2024-03-19
Casa di Montecarlo: chiesti 8 anni per Fini
Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani (Ansa)
Nove per la compagna Elisabetta Tulliani, che prova a scagionare l’ex leader di An per il raggiro dell’abitazione di proprietà del partito finita in mano al fratello della donna, latitante a Dubai. La sentenza è attesa tra un mese.La Procura di Roma ha chiesto ieri di condannare a 8 anni e a una multa di 20.000 euro l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini e a 9 anni (e 25.000 euro) la sua compagna Elisabetta Tulliani per la vicenda della casa di Montecarlo ceduta da Alleanza Nazionale a Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta. Per Tulliani i pm hanno chiesto una pena di 10 anni e 30.000 euro di multa, mentre per il padre dei due, Sergio, dipendente Enel in pensione, la pena richiesta dall’accusa è di 5 anni e 10.000 euro di multa. L’udienza di ieri, iniziata con oltre due ore di ritardo, era partita all’insegna delle schermaglie procedurali, commentate da Fini con «beato chi li capisce», della difesa di Sergio e Giancarlo Tulliani, che chiedeva di sentire in aula il re delle slot machine Francesco Corallo e l’ex parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta. Dopo una breve camera di consiglio, i giudici hanno respinto la richiesta, e a quel punto Elisabetta Tulliani, che aveva disertato le precedenti udienze, ha chiesto di rendere deposizioni spontanee. Visibilmente emozionata, la donna ha letto un testo che era un atto di accusa nei confronti del fratello Giancarlo. «Dopo un lungo travaglio interiore» ha detto la Tulliani «sento l’obbligo morale di offrire un contributo alla verità. Finora non ho partecipato al processo per non turbare, alla luce dell’eco mediatica, le mie figlie ancora adolescenti. Il processo ha già turbato la mia famiglia, ma il mio silenzio continuerebbe a danneggiare le persone a me care. Sento il dovere di confessare a collegio giudicante le mie responsabilità: ho nascosto a Gianfranco Fini padre delle mie figlie le intenzioni di mio fratello di acquistare la casa di Montecarlo. Ero certa che il denaro per l’acquisto fosse di mio fratello. Non ho mai detto a Fini del denaro ricevuto da mio padre, di cui ignoravo la provenienza. Il comportamento di mio fratello è la più grande delusione della mia vita. Mai avrei immaginato che mi avrebbe coinvolto in vicende che ho appreso dalle indagini e che mi hanno travolta». Le parole della Tulliani, che alla fine della sua dichiarazione ha lasciato il palazzo di giustizia, seguono il solco di quelle già pronunciate in precedenza da Fini: «Quella dell’appartamento di Montecarlo è stata la vicenda più dolorosa per me. Sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta. Loro insistettero perché mettessi in vendita l’immobile. Giancarlo mi disse che una società era interessata ad acquistarlo» aveva affermato, «ma non sapevo che della società facevano parte lui e la sorella: la sua slealtà e la volontà di ingannare e raggirare credo si sia dimostrata in tutta una serie di occasioni». Poi aveva puntato il dito contro il suo grande accusatore, l’ex parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta: «Sono stato coinvolto in questo processo in seguito a decine di dichiarazioni false fatte da Laboccetta per un astio politico, nei miei confronti, che era ben noto. Il 2010 era l’anno del mio scontro con Silvio Berlusconi, il clima era diventato incandescente e agli occhi di molti ero un bersaglio da colpire». La «confessione» della Tulliani a quanto pare, però, non ha convinto affatto l’accusa, che impassibile, ha chiesto le condanne di tutti gli imputati. Smontando, dal suo punto di vista, le versioni della coppia: «Fini sostanzialmente afferma di aver appreso l’esistenza della società acquirente (dell’appartamento di Montecarlo, ndr), da Giancarlo Tulliani. Che però, in realtà non frequentava, non conosceva, non sapeva. L’aveva soltanto visto personalmente la prima volta in occasione della nascita della figlia». Secondo il pm, «in realtà emerge pacificamente» che Fini «fosse assolutamente [certo] che il valore dell’immobile era un valore di gran lunga superiore a quello per il quale è stata fatta la transazione». Poi l’accusa ha ricordato la plusvalenza monstre da 1,2 milioni di euro realizzata dalla vendita dell’appartamento situato nel Principato di Monaco, «Confluita sui conti correnti di Elisabetta e Giancarlo Tulliani». Per la Procura, «nonostante le dichiarazioni oggi rese da Elisabetta Tulliani, non poteva sfuggire a Gianfranco Fini che la compagna non svolgesse alcuna attività lavorativa, che non vi fossero ragioni commerciali che la potessero legare a Francesco Corallo, che il padre fosse pensionato da tempo non avesse mai svolto attività di consulenza, specifiche, per chicchessia». E anche il fratello Giancarlo, secondo i pm, aveva «limitatissimi orizzonti imprenditoriali» e «la sua presenza a Montecarlo» non era legata «a ragioni professionali». In aula l’accusa poi ha ricordato quella che ha definito «la pantomima contrattuale, finta, legata sempre alla casa di Montecarlo, in cui la stessa firma c’è per il locatore e per il locatario», ovvero Tulliani. Il quale, secondo un’informativa depositata nel procedimento, «ha acquistato la Ferrari» blu finita sulle pagine di tutti i giornali, «dopo aver trasferito la residenza» nel Principato di Monaco. Nel lontano 2010, in pieno scontro politico tra Fini e l’allora premier Silvio Berlusconi, la vicenda del quartierino a Montecarlo in boulevard Princesse Charlotte 14, venduto da An nel 2008, secondo i pm sottocosto, a una società e poi finito nella disponibilità di Giancarlo Tulliani, aveva occupato per settimane le pagine dei giornali vicini al centrodestra. A difendere Fini, bollando le inchieste giornalistiche come «macchina del fango», era scesa in campo la sinistra, con le relative testate di riferimento. E anche l’inchiesta penale sulla presunta svendita era stata archiviata tempo di record. Ma, secondo quanto ricostruito ieri in aula dall’accusa, «il grado di occultamento» dell’affare era talmente altro, che ricostruirlo senza i nuovi elementi era pressoché impossibile. Il caso era poi riesploso nel 2017, quando le indagini (iniziate nel 2014) svolte dalla Guardia di finanza per conto dei pm capitolini avevano svelato un presunto giro di riciclaggio di oltre 7 milioni di euro, i profitti illeciti accumulati da Sergio, Elisabetta e Giancarlo Tulliani, che dopo la notizia della nuova inchiesta, nel corso della quale era stato colpito anche da un’ordinanza di custodia cautelare, aveva trovato riparo come latitante a Dubai, che non ha mai accolto la richiesta di estradizione presentata dall’Italia. I soldi arrivati ai Tulliani sarebbero serviti appunto anche per comprare l’appartamento di Montecarlo. Il tutto, secondo la difesa di Fini, all’insaputa dell’ex ministro degli Esteri. Per la Sargenti, però, questa versione non sarebbe credibile: «Quindi Fini avrebbe assunto da solo la decisione di vendere l’appartamento a condizioni contrattuali particolari, a favore di un acquirente particolare, su cui non aveva fatto alcuna verifica, perché gli era stato genericamente segnalato dal fratello della moglie». Dopo le richieste dell’accusa Fini, rappresentato dagli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno, ha ostentato tranquillità: «Era scontato che la pubblica accusa chiedesse la condanna, continuo ad avere fiducia nella giustizia e ciò in ragione della mia completa estraneità rispetto a quanto addebitatomi». Parole pronunciate anche in virtù dell’arringa del rappresentante dell’Avvocatura dello Stato, che, a sorpresa, ha chiesto l’assoluzione dell’ex presidente della Camera, sposando le richieste di condanna della Procura solo per gli altri imputati. Secondo i difensori di Fini, a far crollare il castello accusatorio potrebbe essere la decisione dei giudici di accogliere la richiesta di Sarno, che ha evidenziato come, in base al codice di procedura penale, le dichiarazioni rese a verbale da Laboccetta durante le indagini non possono essere usate contro gli altri imputati durante il processo, dal momento che l’ex parlamentare non ha deposto in aula. Secondo la Procura però, la vicenda non sarebbe stata ricostruita solo sulla base delle dichiarazioni di Laboccetta, ma anche sulla base «di indagini documentali» e delle dichiarazioni di altri testimoni del dibattimento. Inizialmente, per alcuni imputati (ma non per Fini), la Procura contestava anche il reato di associazione a delinquere, che però, nell’udienza del 29 febbraio scorso è caduto in prescrizione I giudici della IV sezione del tribunale di Roma hanno escluso l’aggravante della transnazionalità e fatto venir meno la specifica e grave contestazione, tenuta in piedi proprio dall’aggravante. Nei confronti degli accusati è rimasto quindi in piedi il solo reato di riciclaggio, unico sopravvissuto ai troppi anni passati da quando la vicenda della vendita di un appartamento nel Principato di Monaco che era stato lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale «per la buona battaglia», e che sarebbe stata acquistata, secondo l’accusa, da Giancarlo Tulliani tramite delle società off-shore. Inizialmente era stato ipotizzato che al termine dell’udienza di ieri la corte emettesse la sentenza, ma un ritardo di oltre due ore sull’orario previsto e un’ulteriore lunga pausa durante il pomeriggio, hanno portalo all’interruzione dei lavori dopo l’arringa dell’avvocato Grimaldi. Il difensore di Fini ha chiesto alla corte di prosciogliere il suo assistito: «Questa vicenda ha fortemente provato Fini, soprattutto sul piano umano, con estrema convinzione morale e onestà intellettuale chiediamo la sua assoluzione con formula piena». Il processo continuerà il 18 aprile, con un’udienza fiume che inizierà con le arringhe degli altri difensori e continuerà con le repliche, già annunciate, dei pubblici ministeri. Al termine, salvo ulteriori ritardi, il collegio presieduto da Roberta Palmisano, giudici a latere Riccardo Rizzi e Mara Ferrara, potrebbe riunirsi in camera di consiglio e pronunciare la sentenza.