2023-01-27
Müller e Pompeo in pressing su papa Francesco. «Non dia copertura a Xi»
Accordo sino-vaticano nel mirino. L’ex segretario di Stato alla «Verità»: «La Chiesa segua il cardinale Zen, non il Partito comunista». Ratzingeriani Usa sul piede di guerra.«Purtroppo la Chiesa cattolica ha scelto di dare copertura al brutale e ateo Partito comunista cinese, invece di essere sale e luce per i fedeli cinesi. Ripeto quello che ho detto durante il mio periodo come segretario di Stato: Papa Francesco dovrebbe seguire l’esempio di uomini come il cardinale Joseph Zen, non i dettami di Xi Jinping». Sono queste le dure parole rilasciate ieri alla Verità da Mike Pompeo sull’accordo sino-vaticano. Parole che evidenziano il livello delle tensioni che si stanno addensando attorno a questa intesa, siglata a settembre 2018 e rinnovata finora due volte. D’altronde, l’ex segretario di Stato americano si è espresso criticamente sull’attuale politica estera vaticana, da lui giudicata troppo filocinese, anche nel suo recente libro, Never Give an Inch. Senza dimenticare che, da capo del Dipartimento di Stato, provò in tutti i modi ad evitare che quell’accordo con Pechino fosse rinnovato: una linea che, a ottobre 2020, lo portò in rotta di collisione con il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Ma quella di Pompeo non è stata l’unica critica all’accordo sino-vaticano avvenuta ultimamente. Parole dure sono infatti state pronunciate lunedì anche dal cardinale Gerhard Müller. «La Chiesa deve difendere la dignità umana, sempre, non può ignorare questa dittatura comunista brutale che nega i diritti umani. Una cosa è trattare, ma non si possono fare compromessi con il male», ha dichiarato al Corriere della Sera. Esponente di spicco dell’ala ratzingeriana, Müller è considerato vicino ad altri due strenui oppositori dell’intesa sino-vaticana, come i cardinali Zen e Raymond Burke. Burke, in particolare, rappresenta un anello di congiunzione importante con il mondo conservatore statunitense: il porporato partecipò a una conferenza di Pompeo, quando quest’ultimo si recò a Roma nel settembre 2020, e, stando a quanto risulta alla Verità, intratterrebbe buoni rapporti con il governatore della Florida, Ron DeSantis (figura che, come lo stesso Pompeo, è considerata tra i probabili candidati alla nomination presidenziale repubblicana del 2024). Senza poi trascurare che gran parte della conferenza episcopale statunitense è su posizioni fondamentalmente ratzingeriane e quindi non esattamente favorevoli all’accordo sino-vaticano. Un accordo a cui pressoché tutto il mondo conservatore d’Oltreatlantico guarda con estremo sospetto. A rendere manifesta questa situazione è stato un convegno, tenutosi a Roma presso la Camera dei deputati martedì scorso, organizzato dai think tank Centro studi Machiavelli, Iri ed Heritage Foundation. Ebbene, nel corso del dibattito, proprio la delegazione di Heritage ha avuto parole piuttosto critiche nei confronti dell’intesa sino-vaticana. Vale la pena sottolineare che Heritage intrattiene storici legami con il Partito repubblicano americano. Di contro, chi Oltreatlantico lasciò intendere nel 2018 di essere a favore della distensione tra Santa sede e Cina è per esempio stato padre James Martin: gesuita progressista, nominato nel 2017 consultore del segretariato per le Comunicazioni del Vaticano. Tutto questo evidenzia come la questione dell’intesa tra Santa sede e Cina stia portando sempre più le dinamiche vaticane a intersecarsi con la politica statunitense, soprattutto in vista delle prossime primarie presidenziali. D’altronde, se l’ala ratzingeriana è contraria all’accordo cinese, esso è invece sponsorizzato da potenti ambienti cattolici progressisti: non solo la Compagnia di Gesù, ma anche la Comunità di Sant’Egidio, la quale intrattiene solidi legami con Parolin. Vicino a un ex premier non esattamente ostile a Pechino come Romano Prodi, il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi, ha sempre difeso l’intesa sino-vaticana. Una posizione portata avanti anche da un altro storico esponente di Sant’Egidio, come il professor Agostino Giovagnoli. Membro del comitato scientifico del Confucio Institute dell’Università cattolica di Milano, Giovagnoli ha scritto numerosi articoli su Avvenire, supportando l’accordo e invocando relazioni più strette con Pechino. Appena lo scorso 22 gennaio, ha esortato a rilanciare il controverso trattato sugli investimenti tra Ue e Cina del 2020, mentre a inizio mese aveva sostenuto che l’intesa sino-vaticana risulterebbe in continuità con il pontificato di Benedetto XVI (un’interpretazione, quest’ultima, che nel 2020 era tuttavia stata sconfessata dal cardinale Zen). Tra l’altro, è vero che gli intenti pastorali dell’accordo sono comprensibili. Tuttavia, come riferito nei mesi scorsi da Asia News e dalla Catholic News Agency, pare che la situazione dei cattolici cinesi sia peggiorata negli ultimi anni, anche perché Xi ha recentemente inasprito la propria politica di «sincizzazione»: il tentativo, cioè, di indottrinare i fedeli secondo i principi del socialismo. Inoltre, secondo Open Doors, i cristiani in Cina continuano ad essere soggetti a pesante sorveglianza, mentre le chiese vengono chiuse. Il fronte ratzingeriano punta quindi a riportare il baricentro della politica estera vaticana più a Occidente, contrastando le influenze terzomondiste in seno alla segretaria di Stato. Di contro, gli esponenti più progressisti del sacro collegio, a partire dal cardinale Luis Antonio Tagle, cercheranno di proseguire sulla strada della distensione con la Cina. Una distensione che non è chiaro se, qualora dovesse andare avanti, avrà degli impatti sulle relazioni diplomatiche tra la Santa sede e Taiwan. È d’altronde proprio questo dubbio che inquieta Washington. Gli Stati Uniti temono infatti un rafforzamento dell’influenza internazionale della Repubblica popolare non solo in Estremo oriente ma anche in America Latina. Insomma, le tensioni nei sacri palazzi stanno sempre più diventando (anche) uno scontro tra Washington e Pechino.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)