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2023-07-06
«Mutui più lunghi contro il rialzo dei tassi»
Ansa
È «urgente e indispensabile» trovare un accordo con le banche sulla possibilità di allungare le rate dei mutui a tasso variabile per aiutare famiglie e imprese ad affrontare i rincari. L’appello è stato lanciato ieri dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, davanti alla platea dei banchieri riuniti a Roma per l’assemblea dell’Abi, l’associazione di categoria. Del resto, chi ha scelto il variabile per il proprio mutuo in alcuni casi lo ha fatto spinto dalla propria banca. Con la scorsa legge di bilancio, ha ricordato il titolare del Mef, «il governo ha reintrodotto la facoltà di rinegoziare, a determinate condizioni, i mutui ipotecari a tasso variabile trasformandoli in mutui a tasso fisso» e «i dati più recenti mostrano che queste misure hanno registrato un grande successo e stiamo lavorando per individuare modalità che ci consentano di confermarle anche nel prossimo futuro». In un contesto che appare «positivo» per le banche, «mi aspetto un rapido avvicinamento tra i margini di interesse applicati ai crediti erogati e quelli riconosciuti sulle somme accantonate nei conti correnti», ha detto Giorgetti. Nello stesso senso, «riteniamo meritevoli di particolare attenzione le raccomandazioni formalizzate da Bankitalia nella comunicazione del 15 febbraio con la quale ha invitato tutte le banche a valutare con estrema attenzione l’opportunità di rivedere le modifiche contrattuali a sfavore dei clienti che avessero precedentemente attuato».
Di fronte all’appello di Giorgetti, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha replicato che «le banche in Italia mantengono quasi i due terzi dei mutui a tasso fisso, con tassi di raccolta in continuo aumento. Su richiesta, possono allungare la durata dei mutui per chi è in regola con i pagamenti o realizzare surroghe». Intanto, la più grande banca del Paese ovvero Intesa Sanpaolo ha garantito la disponibilità a raccogliere la sollecitazione del Mef: Intesa allungherà le rate dei mutui a tasso variabile per andare incontro alle difficoltà delle famiglie, ha detto il presidente Gian Maria Gros-Pietro ricordando che ci sono regole da rispettare imposte dalla Bce che neanche il governo può cambiare. Quando il prestito viene ristrutturato, se la variazione supera l’1% va considerato deteriorato. L’allungamento delle rate per un maggior numero di anni consente di non oltrepassare questo limite. Per Gros-Pietro l’allungamento delle rate dei mutui variabili non sarà dunque oggetto di un protocollo - «non serve» - ma frutto di decisioni individuali dei singoli istituti. Nel frattempo, i banchieri rilanciano chiedendo di abbassare le tasse sul credito. «Le banche sopportano da anni una pressione fiscale più elevata del 3,5% rispetto alle altre imprese, con un’Ires del 27,5% rispetto all’aliquota ordinaria del 24%, cui si aggiunge il 26% di ritenuta di acconto per i dividendi dei risparmiatori azionisti, e garantiscono anche un cospicuo livello di sottoscrizione del debito pubblico», ha precisato Patuelli. Un modo per ricordare al governo che non sarebbe opportuna una tassa sugli extraprofitti delle banche, perché gli istituti di credito «non hanno rendite di posizione».
L’Abi è intanto impegnata anche nella trattativa con i sindacati per il rinnovo del contratto nazionale dei bancari: Patuelli ha richiamato «la qualità delle relazioni sindacali nel settore che negli ultimi anni hanno consentito di trovare sempre soluzioni valide anche in fasi complesse». Un passaggio apprezzato dal segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il tema del rinnovo dei contratti è un tema particolarmente caldo dopo che Intesa Sanpaolo ha revocato il mandato di rappresentanza ad Abi per essere presente alla trattativa con la formula dell’invito permanente.
Sullo sfondo, resta il nodo della politica monetaria della Bce che, ha ribadito nel suo intervento all’assemblea il governatore della Bankitalia, Ignazio Visco, deve essere improntata alla prudenza. Valutando e anticipando anche gli effetti della restrizione monetaria. A metà giugno l’Eurotower ha ulteriormente aumentato i tassi di 25 punti base portando quello sui depositi detenuti dalle banche presso l’Eurosistema al 3,5%, 4 punti percentuali in più rispetto al luglio 2022. «Ora che i tassi sono in territorio restrittivo, calibrare la durata della stretta monetaria, piuttosto che aumentarne eccessivamente l’ampiezza, avrebbe il vantaggio di agevolare un’analisi più informata degli effetti dell’azione fin qui condotta», ha evidenziato Visco. «Non comprendo e continuo a non condividere osservazioni anche di recente avanzate che spingerebbero a preferire il rischio di essere più, anziché meno, restrittivi. Ritengo che si debba essere cauti quanto basta». Confermando che gli effetti della stretta monetaria si fanno sentire sui pagamenti dei mutui. Nei primi tre mesi di quest’anno l’incidenza del flusso di prestiti che presentano ritardi nei pagamenti, anche se non ancora tali da richiedere una classificazione come deteriorati, è raddoppiata, all’1,6% del complesso dei finanziamenti in bonis in ragione d’anno. Secondo la Fabi, sono i mutui non rimborsati ammontano a 6,7 miliardi.
La Yellen inizia oggi la visita in Cina. Xi l’accoglie con lo sgarbo sui chip
Non parte esattamente sotto i migliori auspici il viaggio in Cina del segretario al Tesoro americano Janet Yellen, che arriverà oggi a Pechino per una visita di quattro giorni. Appena lunedì scorso, la Repubblica popolare ha infatti annunciato che, a partire da agosto, limiterà l’export di alcuni metalli necessari per la realizzazione di semiconduttori e veicoli elettrici. Una stretta che ieri è stata definita come «solo l’inizio» dall’ex viceministro del Commercio cinese, Wei Jianguo. Ricordiamo che buona parte delle tensioni in corso tra Washington e Pechino riguarda proprio il delicato settore dei semiconduttori. Inoltre, il Global Times (organo di stampa del Partito comunista cinese) si è mostrato irritato martedì, dopo che il dipartimento di Stato Usa aveva esortato i cittadini americani a riconsiderare i loro viaggi in Cina a causa del rischio di detenzioni arbitrarie. Insomma, la visita della Yellen parte decisamente in salita.
A livello generale, il segretario al Tesoro, che lunedì ha avuto un incontro con l’ambasciatore cinese a Washington Xie Feng, cercherà di stabilizzare le complicate relazioni tra Stati Uniti e Cina. Funzionari statunitensi hanno detto ieri a Reuters di non attendersi delle svolte eclatanti: la Yellen, hanno affermato, «spingerà per aprire nuove linee di comunicazione e coordinamento su questioni economiche e sottolineerà le conseguenze della fornitura di aiuti letali alla Russia». Già il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva tentato a giugno di diminuire la tensione durante un viaggio nella Repubblica popolare, dove aveva avuto un incontro anche con Xi Jinping. Un (parziale) rasserenamento durato appena poche ore: Joe Biden definì infatti subito dopo il proprio omologo cinese come un «dittatore», portando la fibrillazione tra i due Paesi a salire di nuovo. È anche su questo fronte che la Yellen tenterà di gettare prevedibilmente acqua sul fuoco.
Ricordiamo che, insieme con l’inviato speciale per il clima John Kerry, il segretario al Tesoro è uno degli esponenti più favorevoli alla distensione con Pechino all’interno dell’amministrazione Biden. Nella primavera dell’anno scorso, si disse propensa a revocare almeno alcuni dei dazi che Donald Trump aveva imposto alla Repubblica popolare. «Alcuni di essi mi sembrano infliggere più danni ai consumatori e alle imprese e non sono molto strategici nel senso di affrontare i problemi reali che abbiamo con la Cina», disse a maggio del 2022. Era invece il mese scorso, quando, parlando alla Camera dei rappresentanti, si è schierata contro il decoupling dalla Cina, definendolo «disastroso».
All’interno dell’attuale amministrazione americana, la Yellen si fa d’altronde portavoce dei grandi mondi economici statunitensi che, da Wall Street alla Silicon Valley, puntano a mantenere buoni rapporti con il Dragone: si tratta tra l’altro di mondi che, in larga maggioranza, finanziarono il Partito democratico americano alle elezioni del 2020. Il problema, per Biden, è tuttavia duplice. Primo: una parte del suo elettorato, vale a dire i colletti blu della Rust belt, auspica una linea dura sul commercio nei confronti della Cina. Secondo: all’interno della sua amministrazione non tutti condividono l’approccio soft della Yellen e di Kerry (a partire dal Consiglio per la sicurezza nazionale). Si tratta di spaccature interne notevoli, rispetto a cui la debole leadership di Biden non è finora riuscita a trovare una sintesi efficace. Una situazione che ha portato l’attuale Casa Bianca ad assumere spesso una linea ondivaga e contraddittoria sul dossier cinese, azzoppando così la capacità di deterrenza di Washington nei confronti di Pechino. Il grosso rischio per l’Occidente è che il Dragone possa approfittarne.
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Durante l’assemblea, l’Abi apre all’appello di Giancarlo Giorgetti. Ignazio Visco critico sulla scelta Bce di continuare con gli aumenti: già raddoppiati i pagamenti in ritardo. Nonostante lo strappo con Intesa, Antonio Patuelli mostra ottimismo sul rinnovo del contratto dei bancari. Il segretario Usa cerca la distensione. Ma Pechino blocca l’export di gallio e germanio.Lo speciale contiene due articoli.È «urgente e indispensabile» trovare un accordo con le banche sulla possibilità di allungare le rate dei mutui a tasso variabile per aiutare famiglie e imprese ad affrontare i rincari. L’appello è stato lanciato ieri dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, davanti alla platea dei banchieri riuniti a Roma per l’assemblea dell’Abi, l’associazione di categoria. Del resto, chi ha scelto il variabile per il proprio mutuo in alcuni casi lo ha fatto spinto dalla propria banca. Con la scorsa legge di bilancio, ha ricordato il titolare del Mef, «il governo ha reintrodotto la facoltà di rinegoziare, a determinate condizioni, i mutui ipotecari a tasso variabile trasformandoli in mutui a tasso fisso» e «i dati più recenti mostrano che queste misure hanno registrato un grande successo e stiamo lavorando per individuare modalità che ci consentano di confermarle anche nel prossimo futuro». In un contesto che appare «positivo» per le banche, «mi aspetto un rapido avvicinamento tra i margini di interesse applicati ai crediti erogati e quelli riconosciuti sulle somme accantonate nei conti correnti», ha detto Giorgetti. Nello stesso senso, «riteniamo meritevoli di particolare attenzione le raccomandazioni formalizzate da Bankitalia nella comunicazione del 15 febbraio con la quale ha invitato tutte le banche a valutare con estrema attenzione l’opportunità di rivedere le modifiche contrattuali a sfavore dei clienti che avessero precedentemente attuato». Di fronte all’appello di Giorgetti, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha replicato che «le banche in Italia mantengono quasi i due terzi dei mutui a tasso fisso, con tassi di raccolta in continuo aumento. Su richiesta, possono allungare la durata dei mutui per chi è in regola con i pagamenti o realizzare surroghe». Intanto, la più grande banca del Paese ovvero Intesa Sanpaolo ha garantito la disponibilità a raccogliere la sollecitazione del Mef: Intesa allungherà le rate dei mutui a tasso variabile per andare incontro alle difficoltà delle famiglie, ha detto il presidente Gian Maria Gros-Pietro ricordando che ci sono regole da rispettare imposte dalla Bce che neanche il governo può cambiare. Quando il prestito viene ristrutturato, se la variazione supera l’1% va considerato deteriorato. L’allungamento delle rate per un maggior numero di anni consente di non oltrepassare questo limite. Per Gros-Pietro l’allungamento delle rate dei mutui variabili non sarà dunque oggetto di un protocollo - «non serve» - ma frutto di decisioni individuali dei singoli istituti. Nel frattempo, i banchieri rilanciano chiedendo di abbassare le tasse sul credito. «Le banche sopportano da anni una pressione fiscale più elevata del 3,5% rispetto alle altre imprese, con un’Ires del 27,5% rispetto all’aliquota ordinaria del 24%, cui si aggiunge il 26% di ritenuta di acconto per i dividendi dei risparmiatori azionisti, e garantiscono anche un cospicuo livello di sottoscrizione del debito pubblico», ha precisato Patuelli. Un modo per ricordare al governo che non sarebbe opportuna una tassa sugli extraprofitti delle banche, perché gli istituti di credito «non hanno rendite di posizione». L’Abi è intanto impegnata anche nella trattativa con i sindacati per il rinnovo del contratto nazionale dei bancari: Patuelli ha richiamato «la qualità delle relazioni sindacali nel settore che negli ultimi anni hanno consentito di trovare sempre soluzioni valide anche in fasi complesse». Un passaggio apprezzato dal segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il tema del rinnovo dei contratti è un tema particolarmente caldo dopo che Intesa Sanpaolo ha revocato il mandato di rappresentanza ad Abi per essere presente alla trattativa con la formula dell’invito permanente. Sullo sfondo, resta il nodo della politica monetaria della Bce che, ha ribadito nel suo intervento all’assemblea il governatore della Bankitalia, Ignazio Visco, deve essere improntata alla prudenza. Valutando e anticipando anche gli effetti della restrizione monetaria. A metà giugno l’Eurotower ha ulteriormente aumentato i tassi di 25 punti base portando quello sui depositi detenuti dalle banche presso l’Eurosistema al 3,5%, 4 punti percentuali in più rispetto al luglio 2022. «Ora che i tassi sono in territorio restrittivo, calibrare la durata della stretta monetaria, piuttosto che aumentarne eccessivamente l’ampiezza, avrebbe il vantaggio di agevolare un’analisi più informata degli effetti dell’azione fin qui condotta», ha evidenziato Visco. «Non comprendo e continuo a non condividere osservazioni anche di recente avanzate che spingerebbero a preferire il rischio di essere più, anziché meno, restrittivi. Ritengo che si debba essere cauti quanto basta». Confermando che gli effetti della stretta monetaria si fanno sentire sui pagamenti dei mutui. Nei primi tre mesi di quest’anno l’incidenza del flusso di prestiti che presentano ritardi nei pagamenti, anche se non ancora tali da richiedere una classificazione come deteriorati, è raddoppiata, all’1,6% del complesso dei finanziamenti in bonis in ragione d’anno. Secondo la Fabi, sono i mutui non rimborsati ammontano a 6,7 miliardi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mutui-piu-lunghi-2662234025.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-yellen-inizia-oggi-la-visita-in-cina-xi-laccoglie-con-lo-sgarbo-sui-chip" data-post-id="2662234025" data-published-at="1688637932" data-use-pagination="False"> La Yellen inizia oggi la visita in Cina. Xi l’accoglie con lo sgarbo sui chip Non parte esattamente sotto i migliori auspici il viaggio in Cina del segretario al Tesoro americano Janet Yellen, che arriverà oggi a Pechino per una visita di quattro giorni. Appena lunedì scorso, la Repubblica popolare ha infatti annunciato che, a partire da agosto, limiterà l’export di alcuni metalli necessari per la realizzazione di semiconduttori e veicoli elettrici. Una stretta che ieri è stata definita come «solo l’inizio» dall’ex viceministro del Commercio cinese, Wei Jianguo. Ricordiamo che buona parte delle tensioni in corso tra Washington e Pechino riguarda proprio il delicato settore dei semiconduttori. Inoltre, il Global Times (organo di stampa del Partito comunista cinese) si è mostrato irritato martedì, dopo che il dipartimento di Stato Usa aveva esortato i cittadini americani a riconsiderare i loro viaggi in Cina a causa del rischio di detenzioni arbitrarie. Insomma, la visita della Yellen parte decisamente in salita.A livello generale, il segretario al Tesoro, che lunedì ha avuto un incontro con l’ambasciatore cinese a Washington Xie Feng, cercherà di stabilizzare le complicate relazioni tra Stati Uniti e Cina. Funzionari statunitensi hanno detto ieri a Reuters di non attendersi delle svolte eclatanti: la Yellen, hanno affermato, «spingerà per aprire nuove linee di comunicazione e coordinamento su questioni economiche e sottolineerà le conseguenze della fornitura di aiuti letali alla Russia». Già il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva tentato a giugno di diminuire la tensione durante un viaggio nella Repubblica popolare, dove aveva avuto un incontro anche con Xi Jinping. Un (parziale) rasserenamento durato appena poche ore: Joe Biden definì infatti subito dopo il proprio omologo cinese come un «dittatore», portando la fibrillazione tra i due Paesi a salire di nuovo. È anche su questo fronte che la Yellen tenterà di gettare prevedibilmente acqua sul fuoco. Ricordiamo che, insieme con l’inviato speciale per il clima John Kerry, il segretario al Tesoro è uno degli esponenti più favorevoli alla distensione con Pechino all’interno dell’amministrazione Biden. Nella primavera dell’anno scorso, si disse propensa a revocare almeno alcuni dei dazi che Donald Trump aveva imposto alla Repubblica popolare. «Alcuni di essi mi sembrano infliggere più danni ai consumatori e alle imprese e non sono molto strategici nel senso di affrontare i problemi reali che abbiamo con la Cina», disse a maggio del 2022. Era invece il mese scorso, quando, parlando alla Camera dei rappresentanti, si è schierata contro il decoupling dalla Cina, definendolo «disastroso». All’interno dell’attuale amministrazione americana, la Yellen si fa d’altronde portavoce dei grandi mondi economici statunitensi che, da Wall Street alla Silicon Valley, puntano a mantenere buoni rapporti con il Dragone: si tratta tra l’altro di mondi che, in larga maggioranza, finanziarono il Partito democratico americano alle elezioni del 2020. Il problema, per Biden, è tuttavia duplice. Primo: una parte del suo elettorato, vale a dire i colletti blu della Rust belt, auspica una linea dura sul commercio nei confronti della Cina. Secondo: all’interno della sua amministrazione non tutti condividono l’approccio soft della Yellen e di Kerry (a partire dal Consiglio per la sicurezza nazionale). Si tratta di spaccature interne notevoli, rispetto a cui la debole leadership di Biden non è finora riuscita a trovare una sintesi efficace. Una situazione che ha portato l’attuale Casa Bianca ad assumere spesso una linea ondivaga e contraddittoria sul dossier cinese, azzoppando così la capacità di deterrenza di Washington nei confronti di Pechino. Il grosso rischio per l’Occidente è che il Dragone possa approfittarne.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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