2023-01-13
«La sera voglio stare a casa». Vita dell’assolo vivente che disse no ai Rolling Stones
Morto a 78 anni il leggendario chitarrista Jeff Beck, le cui dita erano assicurate per 7 milioni. Rifiutò la band: «Sarei ricco ma meno felice». Rod Stewart: «Era di un altro pianeta». «Scrivere di musica è come danzare di architettura». Laurie Anderson ha ragione perché tradurre in parole ciò che è magico all’ascolto è come svuotare il mare con un cucchiaino da caffè. Ancora di più racchiudere un riff di chitarra in una frase, accompagnare una distorsione fra pedale e plettro, rincorrere Jeff Beck nelle praterie di erba alta e armenti all’alba, mentre sveglia le Highlands con gli accordi di A day in the life. È tutto lì, l’anima, la forza, la filosofia del guerriero del rock. Tutto è contenuto in quei quattro minuti e mezzo di velluto ed energia. E il brano non è neppure suo, ma dei Beatles. Lo stesso Paul McCartney quando l’ha sentito per la prima volta in versione Fender bianca, con le sei corde suonate dalle dita da mannequin che i Lloyds di Londra hanno assicurato per 7 milioni di sterline, ha detto: «Per la lezione di chitarra ti basta la solita birra?».Uno dei cinque più grandi chitarristi della storia del rock è morto martedì notte a 78 anni per una meningite batterica. Se n’è andato nella magione di Wadhurst nel Sussex, non lontano dalle bianche scogliere, dopo una vita trascorsa a inventare musica e a terremotare il rock. Quando spacca sul palco il suo strumento in Blow-Up di Michelangelo Antonioni, film culto della Swinging London, Beck ha 22 anni e sta già mandando un messaggio al mondo delle note. Con quel gesto non sta facendo a pezzi una banale cassa armonica ma un intero sistema musicale, una montagna di convenzioni, l’essenza stessa del suono per come era assemblato e percepito. Il chierichetto nato a Wallington (Londra) che cantava in chiesa e imparò a suonare a 10 anni con la vecchia chitarra acustica dello zio, ha qualcosa di magico sotto la pelle. Il primo ad accorgersene è Jimmy Page (fondatore dei Led Zeppelin, fra geni ci si intende), che lo segnala come sostituto di Eric Clapton in uscita dagli Yardbirds. Lui non fa rimpiangere Slowhand, anzi va oltre e per 40 anni sarà re. Rock, blues, jazz, fusion, indy, heavy metal, non c’è limite e non c’è recinto. «Dagli una chitarra e chiudi gli occhi, il resto del viaggio è in prima classe» (Rod Stewart). Canotta nera, calzoni militari, capelli stirati a tendina a incorniciare un muso duro da working class: la sua arte non avrà mai né tetto né padroni. È il bello di Beck, l’uomo che ha detto più no nel circo della musica moderna.Il re dell’assolo e della distorsione non sopporta la grande squadra. Come Gigi Riva a Cagliari sa di valere i top club ma vive da dio solitario ammirato da lontano, e nella sua dolce misantropia riesce a rifiutare anche la proposta irrinunciabile: diventare il chitarrista dei Rolling Stones. Nel 1975 Mick Jagger ha il problema di rimpiazzare Mick Taylor e gli fa la corte. A chi gli chiede per il resto della vita perché disse no, Beck risponde: «Sarei diventato ricco ma non sarei stato felice». L’avrete capito, stiamo maneggiando dinamite, la quintessenza del visionario ribelle che l’Enciclopedia del rock sintetizza così: «Con lui la chitarra scopre di possedere un patrimonio infinito di nuove sonorità. Ma l’uomo è terribilmente incostante, solitario e troppo irrequieto per piazzarsi in una residenza fissa».Coerente fino all’estremo, fa surf sulla musica divertendosi ad anticiparne i tempi, ad arrivare un attimo prima degli altri. Dopo l’esperienza con gli Yardbirds trascorre un decennio a plasmare una sua band (The Jeff Beck Group) senza mai riuscire a fare squadra. Normale, è un assolo vivente, il principe dei solisti, citofonare Beck. Suona con leggende come John McLaughlin, Roger Waters, Carlos Santana, Sting, Phil Collins, «ma la sera voglio andare a casa mia». Negli anni Settanta si frattura il cranio in un terribile incidente d’auto e impiega parecchio a riprendersi anche perché di quell’esperienza gli rimane un ricordo acustico: un fastidioso acufene da tornitore Brambilla che gli inquina la purezza del ritorno in cuffia e gli rovina i sound-check. Trascorre il cambio di millennio da cardinale del rock e gode di un revival d’immagine nel 2021 quando accetta di sfornare un album con Johnny Depp. Degnazione e divertimento. Dopo aver vinto otto Emmy Awards ed essere diventato inquilino fisso della Rock Hall, uno dei chitarristi più celebrati della storia può cedere alla vanità hollywoodiana della terza età. E qui arriviamo al dunque, alla lista da zuffa sul ballatoio. Qualche anno fa la bibbia Rolling Stone ha stilato la classifica: 1) Jimi Hendrix, 2) Eric Clapton, 3) Jimmy Page, 4) Keith Richards, 5) Jeff Beck. Solo quinto? Un giorno si rispose da solo: «Facciamo così, lascio il posto a Prince e vado ai giardinetti a suonare con Ritchie Blackmore». Strepitoso sul palco e in sala d’incisione, il «guerriero a sei corde» (definizione di Page) diventa curiosamente un’icona anche nel campo dei collezionisti d’auto. Ma come per la musica, non si limita a comprarle e a metterci gli optional; le inventa, le costruisce, le assembla. Accanto alla sala di registrazione fa realizzare un’officina, dove sforna pittoresche e coloratissime «hot rod» (letteralmente bielle roventi). Ne mette al mondo 30 personalizzate più qualche camion, con il motore truccato, senza cofano, con assurdi pneumatici, vernici psichedeliche e Duffy Duck sulla fiancata. Ai suoi meccanici dice: «Devono avere tutte i bordi ruvidi, come la mia vita». Ne lascia in eredità 14 fra cui tre Corvette e la Ford Deuce di American Graffiti. Quando la Apple annuncia di voler immettere sul mercato l’auto senza conducente, Beck si scaglia contro l’idea siliconvallica: «Questa non è un’innovazione, è un funerale». «Troppo vecchi per il rock ’n roll, troppo giovani per morire», suonavano i Jethro Tull. Malinconici depistaggi, con una consolazione: i riff di Jeff il Solitario ci accompagneranno per sempre. All’annuncio della sua morte tutti lo hanno celebrato. Mick Jagger: «Abbiamo perso il più grande». David Gilmour: «Se ne va un eroe del palco». Ma è Rod Stewart, con la voce corrotta da mille sigarette, a centrare l’epitaffio: «Ci manderà la sua musica dal paradiso. Del resto era su un altro pianeta anche da vivo». Costo per le lezioni di chitarra, la solita birra.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)