2020-06-16
Metamorfosi grillina: dal «vaffa» alla Casta
Davide Casaleggio (Getty images)
Cominciò tutto dai comizi strillati, con la promessa di spazzare via privilegi e giochi di potere dalla politica. Poi il boom elettorale e le capriole a raffica: da «nessuna alleanza» ai governi con Lega e Pd, fino ai patti in stile Prima Repubblica per salvare le poltrone.«Abbiamo sbagliato la selezione della classe dirigente» (coming out di Luigi Di Maio, frontman del M5s, 25 aprile 2020). Ohibò. Il dubbio a molti era già venuto ben prima, ma tant'è. Solo cheforse è tardi. Dall'ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera: Lega al 23,5%, Pd al 21,3, ma soprattutto Fratelli d'Italia al 17,5 davanti al M5s al 17,1 (pari pari il suo risultato alle Europee 2019, 15 punti sotto il galattico 32,7 delle politiche 2018). Conseguenze? Alessandro Di Battista (che gli elettori M5s lascerebbero al palo, secondo la rilevazione, in duello con Giuseppe Conte per la leadership del movimento: 62 a 17) chiede un redde rationem congressuale, e Beppe Grillo lo percula: «Dopo i terrapiattisti e i gilet arancioni di Antonio Pappalardo pensavo di aver visto di tutto, ma ecco l'assemblea delle anime del M5s», e pazienza se anche Di Maio la pensava così: «Non possiamo eleggere un capo senza prima un confronto collettivo, finirebbe impallinato in due mesi».«Grillo blinda Conte», però, è una non notizia. Perché l'Elevato aveva fotografato la deriva governista già a dicembre: «Io ho la villa e un'attività, Davide Casaleggio la sua società e i suoi soldi. Ma vi è chiaro o no che, se si rompe il giocattolo del governo, tutta questa nostra gente che abbiamo portato in politica ce la ritroviamo sotto casa a chiederci un lavoro? Un secondo dopo il voto, il M5s è già bello che morto». Del resto, perchè non dovrebbe finire così? Ricordate come tutto cominciò? No, non con il Vaffa day. Ma con il titolo sul Vaffa day sparato in prima pagina da Repubblica il 9 settembre 2007: «Grillo choc, firmano in 300.000» (facendo intendere che fossero le sottoscrizioni raccolte a Bologna, dove il comico si era esibito, e non in tutta Italia, com'era stato). Grillo non avrebbe potuto sperare in ufficio stampa migliore. Intendiamoci: che gli italiani fossero in larga parte arcistufi dell'andazzo politico nella palude romana, nonché delle eterne corruttele a ogni livello, era un fatto. Ma già lì si doveva capire dove si sarebbe andati a parare nei 13 anni successivi: slogan urlati con la bava alla bocca, «vaffa, onestà-onestà, più manette per tutti», e fine. Sotto il comizio, niente. Zero cultura di governo. Il bello è che da lì in poi, complici i governi del Presidente (Giorgio Napolitano), è stato un crescendo rossiniano. Testa a testa con il Pd alle politiche 2013. Conquista di Roma nel 2016 con Virginia Raggi (che, alla faccia dello stop al bis invocato dalla sua rivale Roberta Lombardi a febbraio, vorrebbe ricandidarsi a sindaco ma non potrebbe, in virtù di un altro mantra che il M5s non vede l'ora di archiviare per garantire la rielezione in Parlamento ai «poltronisti», ovvero il tetto del doppio mandato). Il trionfo del 2018. Il successivo, inesorabile crollo nelle urne (europee e locali) e nei sondaggi con l'emergere della profonda inadeguatezza di taluni ministri, in linea - va detto - con l'inettitudine di tanti predecessori nella Prima e Seconda repubblica, che però il M5s aveva giurato di far dimenticare, sorvolando sul «giallo» Alfonso Bonafede-Nino Di Matteo, che se fosse successo con un altro, ci sarebbero stati i girotondi da mane a sera intorno a Montecitorio. E poi: «giù» nei sondaggi, ma «su» nell'impegno profuso per partecipare al banchetto lottizzatorio in enti e società pubbliche. E se per anni il M5s aveva sparato a zero sui think tank del Pd, il Vedrò di Enrico Letta, la Leopolda di Matteo Renzi, luoghi di presunti inciuci tra governo e poteri forti, ecco che nel luglio 2019 l'allora sottosegretario, oggi viceministro, Stefano Buffagni annuncia ProgettoItalia 2030, che all'apparenza se non era zuppa sembrava pan bagnato (e pazienza se in qualche caso i professionisti indicati dal M5s per posizioni apicali - sicuramente degnissimi, per carità - in più di un caso risultavano nati, per dire, tra Pomigliano d'Arco e dintorni, zona in cui è cresciuto Di Maio, e vabbé).Non basterebbe un'intera edizione del giornale per elencare le gaffe grillonze (di Di Maio e non solo: «Sarò breve e circonciso» è lo strepitoso incipit di un intervento di un deputato alla Camera). I dietrofront (un eletto: «Il mio impegno a dimettermi? Quel contratto è carta igienica»; un altro eletto, finito sui giornali per una storia di affitto di casa popolare a 7 euro: «Io rinuncio? Ho firmato un foglio ma non ho capito cosa c'era scritto», alé). Le promesse disattese («Noi saremo trasparenti e sempre in streaming», come no; «uno vale uno», salvo poi scoprire - Di Maio dixit - che «il sistema di voto sulla piattaforma Rousseau ha portato all'anarchia»; «abbiamo abolito la povertà»: la loro, verrebbe da malignare, viste le foto di vacanze tra barche e alberghi di lusso). Le magagne giudiziarie (come le firme false per le comunali di Palermo, 12 condanne al processo). Le espulsioni dei dissidenti. I privilegi, che prima erano sempre quelli della Casta (vedi il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, affitto di 540 euro al mese per 180 metri quadrati. Poi si scoprì che era pure peggio: il canone era di 141 euro, cui se ne aggiungevano 173 per i mobili, totale 314 euro; va aggiunto che Trenta l'appartamento l'ha lasciato). Tralasciamo il tweet con cui Grillo si rivolgeva a Matteo Salvini e Giorgia Meloni: «Mangiate tranquilli, il M5s non fa alleanze con chi da decenni è complice della distruzione del Paese», e difatti poi si è visto.Dichiarazione che fa scopa con quella di Di Maio: «Il M5s mai farà accordi con il Pd, il partito di Bibbiano che toglie i bimbi alle famiglie con l'elettrochoc», e difatti poi si è rivisto.Per chi poi volesse approfondire il tema della coerenza, ecco Paola Taverna che, alla vigilia della caduta del Conte 1, da un palco tuona: «Voglio rettificare il Corriere che ha scritto che io in Parlamento avrei dato degli zozzoni a quelli del Pd. Non è veroooo! Gli ho detto: mafiosi, schifosi, siete delle merde, dovete morire», e qui si finisce diritti dalle parti di Mario Brega nel Borotalco di Carlo Verdone: «Gli ho tirato 'n cazzotto in bocca, è cascato per terra come Gesù Cristo, e io je urlavo: arzate! 'A cornuto, arzate!». Sullo sfondo poi sempre lui, Grillo, che se non scendeva a Roma per dettare la linea, insolentiva i suoi dal palco degli show. Come quando nel marzo 2019 apostrofò l'allora ministro dei Trasporti Danilo Toninelli come persona con «una leggera sindrome di Asperger»: «Poteva evitare di dire quella cosa sulle auto, cazzo...», riferimento all'intervista tv in cui il ministro magnificava le auto elettriche, confessando però di aver appena acquistato un diesel. Contraddittorio? Né più né meno come l'Elevato. Che dopo aver cavalcato le campagne no vax ha siglato (insieme a Renzi, peraltro) il manifesto pro scienza scritto da Roberto Burioni e Guido Silvestri. E le proteste degli antivaccinisti? E chissenefrega: «Sono solo lo 0,7% della popolazione» (così il suo amico Silvestri). Dal propagandismo-paraculismo al pragmatismo-governismo in fondo è un attimo.