True
2023-03-29
Trans fa una strage. Sui media è solo questione di pronomi
Nel riquadro, Audrey Elizabeth Hale (Ansa)
Il berretto rosso da baseball scolorisce in fretta, la tuta mimetica non si porta più e la strage di Nashville diventa routine. Sulle homepage del circo mediatico mainstream la notizia precipita in poche ore nelle retrovie, l’indignazione progressista per le armi americane à la carte si prende un turno di riposo. Il motivo arriva da una conferma dell’Fbi: la psycho-killer che ha ucciso tre bambini (di nove anni) e tre adulti nella Covenant School era transgender. Audrey Hale, 28 anni, era orgogliosa della sua transizione sessuale, si definiva maschio sui social e nei 14 minuti in cui ha messo a ferro e fuoco l’istituto contro vittime innocenti - prima di essere abbattuta dai poliziotti - si è comportata da autentico macho. Questo basta per abbassare il volume della radio e far rientrare la tragedia nelle pieghe della fatalità.
C’è qualcosa di peloso nei riflessi condizionati di chi improvvisamente scopre che il dramma «deve» scorrere via senza lasciare traccia. Solo un sussulto nel sottolineare, interpretando i messaggi su Facebook, che «lei/lui era risentita/o perché quella scuola cristiana non riconosceva la sua diversità». Poiché è un istituto elementare, lo aveva frequentato 20 anni fa e nelle ricostruzioni più fantasiose «aveva covato astio tramutato in odio nei confronti di un’educazione tradizionale, binaria, non inclusiva». Si avverte uno stridore di unghie sui vetri nel tentativo di cancellare pulsioni della vita e della natura: lo schwa non è neutro né pacifista come sembra. E il lato oscuro dell’esistenza che costringe a guardare l’abisso non esclude automaticamente il cosiddetto terzo sesso.
La cronaca parla di una persona disturbata, senza un centro di gravità, che annegava nel silenzio le sue angosce esistenziali. Era una grafica professionista, disegnava loghi per le aziende e la sera pianificava l’irruzione preparando mappe e oliando due fucili da combattimento e una pistola. In origine l’obiettivo era un altro, ma sembrava troppo controllato. La ricostruzione delle ultime ore del (o della) criminale Hale passa attraverso i messaggi Instagram a un’amica, compagna di squadra di basket, Averianna Patton. «Il post che ho scritto oggi è un messaggio suicida, mi preparo a morire. Questo non è uno scherzo», minacciava firmandosi Aiden. E aggiungeva: «Un giorno questo avrà un senso, ho lasciato abbondanti prove dietro di me, sta per succedere qualcosa di brutto. Probabilmente sentirai parlare di me nelle news dopo la mia morte, questo è il mio ultimo saluto, ci vediamo nella prossima vita». L’amica ha detto alla polizia di avere provato a confortarla, a spingerla a chiamare una linea antisuicidi. Poi ha allertato il 911, ma l’agente incaricato di recarsi a casa di Audrey è arrivato a strage compiuta.
L’America delle esasperazioni ideologiche si è subito spaccata a difesa di tesi preconfezionate. Mentre i repubblicani puntano il dito contro «lo smarrimento sociale dovuto all’ossessione transgender che impone la sessualità liquida come una moda», gli ultrà della transizione permanente già scambiano carnefice e vittime per accusare le regole dell’istituto cristiano (non cattolico ma presbiteriano) e lo Stato del Tennessee, che recentemente ha approvato una legge per bandire dai luoghi pubblici gli spettacoli delle drag queen. Non manca neppure la consueta, imbarazzante, deriva hollywoodiana: Madonna ha annunciato che terrà a Nashville uno show di beneficenza. Non per le vittime innocenti ma per dare sostegno alla comunità queer. Niente di più, solo distrazione. In Italia il tema non è in tendenza su nessun social e Alessandro Zan non ha riservato alla faccenda neppure uno dei suoi frenetici tweet.
Nonostante il low profile collettivo, dal polverone si sedimenta qualche verità. La prima è fonte di imbarazzi nella sinistra radical: quella di lunedì non è stata l’unica sparatoria firmata da un killer non binario. Secondo il New York Times anche Anderson Lee Aldrich, autore della strage nel locale notturno a Colorado Springs (cinque vittime) nel novembre scorso, era gay. Transgender si professavano l’adolescente accusato della sparatoria in una scuola di Denver due anni fa e il responsabile dell’irruzione in un deposito di prodotti farmaceutici ad Aberdeen nel Maryland nel 2018. Statistiche. Con una postilla amara: la società americana del puritanesimo dei padri da una parte e delle esasperazioni arcobaleno dall’altra ha trovato la sintesi più feroce in una strage con un trans come carnefice. La psicopatologia sessuale che ha portato il cda di una scuola della Florida a licenziare la preside dopo l’esposizione del David durante una lezione su Michelangelo sta raggiungendo livelli di pura follia.
La seconda verità è essenzialmente politica. Se oggi nessun luna park mediatico è stato imbastito sulla vergogna delle armi da guerra appoggiate ai portaombrelli yankee, lo si deve all’assenza di un Donald Trump strumentalizzabile alla Casa Bianca e alla consapevolezza anche del dem più sprovveduto che Joe Biden non sta facendo nulla per affrontare il problema. Come prima di lui gli immacolati Bill Clinton e Barack Obama. Evidentemente la «gun lobby» foraggia tutti, meglio voltare pagina. Il New York Times lo ha fatto nel modo più originale: ieri si è scusato con i lettori per avere scritto «she» ed «her» (invece che he ed him) nei primi articoli sulla strage, nell’intento di farsi perdonare dall’affranta comunità queer. Il berretto rosso portato al contrario è un puntino all’orizzonte, domani è un giorno come un altro.
Con Biden alla Casa Bianca 22 sparatorie e 144 vittime
La strage di Nashville mette in evidenza la fallimentare politica del Partito democratico americano sulle armi. Joe Biden ha appena invocato un divieto per le armi d’assalto che, a livello federale, fu già in vigore tra il 1994 e il 2004. Tuttavia uno studio della Rand Corporation ha riferito che non ci sono prove chiare del fatto che questa proibizione abbia avuto un effettivo impatto sul tasso di omicidi. Dobbiamo inoltre ricordare che a giugno scorso, a seguito del massacro di Uvalde, il Congresso aveva dato l’ok a una norma bipartisan contro la violenza armata, definita dall’Associated Press come il disegno di legge «più ampio approvato negli ultimi decenni» su questo fronte. In particolare, il provvedimento ha introdotto controlli sul background psicologico degli acquirenti di armi, prevedendo anche fondi a favore di programmi di salute mentale nelle scuole. Sono inoltre state inserite pene più severe per il traffico di armi, oltre a una stretta alle licenze di vendita. Eppure, come dimostrato dalla strage di Nashville, il problema delle sparatorie di massa continua. Secondo il database di Mother Jones, da quando Biden è presidente, si sono verificati almeno 22 episodi di questo genere (quattro soltanto quest’anno) per un totale di 144 vittime. Ora, nessuno qui dice che tale situazione sia colpa dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Tuttavia andrebbe ricordato che, nel 2019, alcuni esponenti dem (come l’allora candidato presidenziale Beto O’ Rourke) lasciarono intendere che l’eccidio, verificatosi a El Paso nell’agosto di quell’anno, fosse una conseguenza della retorica di Donald Trump. Ecco: Trump non è più presidente dal gennaio 2021 e le sparatorie di massa continuano a mietere vittime. La ricetta messa in campo dai dem non sembra quindi funzionare. Attenzione: alcune restrizioni possono sicuramente essere appropriate. Ha un senso controllare il background psicologico degli acquirenti, come fu giusto quando, nel 2018, l’amministrazione Trump vietò i bump stock: dispositivi che, se applicati a un’arma semiautomatica, possono farla diventare automatica (a proposito, secondo il sito Politifact, l’amministrazione Obama in almeno un paio di occasioni aveva dato il benestare alla vendita di questi pericolosi dispositivi). Il punto è che pensare di affrontare la tragica questione delle sparatorie di massa, facendone esclusivamente un tema di restrizione di armi è fondamentalmente inutile. Senza poi contare che, comunque la si pensi, Biden su tale dossier ha perso più di un anno di tempo. A marzo del 2022, 128 parlamentari dem gli inviarono infatti una lettera, esortandolo ad agire in modo più incisivo su questo fronte.
Il tema delle sparatorie di massa andrebbe, insomma, affrontato senza ideologie. Eppure la narrazione dominante continua a leggerlo attraverso categorie manichee, accusando i repubblicani di essere favorevoli al far west e tirando costantemente in ballo la lobby delle armi, la Nra. Urgerebbero invece un paio di precisazioni. Primo: la divisione tra i parlamentari statunitensi sulla questione del controllo delle armi non è tanto partitica quanto geografica. In determinate aree, alcune tradizionalmente repubblicane e altre tradizionalmente dem, il possesso di armi è particolarmente diffuso e si registra resistenza alle restrizioni. Piaccia quindi o meno, i rappresentanti di questi territori tendono a farsi portavoce al Congresso di tali istanze. Secondo: lo spauracchio della Nra andrebbe un po’ ridimensionato.
Intanto, secondo un sondaggio della Monmouth University, solo un democratico su quattro vuole che Biden si ricandidi nel 2024.
Continua a leggereRiduci
Massacro a Nashville, ma senza Donald Trump e moventi nazionalisti, i giornali si preoccupano dei termini più «corretti» da usare.La battaglia di Joe Biden per ridurre i morti limitando l’uso delle armi ha fallito. Intanto solo un dem su quattro lo rivuole nel 2024.Lo speciale contiene due articoli.Il berretto rosso da baseball scolorisce in fretta, la tuta mimetica non si porta più e la strage di Nashville diventa routine. Sulle homepage del circo mediatico mainstream la notizia precipita in poche ore nelle retrovie, l’indignazione progressista per le armi americane à la carte si prende un turno di riposo. Il motivo arriva da una conferma dell’Fbi: la psycho-killer che ha ucciso tre bambini (di nove anni) e tre adulti nella Covenant School era transgender. Audrey Hale, 28 anni, era orgogliosa della sua transizione sessuale, si definiva maschio sui social e nei 14 minuti in cui ha messo a ferro e fuoco l’istituto contro vittime innocenti - prima di essere abbattuta dai poliziotti - si è comportata da autentico macho. Questo basta per abbassare il volume della radio e far rientrare la tragedia nelle pieghe della fatalità.C’è qualcosa di peloso nei riflessi condizionati di chi improvvisamente scopre che il dramma «deve» scorrere via senza lasciare traccia. Solo un sussulto nel sottolineare, interpretando i messaggi su Facebook, che «lei/lui era risentita/o perché quella scuola cristiana non riconosceva la sua diversità». Poiché è un istituto elementare, lo aveva frequentato 20 anni fa e nelle ricostruzioni più fantasiose «aveva covato astio tramutato in odio nei confronti di un’educazione tradizionale, binaria, non inclusiva». Si avverte uno stridore di unghie sui vetri nel tentativo di cancellare pulsioni della vita e della natura: lo schwa non è neutro né pacifista come sembra. E il lato oscuro dell’esistenza che costringe a guardare l’abisso non esclude automaticamente il cosiddetto terzo sesso.La cronaca parla di una persona disturbata, senza un centro di gravità, che annegava nel silenzio le sue angosce esistenziali. Era una grafica professionista, disegnava loghi per le aziende e la sera pianificava l’irruzione preparando mappe e oliando due fucili da combattimento e una pistola. In origine l’obiettivo era un altro, ma sembrava troppo controllato. La ricostruzione delle ultime ore del (o della) criminale Hale passa attraverso i messaggi Instagram a un’amica, compagna di squadra di basket, Averianna Patton. «Il post che ho scritto oggi è un messaggio suicida, mi preparo a morire. Questo non è uno scherzo», minacciava firmandosi Aiden. E aggiungeva: «Un giorno questo avrà un senso, ho lasciato abbondanti prove dietro di me, sta per succedere qualcosa di brutto. Probabilmente sentirai parlare di me nelle news dopo la mia morte, questo è il mio ultimo saluto, ci vediamo nella prossima vita». L’amica ha detto alla polizia di avere provato a confortarla, a spingerla a chiamare una linea antisuicidi. Poi ha allertato il 911, ma l’agente incaricato di recarsi a casa di Audrey è arrivato a strage compiuta.L’America delle esasperazioni ideologiche si è subito spaccata a difesa di tesi preconfezionate. Mentre i repubblicani puntano il dito contro «lo smarrimento sociale dovuto all’ossessione transgender che impone la sessualità liquida come una moda», gli ultrà della transizione permanente già scambiano carnefice e vittime per accusare le regole dell’istituto cristiano (non cattolico ma presbiteriano) e lo Stato del Tennessee, che recentemente ha approvato una legge per bandire dai luoghi pubblici gli spettacoli delle drag queen. Non manca neppure la consueta, imbarazzante, deriva hollywoodiana: Madonna ha annunciato che terrà a Nashville uno show di beneficenza. Non per le vittime innocenti ma per dare sostegno alla comunità queer. Niente di più, solo distrazione. In Italia il tema non è in tendenza su nessun social e Alessandro Zan non ha riservato alla faccenda neppure uno dei suoi frenetici tweet.Nonostante il low profile collettivo, dal polverone si sedimenta qualche verità. La prima è fonte di imbarazzi nella sinistra radical: quella di lunedì non è stata l’unica sparatoria firmata da un killer non binario. Secondo il New York Times anche Anderson Lee Aldrich, autore della strage nel locale notturno a Colorado Springs (cinque vittime) nel novembre scorso, era gay. Transgender si professavano l’adolescente accusato della sparatoria in una scuola di Denver due anni fa e il responsabile dell’irruzione in un deposito di prodotti farmaceutici ad Aberdeen nel Maryland nel 2018. Statistiche. Con una postilla amara: la società americana del puritanesimo dei padri da una parte e delle esasperazioni arcobaleno dall’altra ha trovato la sintesi più feroce in una strage con un trans come carnefice. La psicopatologia sessuale che ha portato il cda di una scuola della Florida a licenziare la preside dopo l’esposizione del David durante una lezione su Michelangelo sta raggiungendo livelli di pura follia. La seconda verità è essenzialmente politica. Se oggi nessun luna park mediatico è stato imbastito sulla vergogna delle armi da guerra appoggiate ai portaombrelli yankee, lo si deve all’assenza di un Donald Trump strumentalizzabile alla Casa Bianca e alla consapevolezza anche del dem più sprovveduto che Joe Biden non sta facendo nulla per affrontare il problema. Come prima di lui gli immacolati Bill Clinton e Barack Obama. Evidentemente la «gun lobby» foraggia tutti, meglio voltare pagina. Il New York Times lo ha fatto nel modo più originale: ieri si è scusato con i lettori per avere scritto «she» ed «her» (invece che he ed him) nei primi articoli sulla strage, nell’intento di farsi perdonare dall’affranta comunità queer. Il berretto rosso portato al contrario è un puntino all’orizzonte, domani è un giorno come un altro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nashville-trans-strage-2659668943.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-biden-alla-casa-bianca-22-sparatorie-e-144-vittime" data-post-id="2659668943" data-published-at="1680035662" data-use-pagination="False"> Con Biden alla Casa Bianca 22 sparatorie e 144 vittime La strage di Nashville mette in evidenza la fallimentare politica del Partito democratico americano sulle armi. Joe Biden ha appena invocato un divieto per le armi d’assalto che, a livello federale, fu già in vigore tra il 1994 e il 2004. Tuttavia uno studio della Rand Corporation ha riferito che non ci sono prove chiare del fatto che questa proibizione abbia avuto un effettivo impatto sul tasso di omicidi. Dobbiamo inoltre ricordare che a giugno scorso, a seguito del massacro di Uvalde, il Congresso aveva dato l’ok a una norma bipartisan contro la violenza armata, definita dall’Associated Press come il disegno di legge «più ampio approvato negli ultimi decenni» su questo fronte. In particolare, il provvedimento ha introdotto controlli sul background psicologico degli acquirenti di armi, prevedendo anche fondi a favore di programmi di salute mentale nelle scuole. Sono inoltre state inserite pene più severe per il traffico di armi, oltre a una stretta alle licenze di vendita. Eppure, come dimostrato dalla strage di Nashville, il problema delle sparatorie di massa continua. Secondo il database di Mother Jones, da quando Biden è presidente, si sono verificati almeno 22 episodi di questo genere (quattro soltanto quest’anno) per un totale di 144 vittime. Ora, nessuno qui dice che tale situazione sia colpa dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Tuttavia andrebbe ricordato che, nel 2019, alcuni esponenti dem (come l’allora candidato presidenziale Beto O’ Rourke) lasciarono intendere che l’eccidio, verificatosi a El Paso nell’agosto di quell’anno, fosse una conseguenza della retorica di Donald Trump. Ecco: Trump non è più presidente dal gennaio 2021 e le sparatorie di massa continuano a mietere vittime. La ricetta messa in campo dai dem non sembra quindi funzionare. Attenzione: alcune restrizioni possono sicuramente essere appropriate. Ha un senso controllare il background psicologico degli acquirenti, come fu giusto quando, nel 2018, l’amministrazione Trump vietò i bump stock: dispositivi che, se applicati a un’arma semiautomatica, possono farla diventare automatica (a proposito, secondo il sito Politifact, l’amministrazione Obama in almeno un paio di occasioni aveva dato il benestare alla vendita di questi pericolosi dispositivi). Il punto è che pensare di affrontare la tragica questione delle sparatorie di massa, facendone esclusivamente un tema di restrizione di armi è fondamentalmente inutile. Senza poi contare che, comunque la si pensi, Biden su tale dossier ha perso più di un anno di tempo. A marzo del 2022, 128 parlamentari dem gli inviarono infatti una lettera, esortandolo ad agire in modo più incisivo su questo fronte. Il tema delle sparatorie di massa andrebbe, insomma, affrontato senza ideologie. Eppure la narrazione dominante continua a leggerlo attraverso categorie manichee, accusando i repubblicani di essere favorevoli al far west e tirando costantemente in ballo la lobby delle armi, la Nra. Urgerebbero invece un paio di precisazioni. Primo: la divisione tra i parlamentari statunitensi sulla questione del controllo delle armi non è tanto partitica quanto geografica. In determinate aree, alcune tradizionalmente repubblicane e altre tradizionalmente dem, il possesso di armi è particolarmente diffuso e si registra resistenza alle restrizioni. Piaccia quindi o meno, i rappresentanti di questi territori tendono a farsi portavoce al Congresso di tali istanze. Secondo: lo spauracchio della Nra andrebbe un po’ ridimensionato. Intanto, secondo un sondaggio della Monmouth University, solo un democratico su quattro vuole che Biden si ricandidi nel 2024.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci