2023-09-27
«Napolitano mi minacciò: non metterti contro di noi»
Marco Reguzzoni (Imagoeconomica)
L’ex capogruppo della Lega, Marco Reguzzoni: «In aprile 2010, dopo lo strappo di Fini, mi disse che non avevamo più la maggioranza e dovevamo cambiare primo ministro perché lui non avrebbe mai sciolto le Camere».Marco Reguzzoni, 52 anni, è stato presidente della Provincia di Varese e poi, dal 2010 al 2012, capogruppo alla Camera della Lega. Tempi duri per l’allora giovane deputato: le manovre di Gianfranco Fini, la caduta di Silvio Berlusconi, l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Monti. Dietro le quinte, anzi sopra, manovrava Re Giorgio Napolitano. Reguzzoni racconta alla Verità i suoi incontri con l’ex capo dello Stato, uno che quando c’era da convincere un politico a fare quello che diceva lui si spingeva anche a pronunciare frasi assai sibilline, accompagnate da complimenti affettuosi.Onorevole, ci racconti i suoi incontri con Napolitano…«Lo conosco quando vengo eletto deputato, nel 2008, poi nel 2010 divento capogruppo e inizia una frequentazione assidua, in quanto ero uno dei due capigruppo di maggioranza del governo Berlusconi. L’altro, del Pdl, era Fabrizio Cicchitto. Il rapporto con Napolitano era abbastanza teso in quel periodo. Ad aprile 2010 Fini rompe con Berlusconi, esce dal Pdl e forma un gruppo autonomo, Futuro e Libertà, e con Italo Bocchino capogruppo dichiara che continuerà a sostenere il governo. Napolitano mi chiama al Quirinale e dice: “Guarda, adesso il governo non ha più i numeri”».E lei?«Beh, io rispondo che il governo ha gli stessi numeri di prima, che non è successo niente di nuovo, la maggioranza in Parlamento c’è».Che ricorda in particolare di quell’incontro?«Di solito quando arrivi ti dicono: il presidente ha un quarto d’ora. Quell’incontro è durato un’ora e un quarto».Eravate solo voi due?«È stato sempre presente anche il segretario generale del Quirinale, all’epoca Donato Marra. Napolitano cerca di convincermi che la maggioranza non c’è più e bisogna cambiare premier».Chi voleva?«Mi dice: “Fatemi un altro nome”, insiste. Io rispondo: “Io faccio il capogruppo e la posizione del gruppo è questa. Se lei ha altro da dire, chiami il ministro Umberto Bossi e glielo dica».E lui?«Era un po’ indispettito».Avvisò Bossi del colloquio?«Sì».E lui che disse?«Meglio che commenti lui... diciamo che era rimasto abbastanza colpito».E Berlusconi fu informato?«Sì, ed era rimasto colpito anche lui, come tutti noi».Poi che succede?«Che alla Camera Fini toglie la fiducia al governo, ma noi riusciamo lo stesso a mantenere la maggioranza».Grazie ai famosi «responsabili»: Domenico Scilipoti, Bruno Cesario…«Vota la fiducia anche Silvano Moffa, finiano, che conoscevo bene. La maggioranza c’è, il governo si salva. A quel punto torno da Napolitano e gli dico che la posizione del nostro gruppo è quella di sciogliere le Camere».Perché?«Avevamo pochi voti di maggioranza, rischiavamo il pantano, volevamo andare alle elezioni. La posizione mia e di Bossi, della Lega era: sciogliamo le Camere e andiamo al voto. Avevamo una grande maggioranza nel Paese, avremmo vinto di certo».Ma questa posizione era condivisa da Berlusconi?«No, e nemmeno da Fini, Casini... Ma se la Lega staccava la spina al governo, si andava a votare».E Napolitano?«Mi dice: “No, non se ne parla. Non le scioglierò mai”. Si mette per 20 minuti a fare tutta la storia dei governi, un elenco dei casi in cui il presidente della Repubblica aveva deciso o meno di sciogliere le Camere. Alla fine ripete: “Per tutte queste ragioni, io le Camere non le sciolgo”. Mi prende sotto al braccio e inizia a dirmi: “Ma perché ti comporti così, sei giovane, sei un ragazzo sveglio, perché ti metti contro di noi, non metterti contro di noi”. Lui mi dava del tu, io a lui no. Io resto impressionato dal suo gesto, era un uomo sempre abbastanza distante, distaccato, freddo, aristocratico. Mi dice queste frasi mentre camminiamo per il Quirinale, le uniche pronunciate senza la presenza del segretario generale».E in quel momento eravate soli…«Sì. Invece di dirmi: va bene arrivederci, mi prende sotto il braccio e mi accompagna per un pezzettino, in quei meravigliosi ambienti del Quirinale. È durato pochi minuti, ma sono cose che non si dimenticano».Ma mettersi contro di noi chi?«Mah, forse intendeva il Quirinale, forse usava il plurale maiestatis... non lo so cosa intendesse. Io sono un ingegnere, parlo solo di cose che so. Magari era un modo più semplice di dire non metterti contro di me? Può essere, ma fu piuttosto inquietante».Ma in quel «non metterti contro di noi», lei ha percepito un suggerimento o una minaccia?«Tutti e due. Al momento un suggerimento, anche perché condito da qualche complimento personale. Ripensandoci mi ha un po’ spaventato. Oh, io non sono uno che si fa spaventare... ma il contesto, gli affreschi, i commessi che aprivano le porte... non stavo mica parlando con l’ultimo arrivato».Nessuno seppe di questo colloquio?«No».Neanche Berlusconi?«Sì, Berlusconi sì».E che disse?«Lo prese bene, disse: ma no non si può andare alle elezioni, abbiamo la maggioranza, bisogna andare avanti. Del resto, come ho detto, a fine 2010, l’idea di sciogliere le Camere, era più della Lega».E poi?«Si arriva all’autunno 2011 e si consuma la tragedia politica: al posto di Berlusconi arriva Mario Monti e noi della Lega siamo gli unici insieme ad Antonio Di Pietro che non votano la fiducia».Questo ricordo l’ha accompagnata per tutti questi anni?«Sì. Dopo la vicenda Monti non volevo più saperne della politica. Votiamo, eleggiamo il Parlamento e poi ci troviamo al governo gente non votata. Adesso finalmente siamo in una situazione diversa e anche io sono tornato a fare qualcosina in politica, dopo essere rimasto fuori per tanti anni».Sempre con la Lega?«No. Ho ripreso un’associazione che avevo fondato nel 2015, che si chiama I Repubblicani. Faremo qualcosa».