che tiene anche conto della necessità di proteggere le rotte civili, di affiancare le navi che si spingono fino all’Artico per fare ricerche e aprire a loro volta la strada alle estrazioni di gas, petrolio e minerali. Ciliegina sulla torta, le richieste cinesi. Anche Pechino, pur distando migliaia di chilometri, in sede Onu si è autodefinita un «Paese vicino all’Artico», così da poter investire in infrastrutture e inviare navi. Insomma, mentre siamo concentrati sull’Ucraina, Gaza e lo Yemen dove gli Huthi sparano alle navi mercantili, la guerra fredda si sta combattendo tra i ghiacci e qui la Francia di Emmanuel Macron si mostra coperta e allineata rispetto alla Nato che tanto mostra di detestare e gli Usa che più volte ha criticato. Sono partite intrecciate che dimostrano due cose. La prima, il mondo è sempre più complesso. La seconda, l’Europa è un caos nel caos dove Macron cerca di sgomitare per prendersi il dominio militare. Ricordiamo che dopo luglio Bruxelles potrebbe avere per la prima volta il commissario alla Difesa.
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