2022-06-24
Mps va sul mercato con il solito piano. Chiesto il settimo aumento di capitale
L’ad si mostra più che fiducioso anche se le novità sono poche, a parte una riduzione di costi e poltrone grazie all’incorporazione di alcune controllate. Il Mef potrebbe avere un asso nella manica. Il titolo perde il 2,99%.«Oggi si apre un nuovo capitolo per la nostra banca». E ancora: «Mps torna a fare la banca». Quante volte hanno sentito questa musica gli analisti e i cronisti finanziari più «affezionati» alle vicende del Monte dei Paschi. Ieri le stesse note sono state suonate dai vertici dell’istituto senese in vista dell’ennesimo (è il settimo) aumento di capitale da varare nel quarto trimestre - 2,5 miliardi - che dovrà supportare il nuovo piano industriale firmato dal neo amministratore delegato Luigi Lovaglio e preparare l’uscita del Mef dal capitale di Rocca Salimbeni di cui ancora controlla il 64,2%. Prima però lo Stato, cioè anche noi contribuenti, dovrà garantire un altro obolo da 1,6 miliardi e la banca trovare soggetti privati che ci mettano i restanti 900 milioni. Ma Lovaglio è tranquillo, anzi di più. Tanto da non prevedere un piano B, «perché siamo focalizzati sul piano A», e da credere fermamente che «quando il valore della banca emergerà, gli investitori guarderanno al Monte come una delle migliori opportunità» sul mercato italiano». Il banchiere ha inoltre chiarito che per il successo dell’aumento «non è necessario» avere un anchor investor, «non dico che non sarebbe conveniente, chiaramente siamo aperti a ogni discussione con chiunque possa rappresentare un investitore di lungo periodo che voglia accompagnare il percorso di crescita e sviluppo della banca», ha aggiunto citando poi il pre accordo siglato con Bofa, Citigroup, Credit Suisse e Mediobanca che agiranno in qualità di joint global coordinators sull’eventuale inoptato. «È importante avere questo gruppo rispettabile di banche che si fidano di noi e poi, grazie all’appoggio del Mef, ci sentiamo sostenuti», ha detto l’ad. Anche per quanto riguarda un eventuale interesse di Axa e Anima, già partner rispettivamente nella bancassicurazione e nel risparmio gestito, a partecipare alla ricapitalizzazione, Lovaglio ha sottolineato che è pronto a discuterne «nel caso ci fosse, ma per il momento vogliamo mantenere la visione industriale di queste partnership separata dall’aumento di capitale» perché «dobbiamo focalizzarci sul miglioramento dei nostri ricavi». Escluse dall’ad con un «non mi risulta nulla» anche le indiscrezioni circolate negli ultimi giorni secondo cui il Crédit Agricole avrebbe offerto al Mef di sottoscrivere una parte dell’aumento ricevendo però come risposta che al momento non interessa. Insomma, il Monte tira dritto perché ha un grosso potenziale inespresso e quindi alla fine ci sarà la fila di sottoscrittori. E i vertici della banca sono anche «abbastanza sicuri» che la Dgcomp d Bruxelles, in trattativa con il Mef, approverà a breve la proroga del periodo di ristrutturazione scaduto nel 2021. Il problema è che Mps ha presentato al mercato ben sette piani industriali negli ultimi dieci anni, otto se si conta anche il 2011: perché un investitore dovrebbe puntare ricche fiches su questo che non sembra così dirompente rispetto ai precedenti? A meno che il Mef non abbia già in tasca un jolly da calare sul tavolo quando i tempi saranno maturi e la ristrutturazione completata, nelle sale operative non si spiega tutto questo ottimismo tanto che ieri dopo la presentazione del piano il titolo del Monte ha chiuso la seduta con un calo di quasi il 3%. Oppure, è una lettura di chi bazzica nei Palazzi romani, si tratta di tattica politica: le prospettive concrete per vendere non ci sono ma governo e Tesoro punterebbero a prendere tempo per non far entrare il tema in campagna elettorale per evitare di procurare danni al Pd in vista del voto del 2023.Diamo comunque atto a Lovaglio di aver annunciato una mossa coraggiosa: la semplificazione dell’assetto societario del gruppo «per snellire e velocizzare i processi con un’organizzazione più semplice e agile e una condivisione all’interno della banca di tutte le competenze che metteremo al servizio della clientela». In sostanza, verranno incorporate le controllate Mps capital services, Mps leasing & factoring e Mps consorzio operativo. Spariranno, quindi, molte poltroncine - tra posti in cda, sindaci revisori, e comitati vari - che in passato hanno alimentato i «grovigli» e che continuano a far lievitare i costi. Resteranno invece autonome la banca online Widiba e Mps fiduciaria. Nel piano è inoltre previsto un risparmio di 270 milioni su base annua a partire dal 2023, grazie all’uscita volontaria di 4.200 persone entro il 2026 (3.800 entro il 2024) mediante anche il Fondo di solidarietà. Verranno inoltre chiuse 100 filiali non più redditizie entro il 2024 e altre 50 nell’arco del piano portando il numero degli sportelli a 1.218 («Ma se saranno 200 ne chiuderemo 200, non è un numero che scolpiamo nel marmo, è una stima», ha detto l’ad). Quanto agli altri target del piano targato Lovaglio, è previsto un utile netto di poco superiore al miliardo nel 2024 e di 833 milioni al 2026. Questo consentirà al gruppo senese di tornare a distribuire dividendi a partire dal risultato 2025, con un payout del 30%. Per migliorare il profilo di rischio, il piano prevede iniziative di rafforzamento del presidio sui crediti, attraverso l’istituzione di centri di valutazione specializzati e una riduzione dello stock di crediti deteriorati di 1,3 miliardi (dagli attuali 4,1 miliardi a 2,8 miliardi nel 2026). Sul fronte delle cause e dei contenziosi legali, pesante eredità del passato, «riteniamo e siamo piuttosto sicuri di avere la copertura giusta» e «siamo decisissimi a perseguire un approccio basato sui dati, sugli elementi fattuali e sulle esperienze positive», ha assicurato Lovaglio.