2025-01-14
Se sei «esasperato» ora ti eviti l’ergastolo
L'ingresso della villetta a Cavazzona di Castelfranco Emilia, dove Salvatore Montefusco (nel riquadro) ha ucciso moglie e figliastra (Ansa)
A Modena, un settantenne ha ucciso moglie e figliastra: per lui niente pena massima perché il doppio delitto è spinto da «motivi umanamente comprensibili». La Roccella: «Sentenza preoccupante». Assolto invece il giovane che accoltellò il padre-padrone.Nel Paese di Cesare Beccaria si fa fatica oggi a discernere se esiste una relazione tra i delitti e le pene. Perché se spari, indossando la divisa da carabiniere e dunque titolare del monopolio della forza che negli ordinamenti democratici è prerogativa dello Stato, a un balordo che ha accoltellato gente per strada finisci imputato di omicidio; se, sempre da carabiniere insegui uno che non si è fermato all’alt e quello in conseguenza del suo rifiuto muore, ti additano come un pericoloso criminale e ti processano senza appello in piazza. Quasi che difendere la legge sia un’offesa alla legge. Se però ammazzi la moglie e la figlia di lei davanti a tuo figlio minorenne, il giudice chiude un occhio e ancora se dai 34 coltellate a tuo padre per difendere tua madre sei assolto. Diceva Piero Calamandrei che è meglio un colpevole libero di un innocente in galera. Alcuni magistrati italiani come il pregiudicato ex pm del pool Mani pulite Piercamillo Davigo sostengono che non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non si sono trovati. Però viene il sospetto che valga a seconda dei reati e anche a seconda del reo. La prova indiretta viene da due sentenze che fanno discutere intervenute ieri. Il caso più spinoso è quello di Salvatore Montefusco, settantenne, che nonostante un duplice omicidio ha evitato l’ergastolo. Perché - lo scrivono i giudici nella sentenza - l’esasperazione costituisce attenuante. I fatti sono noti. Il 13 giugno del 2022 nella loro casa Montefusco sparò alla moglie Gabriela Trandafir, 47 anni da cui ha avuto un figlio minorenne che assistette alla mattanza, e alla figlia di lei Renata, 22 anni a Cavazzona di Castelfranco Emilia. L’8 ottobre la Corte d’Assise di Modena lo ha condannato a 30 anni - l’accusa aveva chiesto l’ergastolo - e ieri si sono conosciute le motivazioni redatte dalla presidente Ester Russo. Scrive: «Arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate e dunque il duplice delitto è frutto di motivi umanamente comprensibili». In pratica il fatto che madre e figlia minacciassero di buttarlo fuori di casa giustifica in una qualche misura la reazione dell’uomo che non ha agito d’impeto. La ragazza l’ha inseguita e l’ha finita mentre cercava di scappare dal giardino, la moglie l’ha uccisa davanti al figlio piccolo che stava chiamando i carabinieri. Su questa sentenza è intervenuto il ministro per la Famiglia Eugenia Roccella che afferma: «Leggeremo ovviamente il testo integrale della sentenza, ma se ciò che emerge venisse confermato, il pronunciamento della Corte d’Assise di Modena conterrebbe elementi assai discutibili e certamente preoccupanti. Ove consolidati, rischierebbero non solo di produrre un arretramento nell’annosa lotta per fermare i femminicidi e la violenza maschile contro le donne, ma anche di aprire un vulnus nelle fondamenta che reggono il nostro ordinamento». L’avvocato di parte civile Barbara Iannuccelli ha a sua vota commentato: «La giovanissima vittima, Renata Trandafir, voleva fare l’avvocato per difendersi dalle quotidiane violenze a cui lei e sua madre erano sottoposte. Oggi le è stata risparmiata l’esperienza di comprendere il perché uno spietato assassino di due donne inermi possa essere destinatario di tanta benevolenza». Speculare a questa sentenza è l’altra intervenuta ieri a Torino dove la Corte d’Assise d’Appello ha assolto dal reato di omicidio aggravato Alex Cotoia - ha rinunciato al cognome del padre Pompa - oggi quasi venticinquenne. Il ragazzo è comparso per la quarta volta davanti ai giudici. Il 30 aprile del 2020, aveva appena 18 anni, a Collegno Alex uccise con 34 coltellate il padre che aveva comportamenti violenti verso di lui e la madre. «Quel giorno - hanno sostenuto i difensori Claudio Strata ed Enrico Grosso - Alex doveva porre fine alle minacce del padre con ogni mezzo. Se per fermarlo servono 34 coltellate, questo numero così alto non fa venir meno la natura legittima della difesa». Alla legittima difesa ha creduto di nuovo la Corte d’Assise d’Appello considerando che Alex ha sempre detto di essersi sottratto a una colluttazione - contestata dall’accusa sostenuta dal procuratore generale Giancarlo Avenati Bassi che ha affermato non esserci traccia di una «lotta» - e che era già stato assolto (in primo grado), poi condannato a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni di carcere (nel primo Appello). La Corte di Cassazione annullò la sentenza di condanna con rinvio e ieri il secondo Appello ha sancito che il ragazzo ha agito per difendersi. Vengono in mente i tanti che presi di mira dai rapinatori hanno sparato per difendersi e ora sono in galera. Ma è la legge uguale per tutti e questa legge consente ora ad Alex di dire: «Sono un sacco frastornato, non sono giornate facili queste. Non mi ero fatto aspettative, ma ora festeggerò con la mia cagnolina: Zoe. Mia madre e mio fratello saranno felicissimi: sicuramente ci abbracceremo». E da domani? Gli hanno chiesto. «Spero la normale quotidianità - ha risposto - niente di speciale. Un proseguimento degli studi e trovare il mio posto nel mondo, che sia qui o all’estero. Ho quasi 25 anni, vediamo».
Simona Marchini (Getty Images)