2022-05-26
Milioni di dosi avanzate da smaltire rifilate al Terzo mondo o buttate via
Per gli oratori di Davos l’emergenza non è finita. Ma Moderna ammette: «Costretti a gettare i vaccini, nessuno li vuole». Mentre Pfizer, assieme a Bill Gates, li regala ai Paesi poveri. Dove sorgeranno altre industrie del colosso.«È triste dire che sto per buttare almeno 30 milioni di dosi di vaccino perché nessuno le vuole». L’annuncio choc è rimbombato con fragore nel palazzo dove si sta tenendo in questi giorni il World Economic Forum, a Davos. L’amministratore delegato di Moderna, Stéphane Bancel, ha scandito bene la frase, nonostante la pronuncia francofona lo porti a masticare un inglese sbrigativo. «Non abbiamo più un problema di disponibilità di vaccini nel mondo. Era così due anni fa, oggi non più. Abbiamo, al contrario, un grosso problema di domanda. Stiamo cercando di contattare tutti i governi, la Vaccine Alliance ha stimolato la domanda in tutti i Paesi. Abbiamo anche contattato tutte le ambasciate straniere a Washington - ha ammesso sconsolato Bancel - ma nessuno vuole prendersi queste dosi». Una confessione controcorrente, quella di Bancel, nel bel mezzo di un panel dedicato invece al progetto opposto: rispondere («in maniera equa», ça va de soi) alla domanda di vaccini nel mondo, nonostante dall’arrivo del primo carico sotto scorta, siamo passati alla svendita all’ingrosso. E allora, cosa se ne farà il mercato di questi vaccini che nessuno vuole? Pfizer ha trovato la soluzione: saranno (temporaneamente) regalati ai Paesi poveri, che in cambio ospiteranno le nuove farm per produrne altri ed esportarli in tutto il mondo. Lo ha annunciato il ceo Albert Bourla, anch’egli a Davos in un altro panel insieme con Bill Gates. I due hanno lanciato ieri il nuovo «Accordo per un mondo più sano» spiegando la strategia di marketing: Pfizer renderà disponibili, su base no profit, tutti i vaccini e i farmaci prodotti negli Stati Uniti e in Europa a 1.2 miliardi di abitanti di 45 Paesi a basso reddito, esportando in cambio finanza innovativa, diagnostica, training, logistica e tecnologia per produrne altri. All’Accordo hanno già aderito i governi di Rwanda, Malawi, Ghana, Senegal e Uganda. «Pfizer, ha precisato Gates, sta già distribuendo a basso costo il vaccino antipneumococco Prevenar a tutti i bambini del mondo». E continuerà la collaborazione con la Gates Foundation per produrre nuovi vaccini contro lo streptococco B e il virus respiratorio sinciziale.Sarà un duro lavoro di comunicazione, considerato lo scenario attuale, descritto da Stéphane Bancel: «Due anni fa non avevamo capacità mRna, adesso sì. Moderna può produrre 3 miliardi di dosi l’anno, Pfizer dai 4 ai 7 miliardi, ma i cinesi non vogliono vaccini a mRna. Se togliamo dal mercato mondiale la popolazione cinese, abbiamo una disponibilità di più di una dose a persona. Ma il problema in molti Paesi è che la gente non vuole i vaccini. Non li vogliono negli Usa, non li vogliono in tutto il mondo». Normale: nel mondo occidentale, salvo in Italia, la percezione della cittadinanza è che l’emergenza pandemica è finita. A Davos, invece, si sta lavorando per prevenire la prossima. Il macro-tema «vaccinazione di massa versus vaccinazione mirata», che da due anni impegna, e divide, la comunità scientifica mondiale, non è neanche preso in considerazione. Il vaccino, che nelle comunità è un valore, a Davos è raccontato come un prodotto e le popolazioni sono lo strumento per diffonderlo. Per questo motivo, la pandemia, per gli oratori di Davos, non è affatto finita: viceversa, da flagello eccezionale è ormai cronicizzata come emergenza perenne, cui bisogna far fronte, subito, con risposte strutturali, disciplinate attraverso una massiccia produzione mondiale di vaccini, diversificata geograficamente e non più concentrata nelle mani dei Paesi ricchi e/o più popolati, come Usa, Cina, India. Non a caso Jeremy Farrar del Wellcome Trust (ente di beneficenza con sede a Londra) propone un network globale di piccoli Paesi produttori di vaccini, ad esempio Costa Rica, Singapore e quelli già citati da Bourla, che avrebbero, in questo modo, la possibilità di far crescere il loro Pil.«Dobbiamo stare attenti, però», ha dichiarato Seth Berkley, Ceo della Vaccine Alliance, perché i cittadini si stanno rilassando. Ai tempi di Ebola nel 2015, in cima alla classifica dei rischi stilata dal Wef c’erano le pandemie. L’anno successivo, non più. Questa psico-alternanza tra panico e disinteresse è davvero un problema. Si spera - ha dichiarato Berkley - che la gente sia più consapevole di ciò che è successo, dopo 500 milioni di casi e 15 milioni di morti» (il dato ufficiale è di 6,3 milioni, ndr). Anche secondo Gabriela Bucher, Direttore esecutivo di Oxfam (organizzazione contro la povertà), «il disinteresse di adesso, tra sei mesi potrebbe rivelarsi mortale». Per arrivare preparata al prossimo appuntamento pandemico, Moderna si è impegnata a sviluppare i primi 15 vaccini della top priority list dell’Oms. «Stiamo lavorando - ha dichiarato Bancel - per essere capaci di immettere sul mercato 3,5 miliardi di dosi il giorno stesso dell’approvazione dei prossimi vaccini». Resta da capire se la produzione sarà ancora concentrata nelle mani di Moderna e della quasi monopolista Pfizer. Gli oratori assicurano che non andrà così: «Nel 2000 c’erano soltanto 4-5 produttori di vaccini al mondo - ha spiegato Berkley - oggi ne abbiamo circa 18, gran parte nei Paesi in via di sviluppo. Dobbiamo aiutarli a qualificare queste produzioni», esportando la tecnologia a mRna. «L’hub mRna messo in piedi dall’Oms a Cape Town è una risposta sostenibile alla pandemia», ha dichiarato Gabriela Bucher. La torta, insomma, è ghiotta e abbondante. Bisognerà però «applicare il nuovo modello subito», ha concluso Bucher, cercando di «sconfiggere la riluttanza alla vaccinazione. Dobbiamo fare campagne informative affidabili: la comunicazione non è stata corretta, dobbiamo assicurarci fonti informative sostenibili e attendibili, a cui la gente creda».