2023-03-29
Trans fa una strage. Sui media è solo questione di pronomi
Nel riquadro, Audrey Elizabeth Hale (Ansa)
Massacro a Nashville, ma senza Donald Trump e moventi nazionalisti, i giornali si preoccupano dei termini più «corretti» da usare.La battaglia di Joe Biden per ridurre i morti limitando l’uso delle armi ha fallito. Intanto solo un dem su quattro lo rivuole nel 2024.Lo speciale contiene due articoli.Il berretto rosso da baseball scolorisce in fretta, la tuta mimetica non si porta più e la strage di Nashville diventa routine. Sulle homepage del circo mediatico mainstream la notizia precipita in poche ore nelle retrovie, l’indignazione progressista per le armi americane à la carte si prende un turno di riposo. Il motivo arriva da una conferma dell’Fbi: la psycho-killer che ha ucciso tre bambini (di nove anni) e tre adulti nella Covenant School era transgender. Audrey Hale, 28 anni, era orgogliosa della sua transizione sessuale, si definiva maschio sui social e nei 14 minuti in cui ha messo a ferro e fuoco l’istituto contro vittime innocenti - prima di essere abbattuta dai poliziotti - si è comportata da autentico macho. Questo basta per abbassare il volume della radio e far rientrare la tragedia nelle pieghe della fatalità.C’è qualcosa di peloso nei riflessi condizionati di chi improvvisamente scopre che il dramma «deve» scorrere via senza lasciare traccia. Solo un sussulto nel sottolineare, interpretando i messaggi su Facebook, che «lei/lui era risentita/o perché quella scuola cristiana non riconosceva la sua diversità». Poiché è un istituto elementare, lo aveva frequentato 20 anni fa e nelle ricostruzioni più fantasiose «aveva covato astio tramutato in odio nei confronti di un’educazione tradizionale, binaria, non inclusiva». Si avverte uno stridore di unghie sui vetri nel tentativo di cancellare pulsioni della vita e della natura: lo schwa non è neutro né pacifista come sembra. E il lato oscuro dell’esistenza che costringe a guardare l’abisso non esclude automaticamente il cosiddetto terzo sesso.La cronaca parla di una persona disturbata, senza un centro di gravità, che annegava nel silenzio le sue angosce esistenziali. Era una grafica professionista, disegnava loghi per le aziende e la sera pianificava l’irruzione preparando mappe e oliando due fucili da combattimento e una pistola. In origine l’obiettivo era un altro, ma sembrava troppo controllato. La ricostruzione delle ultime ore del (o della) criminale Hale passa attraverso i messaggi Instagram a un’amica, compagna di squadra di basket, Averianna Patton. «Il post che ho scritto oggi è un messaggio suicida, mi preparo a morire. Questo non è uno scherzo», minacciava firmandosi Aiden. E aggiungeva: «Un giorno questo avrà un senso, ho lasciato abbondanti prove dietro di me, sta per succedere qualcosa di brutto. Probabilmente sentirai parlare di me nelle news dopo la mia morte, questo è il mio ultimo saluto, ci vediamo nella prossima vita». L’amica ha detto alla polizia di avere provato a confortarla, a spingerla a chiamare una linea antisuicidi. Poi ha allertato il 911, ma l’agente incaricato di recarsi a casa di Audrey è arrivato a strage compiuta.L’America delle esasperazioni ideologiche si è subito spaccata a difesa di tesi preconfezionate. Mentre i repubblicani puntano il dito contro «lo smarrimento sociale dovuto all’ossessione transgender che impone la sessualità liquida come una moda», gli ultrà della transizione permanente già scambiano carnefice e vittime per accusare le regole dell’istituto cristiano (non cattolico ma presbiteriano) e lo Stato del Tennessee, che recentemente ha approvato una legge per bandire dai luoghi pubblici gli spettacoli delle drag queen. Non manca neppure la consueta, imbarazzante, deriva hollywoodiana: Madonna ha annunciato che terrà a Nashville uno show di beneficenza. Non per le vittime innocenti ma per dare sostegno alla comunità queer. Niente di più, solo distrazione. In Italia il tema non è in tendenza su nessun social e Alessandro Zan non ha riservato alla faccenda neppure uno dei suoi frenetici tweet.Nonostante il low profile collettivo, dal polverone si sedimenta qualche verità. La prima è fonte di imbarazzi nella sinistra radical: quella di lunedì non è stata l’unica sparatoria firmata da un killer non binario. Secondo il New York Times anche Anderson Lee Aldrich, autore della strage nel locale notturno a Colorado Springs (cinque vittime) nel novembre scorso, era gay. Transgender si professavano l’adolescente accusato della sparatoria in una scuola di Denver due anni fa e il responsabile dell’irruzione in un deposito di prodotti farmaceutici ad Aberdeen nel Maryland nel 2018. Statistiche. Con una postilla amara: la società americana del puritanesimo dei padri da una parte e delle esasperazioni arcobaleno dall’altra ha trovato la sintesi più feroce in una strage con un trans come carnefice. La psicopatologia sessuale che ha portato il cda di una scuola della Florida a licenziare la preside dopo l’esposizione del David durante una lezione su Michelangelo sta raggiungendo livelli di pura follia. La seconda verità è essenzialmente politica. Se oggi nessun luna park mediatico è stato imbastito sulla vergogna delle armi da guerra appoggiate ai portaombrelli yankee, lo si deve all’assenza di un Donald Trump strumentalizzabile alla Casa Bianca e alla consapevolezza anche del dem più sprovveduto che Joe Biden non sta facendo nulla per affrontare il problema. Come prima di lui gli immacolati Bill Clinton e Barack Obama. Evidentemente la «gun lobby» foraggia tutti, meglio voltare pagina. Il New York Times lo ha fatto nel modo più originale: ieri si è scusato con i lettori per avere scritto «she» ed «her» (invece che he ed him) nei primi articoli sulla strage, nell’intento di farsi perdonare dall’affranta comunità queer. Il berretto rosso portato al contrario è un puntino all’orizzonte, domani è un giorno come un altro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nashville-trans-strage-2659668943.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-biden-alla-casa-bianca-22-sparatorie-e-144-vittime" data-post-id="2659668943" data-published-at="1680035662" data-use-pagination="False"> Con Biden alla Casa Bianca 22 sparatorie e 144 vittime La strage di Nashville mette in evidenza la fallimentare politica del Partito democratico americano sulle armi. Joe Biden ha appena invocato un divieto per le armi d’assalto che, a livello federale, fu già in vigore tra il 1994 e il 2004. Tuttavia uno studio della Rand Corporation ha riferito che non ci sono prove chiare del fatto che questa proibizione abbia avuto un effettivo impatto sul tasso di omicidi. Dobbiamo inoltre ricordare che a giugno scorso, a seguito del massacro di Uvalde, il Congresso aveva dato l’ok a una norma bipartisan contro la violenza armata, definita dall’Associated Press come il disegno di legge «più ampio approvato negli ultimi decenni» su questo fronte. In particolare, il provvedimento ha introdotto controlli sul background psicologico degli acquirenti di armi, prevedendo anche fondi a favore di programmi di salute mentale nelle scuole. Sono inoltre state inserite pene più severe per il traffico di armi, oltre a una stretta alle licenze di vendita. Eppure, come dimostrato dalla strage di Nashville, il problema delle sparatorie di massa continua. Secondo il database di Mother Jones, da quando Biden è presidente, si sono verificati almeno 22 episodi di questo genere (quattro soltanto quest’anno) per un totale di 144 vittime. Ora, nessuno qui dice che tale situazione sia colpa dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Tuttavia andrebbe ricordato che, nel 2019, alcuni esponenti dem (come l’allora candidato presidenziale Beto O’ Rourke) lasciarono intendere che l’eccidio, verificatosi a El Paso nell’agosto di quell’anno, fosse una conseguenza della retorica di Donald Trump. Ecco: Trump non è più presidente dal gennaio 2021 e le sparatorie di massa continuano a mietere vittime. La ricetta messa in campo dai dem non sembra quindi funzionare. Attenzione: alcune restrizioni possono sicuramente essere appropriate. Ha un senso controllare il background psicologico degli acquirenti, come fu giusto quando, nel 2018, l’amministrazione Trump vietò i bump stock: dispositivi che, se applicati a un’arma semiautomatica, possono farla diventare automatica (a proposito, secondo il sito Politifact, l’amministrazione Obama in almeno un paio di occasioni aveva dato il benestare alla vendita di questi pericolosi dispositivi). Il punto è che pensare di affrontare la tragica questione delle sparatorie di massa, facendone esclusivamente un tema di restrizione di armi è fondamentalmente inutile. Senza poi contare che, comunque la si pensi, Biden su tale dossier ha perso più di un anno di tempo. A marzo del 2022, 128 parlamentari dem gli inviarono infatti una lettera, esortandolo ad agire in modo più incisivo su questo fronte. Il tema delle sparatorie di massa andrebbe, insomma, affrontato senza ideologie. Eppure la narrazione dominante continua a leggerlo attraverso categorie manichee, accusando i repubblicani di essere favorevoli al far west e tirando costantemente in ballo la lobby delle armi, la Nra. Urgerebbero invece un paio di precisazioni. Primo: la divisione tra i parlamentari statunitensi sulla questione del controllo delle armi non è tanto partitica quanto geografica. In determinate aree, alcune tradizionalmente repubblicane e altre tradizionalmente dem, il possesso di armi è particolarmente diffuso e si registra resistenza alle restrizioni. Piaccia quindi o meno, i rappresentanti di questi territori tendono a farsi portavoce al Congresso di tali istanze. Secondo: lo spauracchio della Nra andrebbe un po’ ridimensionato. Intanto, secondo un sondaggio della Monmouth University, solo un democratico su quattro vuole che Biden si ricandidi nel 2024.